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 2009  novembre 27 Venerdì calendario

VARI PEZZI SU DUBAI

(Corriere della Sera) -

Giancarlo Radice, Corriere della Sera 27/11/09

Dubai scuote le Borse. Bruciati 152 miliardi -

Si è salvata solo Wall Street, chiusa nel giorno del Ringraziamento. Ma sulle piazze finanziarie del resto del mondo quello che si è di col­po materializzato ieri è lo spet­tro del default di Dubai, la per­la del Golfo, il simbolo massi­mo di quell’immagine di opu­lenza che i sette Emirati Arabi Uniti hanno irradiato in que­sti anni per il pianeta con i lo­ro progetti di grattacieli fanta­scientifici e di shopping mall da fiaba. E’ infatti molto più di uno scricchiolio quello an­nunciato mercoledì da Dubai World, l’onnipotente holding statale cui fanno capo giganti del real estate, dell’energia, della logistica, della finanza. A gelare i mercati mondiali è la richiesta che Dubai World ha rivolto ai creditori per ottene­re il congelamento, almeno fi­no al maggio 2010, dei suoi de­biti e di quelli della controlla­ta Nakheel: in tutto si tratta di un macigno da 59 miliardi di dollari, circa il 70% di quegli 80 miliardi di dollari di esposi­zione complessiva dell’Emira­to.

Per i mercati azionari d’Eu­ropa e Asia è stato uno choc. Solo nel vecchio continente sono andati in fumo ieri oltre 152 miliardi di euro di capita­lizzazione, con l’indice paneu­ropeo Dj Stoxx 600 che ha per­so il 3,3%, registrando la mag­gior caduta dello scorso mese di marzo. Sotto tiro sono finiti innanzitutto i titoli bancari: da Barclays (meno 7,97%) a Rbs (meno 7,75%), da Lloyds (meno 5,75%) a Deutsche Bank (meno 6,38%), Société Générale (meno 5,48%), Crédit Agricole (meno 5,19%), fino alle italiane Unicredit (meno 4,85%) e Intesa (meno 4,10%), Ubi (meno 4,05%) e Mps (meno 3,97%). Ma un crollo analogo lo hanno regi­strato anche gruppi di costru­zioni e d’investimenti immobi­­liari, così come le compagnie d’assicurazione. E molto peg­gio è andata a chiunque abbia legami diretti con il Golfo. I ti­toli del London Stock Exchan­ge sono precipitati del 7,37% per effetto della partecipazio­ne detenuta dalla Borsa di Du­bai, uno dei suoi maggiori azionisti con il 21% del capita­le. Allo stesso modo, un’onda­ta di vendite ha colpito due grandi case automobilistiche tedesche: Daimler, di cui il Ku­wait detiene il 6,9% del capita­le, ha ceduto ieri il 4,13%, mentre Volkswagen, di cui il Qatar è socio al 6,7%, ha lascia­to sul parterre addirittura il 6,11%.

E oggi il «fattore Dubai» si trasferirà anche a New York, dove la Borsa aprirà i battenti con orario ridotto per il black friday . Già ieri l’andamento dei futures sui titoli, tutti in forte flessione, non lasciava presagire niente di buono. Ma secondo lo storico dell’econo­mia Niall Ferguson, che ieri era in Italia per partecipare al convegno organizzato da Kai­ros, più che la situazione nel Golfo a preoccupare sono le condizioni di molte banche Usa di medie dimensioni. La crisi finanziaria mondiale ha già fatto saltare 153 istituti, e ora, secondo Ferguson, la de­bolezza del settore potrebbe essere aggravato dalla scarsità di fondi a disposizione della Federal Deposit Insurance Cor­poration, l’agenzia americana che assicura i crediti.

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Federico Fubini, Corriere della Sera 27/11/09

Tra Blackberry spiati e sceicchi tribali. Il mito del Golfo fa crac -

Quando mesi fa Trevor Cooper di Moody’s cer­cò di parlare al governo di Du­bai, non trovò una sola segreta­ria disposta a riceverlo. C’è da capire. Cooper fa l’analista di una di quelle agenzie che pre­tendono di giudicare, spesso sbagliando, se un debitore falli­rà. Ma l’emirato è una monar­chia assoluta. E anche nell’era dei grattacieli di 800 metri e dei fondi sovrani, questo signi­fica esattamente ciò che signifi­cava nel medioevo: il sovrano Sheikh Mohammed bin Rashid al-Maktoum è lo Stato e incar­na la legge, nessuno può chie­dergli quali società e quanti de­biti siano suoi, dell’emirato o magari di qualche altro azioni­sta. Nessuno lo deve sapere.

Ovvio alla fine che Cooper si sia mosso come si fa con con un governo che chiede ai merca­ti decine di miliardi, ma non dà loro udienza: declassamento, costo del debito alle stelle e il crac un passo più vicino. Poi pe­rò l’analista di Moody’s que­st’estate ha ricevuto sul suo Blackberry una richiesta. In ve­rità anche gli altri 145 mila pro­prietari di un Blackberry negli Emirati Arabi Uniti, quasi tutti uomini di finanza importati dal­l’Europa o dall’America, l’anno ricevuta insieme a lui. Era un messaggio che invitava a scari­care un software e da quel gior­no le batterie dei palmari non hanno funzionato più. Ben pre­sto molti trader, broker e ban­chieri di Londra o New York, ar­rivati nel Golfo in cerca di fortu­na, hanno capito cos’era succes­so: gli emiri avevano incaricato la società californiana Etisalat di infiltrare un sistema spia nei telefoni dei manager per inter­cettare i loro messaggi.

Incompetenza, paranoia, ma­nia di grandezza sono tratti del carattere che difficilmente fun­zionano anche nel capitalismo alle corde di questi tempi. Solo un anno fa Nasser Al Shali, su­permanager del Dubai Interna­tional Financial Center, guarda­va dal suo ufficio al quindicesi­mo piano i cantieri a perdita d’occhio nel deserto e chiedeva all’Occidente «una gestione in­telligente della liquidità, inve­ce di scoraggiare la nostra par­tecipazione ai mercati». Eppu­re gli ultimi eventi ricordano piuttosto il fortuito annuncio di un funzionario della Ddr, quello che una notte rovesciò i berlinesi oltre il Muro. In fon­do a un comunicato, una porta­voce ministeriale ha messo una mezza frase sull’idea di congelare le scadenze del debi­to di Dubai World. Possibile? La holding era di fatto già com­missariata da Deloitte. Una set­timana prima, era stato defene­strato il capo del Dubai Finan­cial Centre e due ore prima due banche di Abu Dhabi avevano prestato altri cinque miliardi a Dubai. Solo il mese scorso un bond islamico da due miliardi dell’emirato era stato sottoscrit­to quattro volte l’offerta e l’uni­ca scadenza imminente da ono­rare era di 4 miliardi (a metà di­cembre).

Niente di ingestibile, in un si­stema aperto. Forse all’emiro sarebbe bastato capire che lui non dovrà render conto a Du­bai, ma Dubai deve farlo con il resto del mondo. O magari era sufficiente concedere più pote­re e più controllo (per esem­pio: sulla Emirates Airlines) ai cugini-rivali di Abu Dhabi, ric­chi loro sì di tutto il petrolio de­gli Emirati e di fondi sovrani da 800 miliardi. Ormai però l’otre dei venti si è aperto. Dal Bahrein a Riad, fino allo sfaccia­tamente ricco Qatar, il panico finanziario è l’unico vero sovra­no assoluto. Il miraggio dei grattacieli dell’Occidente rin­corso sulla base di un autorita­rismo tribale presenta il suo conto.

Poi però messaggio si riper­cuote anche lontano dal Golfo. Una scadenza (forse) mancata da 4 miliardi di dollari sul debi­to di Dubai World, ieri è costa­ta alle Borse europee 152 miliar­di di euro bruciati. Se lo Sheikh Mohammed voleva una prova della fragilità dei mercati globa­li, sostenuti fino a qui solo dal­la liquidità iniettata dalle ban­che centrali, ora ce l’ha. In Du­bai, con la sua selva di gratta­cieli vuoti o costellati di elettro­ni liberi della finanza, qualcu­no vedrà magari una metafora. Ma l’emiro no: continua a vive­re in un palazzo tribale a un pia­no solo, dietro un muro bianco che lo ripara dal mondo.

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Giuliana Ferraino, Corriere della Sera 27/11/09

Calcio, moda e cantieri. L’emirato «made in Italy» -

Nuova mecca del turismo e dello shopping internazionale, nell’im­maginario collettivo Dubai è penisole arti­ficiali a forma di palma e grattacieli altissi­mi dall’architettura avveniristica che ospi­tano la maggiore concentrazione di hotel a 5 e più stelle del pianeta. Compreso l’ Ar­mani Hotel , che occuperà parte della Burj Dubai, la torre più alta del mondo in via di completamento e l’hotel firmato Versa­ce .

E’ naturale perciò che l’emirato, dove oggi vivono e lavorano circa 3 mila italia­ni, sia diventato un polo di attrazione per le imprese made in Italy, dai produttori di marmi e piastrelle a quelli di mobili e arre­damento, dalla moda al design. Fino alla Ferrari , che ha dato il suo marchio per il nuovo parco tematico Yas, dove ci sarà la pista che ospiterà un Gran Premio di For­mula 1.

Non mancano i big. Nel settore delle co­struzioni dopo la moschea di Abu Dhabi, l’ Impregilo sta «terminando la realizza­zione di un impianto di desalinizzazione, già realizzato al 90%». La Todini ha firma­to un appalto da 83 milioni per la realizza­zione di uno svincolo stradale. Nel setto­re finanziario ci sono Intesa Sanpaolo, l’unica banca italiana presente, e le Assi­curazioni Generali , operative a Dubai dal 2008 nel ramo riassicurazione danni, mentre alla fine di aprile 2009 il gruppo triestino ha ottenuto la licenza nel ramo vita. Dietro gli hotel e i centri commerciali si sta sviluppando, però, un tessuto im­prenditoriale italiano che fa affari con tut­to il Medio Oriente. Al Big Five di Dubai, la più importante manifestazione fieristi­ca internazionale nell’edilizia mediorien­tale appena conclusa, con il ministro Clau­dio Scajola alla guida della nutrita squa­dra di imprenditori di casa nostra, sono presenti già da qualche anno i principali distretti produttivi italiani per la lavora­zione del marmo, il settore ceramico e del­l’arredo bagno, la lavorazione del vetro, le macchine industriali e per l’edilizia.

Anche le associazioni contribuiscono a intensificare gli scambi. La Camere di commercio italo-araba organizza una missione multisettoriale per le aziende italiane in collaborazione con le Camere di commercio degli Emirati Arabi Uniti e Sharjah.

Si muovono anche le Camere di com­mercio regionali italiane. Il 30 settembre la Camera di commercio di Dubai è sbar­cata per la prima volta in Italia, ad Anco­na. E, per accompagnare le imprese, stan­no arrivando i professionisti, come il Dia­cron Group , finora l’unico studio di com­mercialisti italiani negli Emirati.

Dubai, di sicuro, resta tra le mete prefe­rite degli stilisti. Le grandi firme sono tut­te rappresentate. E Roberto Cavalli ha per­fino aperto, meno di due mesi, fa un Ca­valli Club . Ma si candida anche a location per lo sport. Non solo per le montagne di neve sintentica. O la Formula 1. Piace an­che al calcio. E se l’emiro Al Maktoum sa­rebbe stato interessato all’acquisto di un pezzo del Milan , la squadra del Cavaliere l’anno scorso ha scelto proprio l’emirato per la sosta invernale e dovrebbe fare il bis quest’anno.

L’accelerazione negli investimenti? Dal 2002 al 2006 le imprese italiane hanno ac­quisito commesse negli Emirati per 4,990 miliardi di dollari e per 4,468 miliardi da luglio 2006 a gennaio 2008.