Il Sole-24 Ore 27/11/2009;, 27 novembre 2009
DUBAI SPAVENTA I MERCATI
La crisi finanziaria del Golfo spaventa i mercati. Ieri (con Wall Street chiusa) tutte le Borse europee hanno perso più del 3%, bruciando nel complesso 152 miliardi di euro. Piazza Affari ha ceduto il 3,6%, Francoforte il 3,25%, Parigi il 3,41%, Londra il 3,1%. Negativi in mattinata anche i listini asiatici. Il default annunciato da Dubai World (59 miliardi di dollari) ha alimentato rischi molteplici, anzitutto un effetto-contagio su altri sistemi finanziari, a partire da quelli più fragili in Europa (Irlanda, Grecia, paesi dell’Est). Sui mercati azionari la pressione ha riguardato le banche: metà del debito complessivo di Dubai (80 miliardi) fa capo a gruppi creditizi europei. Le banche italiane, in base alle prime verifiche, hanno esposizioni non rlevanti. In serata l’emiro Ahmed bin Saeed alMaktoum, massima autorità economica di Dubai, ha garantito che verrà subito predisposta «un’azione decisiva» per calmare «i timori dei mercati e dei creditori» • PAURA DI UN EFFETTO CONTAGIO - La richiesta di moratoria di Dubai World ai suoi creditori ha scosso ieri i mercati obbligazionari, mettendo sotto pressione il debito sovrano di diversi paesi. Molti osservatori di mercato sono però cauti per ora nel parlare di un vero e proprio contagio. «Non c’è un impatto sistemico diceva ieri una fonte monetaria né per quanto riguarda il debito sovrano, né per quello che riguarda le banche».
Si è diffuso tuttavia un forte nervosismo, dovuto non solo all’incertezza sugli sviluppi della situazione di Dubai World, ma soprattutto al fatto che si tratta di una holding di proprietà dello Stato. La percezione della sua solvibilità si era sempre retta sulla convinzione che comunque il governo di Dubai sarebbe intervenuto a tenere a galla il gruppo e che Abu Dhabi, il più ricco degli Emirati Arabi, avrebbe spalleggiato il suo vicino. L’annuncio di mercoledì di un congelamento per sei mesi dei debiti della holding di stato ha spezzato questa catena.
Le autorità dell’emirato hanno cercato di rassicurare gli investitori. «Comprendiamo i timori dei mercati e dei creditori - ha detto in comunicato lo sceicco Ahmed bin Saeed al-Maktoum, presidente del Consiglio supremo dell’economia-ma dovevamo intervenire per avviare un’azione decisiva sui debiti di Dubai World». In mattinata il governo aveva anche annunciato che dal piano di ristrutturazione della società era esclusa Dp World, colosso che controlla 49 porti in 31 paesi e senza problemi finanziari.
All’inizio del mese, l’agenzia di rating Moody’s aveva diffuso una nota, sottolineando la distinzione fra la capacità di far fronte ai propri impegni finanziari della holding e quella dell’emirato di Dubai, ma sui mercati non tutti erano dello stesso avviso.
I credit default swap, lo strumento usato per assicurare contro l’eventualità di una insolvenza, sono balzati negli ultimi due giorni da 318 a 500 sul debito di Dubai, toccando ieri anche quota 570. Questo significa che l’assicurazione contro il default di 10 milioni di dollari di debito dell’emirato costa ora 500mila dollari, contro i 318mila di martedì. La credibilità di un sostegno di Abu Dhabi a Dubai per le sue necessità di finanziamento è seriamente danneggiata, sostenevano ieri gli analisti dei mercati emergenti di Barclays Capital, che fino a qualche settimana fa erano convinti del contrario. In forte aumento anche i Cds sul debito di Abu Dhabi (a 155, secondo le rilevazioni di Cma), del Bahrain (a 225), del Qatar (a 114) e dell’Arabia saudita (a 108), ma la preoccupazione fondamentale sulle finanze di questi paesi resta tutto sommato limitata.
Le ripercussioni, in parte amplificate dalla chiusura di diversi mercati per la festività islamica dell’Eid al-adha e dall’assenza di liquidità per la vacanza di Thanksgiving negli Stati Uniti, sono andate tuttavia ben al di là della regione del Golfo. Lo dimostrano la risalita del dollaro, che come sempre viene visto come moneta rifugio nei momenti di maggior avversione al rischio, e i flussi di acquisti di Bund, i titoli di Stato tedeschi. Tendenza opposta per i paesi dell’area dell’euro che da qualche tempo sono nel mirino dei mercati per la preoccupazione sui loro conti pubblici: in primis la Grecia, già sotto pressione nei giorni scorsi per le notizie negative sul bilancio e le incognite sul suo sistema bancario, e il cui spread rispetto alla Germania è salito da 182 a 200 punti base, e in subordine l’Irlanda. Come sempre avviene in casi di eventi a sorpresa, c’è stato un effetto a cerchi concentrici, che è andato a toccare il debito di alcuni paesi giudicati meno solidi nelle finanze pubbliche o in qualche caso troppo dipendenti da finanziamenti esterni: l’impatto del caso Dubai si è quindi fatto sentire in qualche misura anche sul debito di Turchia, Ungheria e Russia. Ancora più lontano, su Sudafrica, Vietnam e Indonesia.
Non c’è stata però una vendita indiscriminata di debito sovrano dei paesi emergenti, che anzi, nella recente crisi, era apparso meno vulnerabile di quello dei paesi avanzati. Molti di questi hanno infatti compiuto sforzi estremamente pesanti a carico dei conti pubblici per salvare i sistemi finanziari, mentre molti emergenti avevano dedicato gli ultimi anni a risanare i bilanci statali dopo le crisi precedenti.
L’ampliamento degli spread sul debito sovrano era già in corso da qualche tempo e l’evento di Dubai ha contributo a fornirgli ulteriore impulso. Alessandro Merli • ABU DHABI SI PRENDE LA RIVINCITA SUI CUGINI - D
ubai World non ha rilasciato alcuna dichiarazione sulla decisione dell’altro ieri del Governo di assumerne il controllo diretto per ristrutturarlo e risanarlo dai debiti. Così, secondo uno "standstill agreement", il colosso semi-governativo 59 miliardi di dollari di passività - potrà congelare il pagamento dei propri debiti fino a fine maggio.
Le reazioni dei giornali arabi per adesso sono pacate e si limitano alla cronaca di quanto è accaduto. Pochi i commenti. La notizia del congelamento dei debiti di Dubai World, sicuramente non a caso, è arrivata alla vigilia di un lungo weekend di festa per gli Emirati, che è iniziato ieri e si concluderà domenica sera.
Ma la sensazione è che quanto è successo possa aprire nuovi scenari. In buona parte previsti. Il timore più grande qui nella capitale finanziaria del Golfo è che Abu Dhabi assuma via via il controllo di Dubai, accumulando crediti e potere in questa fase di grande debolezza di quest’ultimo. Sempre l’altro ieri Dubai ha ricevuto un nuovo finanziamento di 5 miliardi di dollari dalla vicina Banca Nazionale di Abu Dhabi e da Al Hilal Bank che andranno ad aggiungersi al Fondo di supporto finanziario di Dubai destinato agli organismi governativi.
Solo un paio di settimane fa lo sceicco al Maktoum aveva lanciato una sorta di monito verso tutti quelli che continuavano a sottolineare la rivalità tra le due città e aveva ribadito che gli Emirati sono un’unica famiglia, impegnata a collaborare per il benessere collettivo. In realtà l’idea di questa rivalità non nasce a caso, ma dalla storia, seppur recente, che vede Abu Dhabi come la città ricca di petrolio, impegnata a valorizzarsi e farsi conoscere al mondo per una serie di progetti legati alla cultura e alla tecnologia come il nuovo Guggenheim, 30mila metri quadrati a firma di Frank Gehry, o Masdar, la città a emissioni zero; mentre Dubai, povera in oro nero, è quella che ha puntato la propria riconversione sui primati in fatto di lusso ed eccentricità, soprattutto nel settore immobiliare, gestendo in modo spesso disinvolto le proprie risorse.
Scelte e gestioni che hanno sicuramente contribuito a far trovare Dubai impreparata e indifesa di fronte allo scoppio della crisi economica mondiale e che hanno portato lo sceicco al Maktoum, proprio una settimana fa, a lanciare una sorta di "restaurazione" e inaugurare un corso economico più prudente, rimuovendo alcune cariche "storiche" sia dal consiglio dell’Investment Corporation of Dubai che dal Dubai International Financial Center. Tra questi anche Mohamed Ali Alabbar, presidente di Emaar Properties, altro colosso semi-governativo del settore delle costruzioni. Isabella Ginanni • L’INCANTESIMO DI DUBAI SI ROTTO - « Venghino siori, venghino. Un’offertaeccezionale,due appartamenti al prezzo di uno... Venghino siori... ». Non aveva certo i toni da imbonitore di un circo ma quelli più compassati di una società immobiliare, eppure l’inserzione pubblicitaria comparsa qualche tempo fa sui giornali di Dubai non è passata inosservata. Cercate un appartamento di due stanze e un soggiorno? – era il senso dell’annuncio – Volete spendere almeno 600mila dollari? Bene, noi vi vendiamo la vostra casa e, in più, vi aggiungiamo un altro appartamento con un salotto e una stanza. E ve lo diamo gratis.
Come in un 3x2 al supermaket, come in una televendita di materassi su una tv di periferia, mister Imad Al-Anani, il chief executive officer della Imad Real Estate, aveva sbattuto in faccia al mondo ciò che fino ad allora nessuno aveva mai osato:lacrisi di Dubai,l’Eldorado della finanza, la Mecca del lusso, dei centri commerciali, degli alberghi a sette stelle, delle isole artificiali più grandi del mondo, dei grattacieli alti un chilometroe delle piste da sci sotto il sole a cinquanta gradi. Ancor prima di Dubai World, con i suoi "due appartamenti al prezzo di uno", mister Imad aveva così apposto il sigillo all’inizio della parabola discendente della prodigiosa macchina da guerra di Dubai. Un profeta, mister Imad. Da 600mila dollari, ma comunque un profeta.
L’irresistibile (fino a oggi) ascesa di Dubai ha sfidato tutte le regole possibili e immaginabili. Come si spiega che un piccolo villaggio di pescatori di perle si trasformi nel giro di qualche decennio in un centro internazionale della finanza e dell’industria e riesca ad attrarre milioni di visitatori da tutto il mondo? L’uomo che può raccontarlo è certamente uno solo, il cui nome campeggia ogni giorno sui giornali irregimentati della città: sua altezza lo sceicco Mohammed bin Rashid al-Maktoum, emiro di Dubai, due mogli e 17 figli (10 femminee sette maschi), insigne poeta e amante dei cammelli e dei cavalli. "Big Mo", così lo chiamano i suoi sudditi, ha un patrimonio personale di 14 miliardi di dollari, ma si potrebbe dire che tutta Dubai gli appartenga. Ha preso le redini dell’emirato nel 2006, dopo la morte del fratello, e da allora la crescita della piccola città-stato è stata inesorabile e progressiva. Almeno fino a ieri.
Oscurata dai cugini-rivali di Abu Dhabi, che possiede tutte o quasi le riserve petrolifere dei sette sceiccati degli Emirati Arabi Uniti, Dubai non aveva alternative per sopravvivere: diversificare l’economia.
Al-Maktoum ha schiacciato l’acceleratore sulla strada tracciata dal fratello. Ha dato impulso alle zone economiche speciali, che in pochi anni hanno attratto migliaia di imprese da ogni angolo del globo, attirate come mosche dalle esenzioni fiscali. Un successo. Enorme, impetuoso.
Ma se così è, si è chiesto, perché non replicarlo, moltiplicandolo all’infinito? E allora, ecco il Dubai financial center, il moderno quartiere al centro della città dove si sono trasferite tutte le più importanti banche e istituzioni finanziarie mondiali. Ecco Dubai media city, la città dei media e di internet, dove hanno sede tv, giornali, società di pubblicità e di marketing, compagnie di telecomunicazioni, di software e del web,anch’esse con i loro sgravi fiscali. E poi Dubai international city, Dubai silicon city, Dubai sport city, ancora in costruzione. Un florilegio di Dubaie di City intervallate da sostantivie da aggettivi. Vere e proprie slot machine per le casse dello Stato.
Ma non basta, perché con le più grandi imprese industriali e finanziarie del mondo, ecco anche centinaia, migliaia di dipendenti stranieri, europei, australiani, americani. Oggi solo il 10% degli oltre 1,3 milioni di abitanti di Dubai sono originari della città: gli "emiratini" sono una razza rara e accudita dal loro emiro, come i panda. E questa massa di stranieri aveva bisogno di mangiare, di acquistare auto e vestiti, di dormire in case nuove e dagli standard elevati. Via, allora, anche al mercato immobiliare, che dal 2004 fino all’anno scorso ha vissuto un boom senza alcun paragone al mondo. Gli stranieri erano affamati di abitazioni e lo sceicco alMaktoum gliele ha date.
Dubai è da anni un cantiere perpetuo, costellato da gru, dove immigrati pakistani, indiani e cingalesi lavorano giorno e notte alla costruzione di grattacieli, centri commerciali, isole artificiali, albeghi e resort. Pagati con uno stipendio da fame, stipati nei prefabbricati costruiti nell’emirato vicino, Sharja, a pochi chilometri da Dubai. Chilometri che si tramutano in un incubo nelle ore di punta, quando migliaia di auto si incolonnano senza soluzione a passo d’uomo lungo la principale e unica arteria di Dubai, la Shaykh Zayed Road. Gli immigrati hanno costruito questa città, senza diritti e con l’unica certezza dell’espulsione in caso di proteste: niente scioperi, niente rivendicazioni. Nulla di nulla.
Ma al-Maktoum, sua altezza il poeta, ha meditato ancora e ha pensato che anche il turismo poteva portare soldi a palate. Come attirarli, però, in una città costruita sulla sabbia, con attorno niente altro che il deserto? Non ci ha messo molto a fare di Dubai la Las Vegas del Medio Oriente. In tutto il mondo i turisti la mattina lasciano gli alberghi per andare in giro per le città. Ma a Dubai no. A Dubai lasciano gli alberghi per andare a vedere altri alberghi, come il Burj al-Arab, l’hotel a forma di vela,diventato l’icona della città. O per visitare attrazioni che potrebbero sorgere in qualunque luogo, ma che con Dubai non hanno nulla a che vedere.
Geniale, il meccanismo ideato da sua altezza.Finché l’economia mondiale marciava a pieno ritmo, il sistema ha funzionato. Le case passavano di mano una, due, tre volte ancora prima che fosse gettata la prima pietra. E i prezzi salivano, salivano senza fermarsi. I soldi arrivavano copiosi più che mai, alcuni anche sporchi, per la verità. Ma sua altezza ripeteva: «I soldi sono come l’acqua, bloccane il flusso e ristagneranno ». Già. Ora i soldi si sono fermati. E Dubai ristagna. Angelo Mincuzzi • I VIP ALLA CORTE DELLO SCEICCO - Michael Schumacher, Angelina Jolie con Brad Pitt, e Pamela Anderson. Questi i nomi dei vip che vengono avvicinati al progetto The world,l’arcipelago artificiale situato a quattro chilometri dalla costa di Dubai, composto da 300 isole, ordinate in modo tale che viste dall’alto formano l’intero planisfero terrestre. Ogni isola dista cento metri una dall’altra e la loro superficie va dai 14mila ai 42mila metri quadrati: l’intera costruzione-sviluppata da Nakheel (Dubai Wor-ld), copre un’area di nove chilometri in lunghezza e sei in larghezza. Il progetto è stato voluto dallo sceicco Mohammed bin Rashid al-Maktoum e, partito nel settembre 2003, doveva secondo i piani iniziali essere ultimato cinque anni, nel gennaio 2008.
Al momento il cantiere è fermo. Finora è stata realizzata solo una villa con piscina, appartenente proprio all’emiro, servita come campione da mostrare ai potenziali acquirenti. Sugli altri isolotti neanche un filo d’erba o un mattone, dopo che sono state posate 34 milioni di tonnellate di pietre su 320 milioni di metri cubi di sabbia dragata del mare, per un costo totale dell’opera stimato in 14 miliardi di dollari. Nel gennaio 2008 risultava venduto il 60% delle isole per una cifra, a seconda della dimensione, da 11.550 a 38.500 euro al metro quadrato.
Ma tra il 2005 e il 2008 sono stati molti i vip – tra quelli che potevano permettersi certi acquisti - che hanno fatto la corsa per accaparrarsi un appartamento fantasmagorico su una delle torri ultramoderne della Dubai Marina, sulle Jumeirah Islands o sulla Palm Jumeirah.
Tra i nomi più noti avvicinati all’acquisto di immobili figurano quelli del tennista Roger Federer, del calciatore David Beckman, del cantante Rod Stewart e del musicista Tommy Lee. Beckham ha una vera passione per Dubai dove ha trascorso anche lo scorso Capodanno in compagnia della famiglia nella sua casa con cinque bagni, piscina e spiaggia privata nella Palm Jumeirah, l’isola artificiale collegata alla terraferma da un ponte di 300 metri e da un tunnel sottomarino eche comprende 500 appartamenti, duemila ville, 25 hotel e 200 negozi di lusso.
La nazionalità più presente tra i vip dell’emirato è quella inglese, la professione quella di calciatore. Insieme a Beckham l’hanno infatti eletta come residenza estiva anche l’ex pallone d’oro Michael Owene altri quattro ex compagni di squadra al Manchester United: Gary Neville, Paul Scholes, Wes Brown e Nicky Hutt. Completano la colonia inglese, oltre a un allenatore e a un massaggiatore, altri quattro giocatori (Wayne Bridge, Ashley Cole, Kieron Dyer e David James). Enrico Bronzo • IL RISCHIO DEFAULT PIEGA LE BORSE MONDIALI - difficile dire quali e quanto grandi siano le conseguenze economiche della possibile insolvenza di Dubai World, il fondo che fa capo all’omonimo emirato. Ma dalla reazione vista ieri sui mercati finanziari internazionali, ci si figurerebbe una crisi comparabile a quelle che s’abbatterono sulla Russia o sui paesi asiatici nel 1998. Ammesso che siano interamente a rischio i 60 miliardi di dollari di Dubai World, si tratterebbe di perdite per il sistema che sono meno della metà di tutte le svalutazioni effettuate da Citigroup e più o meno quelle fatte da Hsbc o Lloyds tra il 2007 e il 2009. E senza alcun rischio sistemico. Per questo cadute superiori al 3% delle borse europee, il forte calo dei rendimenti dei titoli di stato, quello del prezzo del petrolio e tutte le altre reazioni viste sui mercati del credito appaiono eccessive e spiegabili più con il ritorno della paura tra gli investitori che da razionali considerazioni.
Forse l’Europa ha drammatizzato (-3,3% lo Stoxx), perché è venuto meno il faro di Wall Street, chiusa ieri per il giorno del Ringraziamento. E in ogni caso andrebbe notato come il future sull’S&P500 (per quanto poco significativo possa essere a causa di scambi alquanto rarefatti) sia sceso di un più modesto 2,1%. La volatile borsa di Milano ha perso il 3,6%; il più compassato mercato di Londra il 3,18%; in mezzo Parigi (-3,41%) e Francoforte (-3,25%). Ma un mercato periferico come quello greco, già alle prese con una crisi del sistema paese che dura da oltre un mese, è franato del 6,2%: e fa una caduta del 23% dal 20 ottobre. Anche in Asia s’èavvertito ilrischio Dubai:e ben più a Shanghai (-3,6%) che nella borsa di Tokyo (-0,6%), anch’essa afflitta da una sua debolezza che dura da due mesi. I mercati emergenti, come li misura l’indice Ms, sono calati del 2,2%.
Siccome i problemi dell’emirato hanno soprattutto a che fare con il credito, è ovvio che le perdite maggiori si siano viste tra i titoli finanziari: in Europa, assicurazioni (-4,3%) e in particolare le banche (-5%). Tra quest’ultimo settore spiccano gli istituti inglesi che dovrebbero essere i più esposti con il fondo del Dubai: -4,8% Hsbc, -8% Barclays, -5,8% Lloyd, -7,8% Rbs,-5,8% Standard Chartered. E come spesso accade, i mercati puniscono tutti quasi allo stesso modo, non facendo troppa differenza tra una Deutsche Bank (-6,4%), che qualche esposizione dovrebbe averla tra gli emirati, e UniCredit (-4,9%) che sembrerebbe invece sostanzialmente estranea. In ogni caso la reazione pare eccessiva. Un tempestivo studio di Goldman Sachs sui due istituti più esposti con Dubai World, Hsbc e Standard Chart, stima perdite (nel peggiore dei casi) pari a 611 milioni di $ per il primoe a 117 per il secondo: con un’incidenza rispettivamente del 4,6% e del 3,9% sugli utili 2010 e dello 0,5% e dello 0,6% sul patrimonio. Quasi nulla.
S’è detto che le conseguenze si sono viste su tutti i mercati finanziari.
Hanno sofferto quelli delle materie prime, con il petrolio scivolato a 76 $ e con il settore dell’industria di base caduto in Europa del 5,3%. E di contro hanno gioito quelli obbligazionari, dove i prezzi sono saliti e di conseguenza i rendimenti sono scesi bruscamente. Quello del Bund decennale tedesco è finito al 3,14%, non lontano dai livelli dello scorso aprile. L’accresciuta avversione al rischio ha pure allargato gli spread (differenziali) di rendimento tra i titoli di Stato dei diversi paesi. In particolare quello dei BTp decennali italiani è salito a 88 centesimi rispetto al Bund, con un balzo di 26 centesimi in due settimane, quando lo scarto dei titoli spagnoli è aumentato appena di 9 centesimi a 59 punti. Anche in questa nuova ondata di avversione al rischio sono i paesi più deboli, come l’Italia, a pagare le maggiori conseguenze. E come è stato durante la crisi del credito, il dollaro s’è rafforzato su quasi tutte le valute (eccetto lo yen): pure sul franco svizzero dopo l’intervento della banca centrale elvetica. Walter Riolfi • I MILLE AFFARI INTERNAZIONALI DELL’EMIRO - Volevano riqualificare il lungomare di Palermo e dare vita al progetto di Renzo Piano nell’ex area Falck di Sesto San Giovanni vicino a Milano. Entrambi i progetti sono però morti prima di nascere. Così Dubai, a parte una quota nel parco dei divertimenti Gardaland, in Italia non ha mai investito un euro. C’è solo un "chip" indiretto: la Borsa di Dubai è azionista al 20% del gruppo London Stock Exchange, di cui fa parte anche Piazza Affari. Ma nulla più. Meno male, potremmo aggiungere, date le difficoltà attuali dell’emirato. Anche perché nel resto del mondo le tante braccia finanziarie di Dubai sono arrivate pressoché ovunque: da Sony ad Eads fino al Cirque du Soleil. I suoi investimenti spaziano dal settore marittimo a quello immobiliare, dall’intrattenimento alle materie prime. E su alcune di queste società la crisi dell’emirato potrebbe avere un impatto.L’Italia sembra invece risparmiata.
Il piccolo emirato, con meno di un milione e mezzo di abitanti, ha allungato i suoi tentacoli finanziari in giro per il mondo attraverso tre società pubbliche o fondi sovrani: Dubai International Capital, Dubai World e il neonato Dubai Financial Support Fund.
Se quest’ultimo non ha ancora avuto il tempo per operare, i primi due investono in giro per il mondo da anni. Dubai international capital ha per esempio investito 600 milioni di sterline nel gruppo inglese Alliance Medical e 800 milioni di sterline nel gruppo del divertimento Tussauds. Quando quest’ultimo si è fuso con Merlin (del fondo Blackstone), Dubai si è trovato azionista del secondo più grande gruppo mondiale dopo Walt Disney in tema di parchi dei divertimenti. Ma il colpaccio il fondo dell’emiro l’ha tentato nel mondo del calcio: prima ha provato ( invano) a comprare il Liverpool e poi si è vociferato di un suo interesse sul Milan. Nulla di fatto, però.
Ancora maggiore l’espansione del Dubai World, il gruppo in crisi. Ha per esempio investito, attraverso la controllata Isthmar, in 50 aziende mondiali per 2,6 miliardi di dollari. Un esempio? Cirque du Soleil. Attraverso un’altra controllata, cioè DP World, fornisce servizi nei terminal di 49 porti che si trovano in 31 diversi paesi del mondo. Ma è un’altra società controllata dal Dubai World, Limitless, ad avere attirato i riflettori italiani. La società il 24 dicembre di un anno fa aveva firmato con il gruppo Risanamento un contratto preliminare per acquistare l’area Falck di Sesto San Giovanni. L’importo pattuito era di 475 milioni di euro, che avrebbero forse evitato il quasi- fallimento di Risanamento. Ma pochi mesi dopo, il 19 marzo, tutto è saltato. E quasi quasi è saltata anche Risanamento. Anche l’altro sogno immobiliare di Limitless, la riqualificazione del lungomare di Palermo, è andato in fumo: la città siciliana non ha mai fatto un bando di gara. Restano, per l’Italia, solo un po’ di timori sulla quota del 20% detenuta dalla Borsa di Dubai nel London Stock Exchange. Per ora a Piazza Affari nessuno sembra preoccupato, ma se Dubai dovesse vendere le sue azioni nell’assetto proprietario della Super-Borsa cambierebbero molte cose. Morya Longo • DAL MATTONE ALLA MODA L’IMPATTO SUL «MADE IN ITALY» - Il terremoto finanziario con epicentro Dubai si sente fino all’Italia. Perchè dal design alla moda, dall’arredamento alla meccanica di precisione, dall’immobiliare all’ingegneria, una buona fetta di Made in Italy ha fatto affari con l’emirato il cui braccio finanziario è finito in crack.
Partner commerciale tutt’altro che irrilevante (gli Emirati Arabi Uniti nel loro complesso, rivela la Sace, comprano beni dal nostro Paese per oltre 5 miliardi di euro l’anno),a Dubai oggi si contano filiali di un’ottantina di aziende italiane. Gli arabi negli ultimi anni sono stati assidui clienti delle aziende di casa nostra. Sui giornali sono finiti i casi più ce-lebri, come l’hotel aperto da Giorgio Armani, ma ci sono decine di aziende che lavorano sottotraccia.
Tutto il settore gioielleriamobili- oreficeria, per esempio, movimenta a Dubai un giro d’affari da 1,4 miliardi. Poltrona Frau, il gruppo di design e arredamento di lusso, ha una società controllata a Dubai, la Frau Arabia, cui fa capo uno show-room aperto nella capitale per la clientela retail. Ma queste sono presenze spot che hanno poca incidenza nei bilanci. Più di peso è il ruolo nell’ingegneria e nell’impiantistica dove le imprese si sono aggiudicate commesse da centinaia di milioni di euro. Impregilo sta costruendo vari dissalatori: alcuni sono stati completati e incassato il relativo pagamento. Ancora aperta c’è però solo la costruzione di un ultimo impianto da 700 milioni e, avverte la società, «siamo al 90%, non ci sono rischi di perdite». Il gruppo cesenate di trivellazioni Trevi è invece uscita da Dubai: su un portafoglio di 193 milioni di opere, solo 14 milioni vengono dall’emirato e, spiegano, «sono tutti sicuri ». Nell’area operano anche Saipem, la divisione di progettazione dell’Eni che ha una filiale (ma nel portafoglio ordini non risultano ammontari significativi a Dubai) e il gruppo romano di costruzioni Salini.
Sul fronte immobiliare c’è da segnalare la presenza in loco di Seasif Group, 4,5 miliardi di euro di fatturato, dove si sta occupando della costruzione di torri nella Marina e in Silicon Oasis. Il business, oltre alla vendita, include anche la gestione degli appartamenti per i cinque anni successivi alla consegna. Ci sono poi molte agenzie immobiliari italiane che hanno sviluppato accordi con alcune loro consorelle negli Emirati, principalmente per quanto riguarda i progetti su carta, ma pochissime hanno istituito una sede propria a Dubai regolarmente registrata al Rera (Real estate regulatory agency). Tra queste c’è l’italiana Multiplata, da quattro anni presente sul territorio in aree come Downtown e la Palma.
Tra gli operatori attivi nella commercializzazione degli immobili figurano anche Ellebiemme, Professionecasa prestige international, Volpes International e il gruppo Gabetti che, oltre a svolgere l’abituale attività di intermediazione per conto terzi, nel 2007 aveva acquisito un piccolo patrimonio immobiliare destinato alla rivendita. Chiaramente è ancora tutta da capire l’estensione del crack e soprattutto da valutare l’impatto sugli affari delle imprese italiane. L’Italia, per sua fortuna, non figura sul podio dei maggiori investitori negli Emirati. I primi tre paesi, spiegano gli esperti della Sace, sono Usa, Inghilerra e India. Enrico Bronzo, Simone Filippetti • INTERSCAMBIO - Partner di export
Gli Emirati Arabi Uniti (composto da 7 paesi di cui Dubai fa parte) alimentano un import dall’Italia pari a 5,2 miliardi di euro. Il nostro Paese non è comunque sul podio per interscambio.
Ingegneria, costruzionie impiantistica sono i settori più presenti: Impregilo sta costruendo dissalatori, Saipem (gruppo Eni) e Salini Costruzioni sono presenti sull’area.Il gruppo di design Poltrona Frau è il capofila del lusso Made in Italy che negli Emirati movimenta 1,4 miliardi • BRACCIA FINANZIARIE
Dubai World
Il gruppo ha un portafoglio di investimenti in vari settori: trasporti, servizi finanziari, porti, energia, risorse naturalie sviluppo urbano.
Dubai International Capital
un fondo pubblico di private equity. Ha partecipazioni in Eads, Sony, Icici Bank, Almatis, Alliance Medical, Merlin Entertainment, Travelodge Hotels e Tussauds.
Borsa di Dubai
azionista al 20% del London Stock Exchange, che controlla la Borsa italiana • DOMANDE & RISPOSTE • Cosa può accadere a chi ha versato soldi per acquistare un’abitazione da una società di Dubai World?
La cancellazione di progetti già venduti ha "obbligato" anche giganti come Nakheel- così come gli altri Dubai Properties, Tatweer ed Emaar- a studiare nuove strategie per tutelare chi ha già acquistato, senza dover restituire gli incassi. Dalla scorsa primavera è nata la "nota di credito". « una sorta di "buono" di pari valore rispetto alla spesa già sostenuta per il progetto non realizzato ”spiega Francesco Rossi, agente di Coldwell Banker per il settore commerciale ”da spostare e far valere su altri progetti finiti realizzati del medesimo developer. Maa Dubai tutto va velocemente e la nota di credito si è già trasformata a sua volta in un business: chi ha investito rinuncia così a installarsi in città, rivendono la nota a un 35% in meno, tirandosi fuori velocemente dal mercato, con una soluzione abbastanza "indolore" rispetto allo spauracchio di un progetto già pagato e mai consegnato». • Cosa sta succedendo al mercato residenziale di Dubai?
Nel 2009 sono andati avanti tutti i progetti più "economici", perché il problema attuale dei developer è il cash-flow e perciò sono finiti in attesa quelli più dispendiosi. Il fulcro dello sviluppo adesso è in mezzo al deserto, dove si concentra il 90% dei cantieri attivi. • Quali sono i progetti riconducibili a Dubai World? Nakheel sta costruendo veree proprie città nella città come Jumeirah Village ”il cantiere più
hot del momento – Jumeirah Islands, Jumeirah Parke Jumeirah Heights e sta completando la super-chic Palm Jumeirah. Sono agli ultimi ritocchi anche le tre aree confinanti di Ibn Battuta Mall, The Gardens e Discovery Gardens e ”dalla parte opposta alla città in direzione dell’Oman’ International City. Dubai World si occupa anche del mega-cantiere Dubai world central che circonderà e includerà il nuovo aeroporto in costruzione nella zona di Jebel Ali, in apertura prevista nel 2010 solo per la sezione cargo e fornito di sei piste parallele che, una volta a regime anche per la sezione passeggeri, permetteranno di viaggiare verso il 95% delle destinazioni mondiali senza effettuare scali. • Quali sono gli altri importanti progetti in cantiere a Dubai?
Sono in consegna le torri nella zona di Jlt (Jumeirah Lakes Towers, di fronte alla Marina, ma al di là della trafficata Sheikh Zayed Road) mentre procedonoi lavori in Sports City dove sono state ultimate quest’estate le ville sul campo da golf e gli appartamenti in Canal residences. Rallentano invece le operazioni in Motorcity dove le attenzioni si stanno concentrando in un’unicaarea.
Scendendo verso Downtown, tra i super cantieri in piena attività ci sono quelli di Old Town (dove tante residenze sono già state consegnate), la nuova "Manhattan" di Dubai che ha strappato alla Marina la leadership in fatto di esclusività e che interpreta un circuito di lusso, tra shopping e attrattive, che ruota intorno all’area del Burj (la torre più alta del mondo che sarà inaugurata a dicembre) e si spalma tra Lake fountain e il Dubai mall, il centro commerciale più grande del mondo. Qui, a titolo di esempio, un appartamento costa da un minimo di 2.400 a un massimo di 4mila euro al mq (fino a 6mila euro per il lusso, residenze di Armani escluse) e non si praticano grandi sconti; mentre valgono assai meno gli immobili della confinante Business Bay (per la maggior parte uffici, ma anche tanti appartamenti intorno ai 2mila euro, con sconti fino al 50% su acquisti multiplio in contanti) dove per il momento mancano le infrastrutture, a partire dalle strade e dalle allacciature di acqua e luce.
En.Br. • BANCHE UE ESPOSTE PER 40 MILIARDI - Le banche europee non escono allo scoperto ma le prime stime indicano che la loro esposizione nei confronti del sistema Dubai ammonterebbe a circa 40 miliardi di dollari. La cifra equivale a metà dei debiti della città stato, che ammontano a circa 80 miliardi di cui 60 sono a carico della sola Dubai World.
Tanto è bastato ieri per creare nervosismo sui mercati e per penalizzare il settore finanziario. La stima dell’esposizione delle banche europee è stata fatta ieri da Credit Suisse, in una nota diffusa ai propri clienti a commento di dati Dealogic. Secondo gli analisti della banca svizzera, gli istituti di credito europei dovranno affrontare un incremento del 5% gli accantonamenti sui crediti inesigibili previsti per il 2010, a seguito delle ultime notizie arrivate dal Medioriente. «In base ai dati riportati da Dealogic, l’ammontare dei bond emessi è di circa 10 miliardi di dollari mentre altri 26 miliardi sono il debito sindacato ancora in essere delle controllate di Dubai World a partire da inizio 2005» spiega la nota di Credit Suisse, precisando inoltre che: «normalemente le banche book runner delle operazioni trattengono all’incirca il 10/15% dei bond o dei finanziamenti, che sono stati emessi». Secondo la nota l’esposizione delle banche europee nella regione non dovrebbe superare l’1-2% sul totale per ogni istituto: «Se ipotizziamo che il debito totale di Dubai ammonta a 80 miliardi di dollari e ipotizziamo che il 50% sia un’esposizione delle banche europee, una perdita del 50% dell’esposizione equivarrà a un incremento del 5% degli accantonamenti per il 2010 o a un impatto di 5 miliardi di euro circa dopo le tasse» continua la nota.
Naturalmente alle prime avvisaglie della nuova turbolenza finanziaria è partita la caccia ai nomi: quali sono le banche più esposte? La Gran Bretagna sembra essere la nazione più in difficoltà. Standard Chartered, secondo le prime stime degli analisti di Ncb Stockbrokers, dovrebbe essere la più esposta in proporzione, con circa il 7% dei suoi crediti nella regione. In generale l’istituto ha un’esposizione di 18 miliardi di dollari nell’area del Medioriente, pari al 10 per cento.
Più contenuta in termini percentuali l’esposizione di Hsbc Holding pari al 2%. Il gruppo ha sui propri libri finanziamenti dell’area di 25 miliardi di dollari, pari al 3%, mentre gli Emirati Arabi Uniti contano per 16 miliardi di dollari pari al 2% dei finanziamenti del gruppo. Le altre banche inglesi (Barclays, Royal Bank of Scotland e Lloyds Banking Group) contano invece un’esposizione pari all’1 per cento.
Gli stessi nomi ricorrono in un report dell’Emirates Banks Association, che alla lista delle banche straniere più esposte negli Emirati Arabi Uniti aggiunge Abn Amro, Citigroup, Bnp Paribas, Lloyds e Calyon del gruppo Credit Agricole per un totale stimato attorno ai 36 miliardi di dollari. Le stesse banche interpellate hanno preferito non commentare.
Degli altri istituti europei l’olandese Ing Groep, che aveva curato con Hsbc, Rbs, Lloyds e Calyon un finanziamento da 5,5 miliardi di dollari a Dubai World nel giugno 2008, ha fatto sapere che la propria esposizione è ridotta. Mentre la svizzera Credit Suisse ha dichiarato che la propria esposizione «è trascurabile » e fonti vicine a Deutsche Bank fanno sapere che «non è rilevante». Secondo Dealogic, poi, fra le banche che hanno fatto da advisor in occasione di emissioni obbligazionarie o in operazioni di finanziamento compaiono anche Jp Morgan, Nomura, Dubai Islamic Bank, Bank of America, Sumitomo, Ubs, Morgan Stanley, Bank of Tokyo- Mitsubishi Sul fronte italiano Banca Mps, Banco Popolare, Banca Popolare di Milano e Ubi Banca, interpellate dal Sole 24 Ore, hanno dichiarato di non avere alcuna esposizione nei confronti di Dubai. Intesa Sanpaolo in merito alla situazione non ha fornito alcun commento, mentre UniCredit ha dichiarato di avere un’esposizione irrilevante. Moncia D’Ascenzo • I NUMERI - 80 miliardi
Debito di Dubai
Il debito complessivo di Dubai viene stimato attorno agli 80 miliardi di dollari, di cui 59 miliardi sarebbero a carico del colosso delle infrastrutturae Dubai World, fra finanziamenti e prestiti obbligazionari.
40 miliardi
Esposizione delle bance Ue
L’esposizione degli istituti dic redito europei nei confronti di Dubai dovrebbero essere pari al 50% del debito totale della cittò stato. Particolarmente pesante la posizione delle banche inglesi con Standard Chartered fra le più esposte ea seguire Hsbc, Lloyds, Barclays e Royal Bank of scotland.
all’appello,però,non mancherebbero Ing, Abn Amro, Credit Agricolee Citigroup. • FERGUSON: «ORA RISCHIANO GLI ISTITUTI REGIONALI USA» • Può il battito d’ali di una farfalla a Dubai provocare un tornado in Texas? «Sì, certo perché la crisi che ha colpito Dubai Worldè un fenomeno dalle ramificazioni globali. La prossima puntata della bolla immobiliare tornerà a colpire proprio le banche regionali americane perché la crisi del "real estate" commerciale non è affatto finita, anzi nel 2010 avremo una nuova puntata».
Niall Ferguson, storico di Harvard, uno dei massimi studiosi di crisi dell’economia, ieri a Milano al convegno organizzato da Kairos, su «Geopolitica e mercati Finanziari, prospettive 2010», non ha dubbi sulla lezione da trarre dal rischio default di Dubai World.
«Sono preoccupato per le piccole e medie banche americane, non certo per Morgan Stanley, Citigroup, J.P. Morgan o Wells Fargo, tutti istituti troppo grandi per fallire. Il problema è che negli Stati Uniti hanno già dichiarato bancarotta molti istituti di credito regionali salvati dalla Fdic, la Federal Deposit Insurance Corporation, che è ormai in ”rosso”. Cioé le casse dell’organismo americano sono state prosciugate dalla copertura assicurativa dei depositi delle banche fallite negli Stati Uniti: ben 153 dall’inizio del 2008».
Il professore segue un filo rosso che collega le varie parti del mondo come se vedesse scorrere davanti agli occhi un film di altre crisi del passato: «Dubai è parte integrante di una storia globale, un problema che parte negli Stati Uniti e ha ramificazioni nelle banche regionali per poi distribursi nel mondo», spiega Fergusson.
«Non penso però che Abu Dhabi lascerà fallire Dubai, escludo cioè un default del debito sovrano anche se l’emirato in cambio perderà la sua autonomia politica », precisa lo storico. «Se vuole invece una chiave di lettura più ampia, il fenomeno si inserisce in una quadro dove all’inizio c’è il debito privato, causato dall’uso eccessivo della leva finanziaria da parte di istituti bancari privati, un fattore che successivamente si trasforma in debito pubblico, a causa dei piani di stimolo messi in atto dai governi per uscire, come insegna John Maynard Keynes, dalla crisi».
Il professor però non vede all’orizzonte un effetto contagio nella zona euro. «Escludo il rischio di un contagio nell’eurozona, (penso alla difficoltà dei bond sui debiti di Grecia o Irlanda, nazioni piccole e indebitate), perché la Bce interverrà con una sorta di salvataggio. Non è pensabile mettere in crisi la credibilità della moneta unica, anche se ci sono tensioni a causa di una mancanza di unione fiscale dei paesi membri dell’euro».Vecchia storia, ma di questi tempi pochi hanno voglia di mettere mano a questo tassello che manca nella costruzione europea.
Chi ci porterà fuori dalla crisi, dunque? «Non fate affidamento sul consumatore americano che per ora è fuori gioco: i debiti della famiglie degli Stati Uniti sono al 118% del reddito disponibile, certo in calo rispetto al picco di 127%, ma ancora lontano del rassicurante 89% del 1999». Il vero rischio? «Che i politici siano tentati da risolvere la crisi in modo irresponsabile: cioè stampando banconote, per pagare il conto e ridurre i debiti, E se la tentazione si avverasse i tassi salirebbero». Vittorio Da Rold • A DUBAI STOP ALLA MUSICA ALLEGRA - U na bolla immobiliare con pochi uguali al mondo. Un uso scriteriato della leva finanziaria. L’aspettativa che, se lo cose fossero andate male, qualcuno sarebbe accorso al salvataggio. Nella vicenda Dubai World, che ha chiesto una moratoria ai suoi creditori, ci sono tutti gli ingredienti che hanno portato alla più ampia crisi finanziaria mondiale. In qualche caso, amplificati. A chiunque visitasse Dubai, gli eccessi avrebbero dovuto balzare agli occhi. Così come a chi osservava gli eccessi della finanza globale. In entrambi i casi, si è preferito ignorarli, perché «fin che la musica suona, bisogna ballare», come diceva il ceo di Citigroup prima della crisi, Chuck Prince. E soprattutto, in quel giro di ballo, c’era da far soldi a palate.Ora la musica si è fermata, anche a Dubai. Nell’ultimo anno, governi e banche centrali hanno faticosamente stabilizzato il sistema internazionale e forse il rischio di contagio dall’emirato è contenuto. Ma Dubai dimostra che le scosse di assestamento della crisi sono destinate a continuare.