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 2009  novembre 26 Giovedì calendario

DUE BIMBI BATTONO L’OMERTA’


Solo l’innocenza ci può salvare, come dimostra questa storia di Ugento, un paesino della Puglia - mare, ulivi e silenzio -, dove due bimbi di 5 e 7 anni hanno disobbedito ai grandi e hanno fatto i nomi degli assassini di un vecchio. Ci sono posti nel Sud dove l’unica legge è che non si deve parlare. Funziona così. Nella notte di luna piena del 15 giugno 2008, il consigliere comunale dell’Italia dei Valori, Giuseppe Basile detto Pippi, fu ucciso sotto casa con 24 coltellate che gli squarciarono il petto e la schiena e gli tagliarono il collo.
Urlò disperatamente prima di morire e molte luci si accesero e molte persone videro quello che accadeva nel buio di via Nizza, una stradina polverosa di periferia riempita di villette a schiera con gli ulivi in lontananza. Anche una bambina di 5 anni e mezzo si risvegliò richiamata da quelle grida. Andò alla finestra, ma era troppo piccola per riuscire a vedere. Prese una sedia più grossa di lei, facendo un gran baccano per spostarla alla luce, sopra la strada. Allora, pure la nonna che era in casa si svegliò e venne a guardare. Sotto, c’era un uomo che implorava aiuto, stretto da uno molto più giovane e più forte di lui, mentre un altro si accaniva con violente coltellate sul suo corpo. La nonna le fece solo un segno, con il dito sulla bocca: silenzio. Questa è la legge.
La bimba vide tutto con l’orrore dei piccoli, ma come se fosse un film alla tv. La nonna non le disse subito d’andar via. Sembrava aver più terrore di lei e le spiegò chi erano quelli sotto, Peppino Basile e i suoi carnefici, Vittorio Colizzi e suo nipote, Vittorio Luigi, che non aveva neanche 18 anni. Erano vicini di casa. E lo stavano massacrando per una banale lite di vicinato, non c’era di mezzo la mafia e non c’era di mezzo nient’altro che quello. Però, non importa, il silenzio è una legge che vale per tutto. Quando la piccola le disse come in un gioco, che allora avevano «i nomi dei cattivi», la nonna si inalberò: «Guai a te se parli. Sono cose da grandi. Tu non devi sapere niente». E lei obbedì. Partirono le indagini e gli inquirenti dissero ai giornali che seguivano tutte le piste, perché Peppino Basile era molto conosciuto in zona, era un politico battagliero che aveva appena fatto guerra alle speculazioni edilizie che stavano costruendo sulla spiaggia. Si trovarono di fronte a un muro di silenzio. Chiesero aiuto ai giornali e protestarono a voce alta: «è vergognoso che nessuno collabori». Ma niente. Trecento persone passarono dai giudici. La gente, però, li sfidava con l’omertà, come se il piccolo mondo di via Nizza fosse un altro paese, con le sue leggi e le sue regole. Probabilmente, i nomi degli assassini li conoscevano in tanti, ma nessuno voleva denunciarli, perché non erano affari loro, o perché, come diceva qualche consigliere comunale, «qui la gente ha paura». Solo un parroco prese a cuore questa battaglia, don Stefano Rocca di San Giovanni Bosco. Cominciò a puntare il dito dal pulpito contro quelli che tacevano: «Il silenzio di chi conosce la verità è peccato!». Tuonava contro i suoi fedeli che ascoltavano impassibili, diceva che bisogna aiutare la giustizia. Non convinse nessuno. Anzi, cominciò a ricevere una valanga di lettere anonime e minacce di morte. Qualcuno telefonò anche al 113: «Faremo fuori don Stefano se non la smette di parlare di Peppino Basile».
Non aveva convinto nessuno, don Stefano, a parte una bimba: la forza dell’innocenza. Solo lei lo ascoltò, e alla fine rivelò alla polizia quello che aveva visto. Ma si poteva crederle? La nonna continuava a smentire, e anche gli altri testimoni scuotevano la testa, «si sa come sono i bambini, hanno molta fantasia». E’ vero. Ma non quando due bambini cominciano a raccontare la stessa storia. Perché ne venne un altro, vicino di casa anche lui, appena un po’ più grande, e raccontò la stessa storia e disse come la sua amichetta che «era il più giovane degli aggressori che teneva fermo Peppino Basile», mentre l’altro infieriva con il coltello. La stessa scena vista dalla prima, piccola testimone. Vittorio Luigi era il ragazzo indicato dai due. Frequentava l’istituto professionale ed era uno dei più bravi a scuola, disse il preside Franco Fasano agli agenti che erano venuti a chiedere informazioni: «solo che all’improvviso ha smesso di venire alle lezioni», aggiunse. Dalla primavera del 2008. Poi, l’anno dopo si ritirò addirittura dalla scuola. «E noi non ce lo siamo mai spiegati», disse.
Poco alla volta, tutto sembra tornare. Ieri all’alba, gli agenti della Polizia arrestano il nonno e il nipote. Li ha smascherati una bambina: chissà che vita avrà adesso in un paese come il nostro. Il giorno stesso che il mistero s’è svelato assieme alla sua vergogna, c’è già qualcuno che protesta, come il consigliere regionale di Alleanza Puglia, Antonio Buccoliero, che tuona contro tutti: «L’arresto dei presunti responsabili di Basile restituisce serenità all’intera comunità. Perché accanto a lui c’è stata un’altra vittima, tutta Ugento, che ha dovuto assistere impotente alla demolizione mirata e sistematica dell’immagine di un paese operoso, onesto e dinamico, che invece ha sempre lottato per far conoscere la bellezza del proprio mare e la generosità della propria terra». E’ vero che il mare è più bello degli assassini. Ma a volte bisogna avere il coraggio di parlare anche del peccato, per riuscire a stare nel mondo. Come dice quasi con stupore Loredana Capone, vicepresidente della Regione, «il velo che aveva coperto tutto s’è spezzato per due bambini». Sembra incredibile, ma è così. A volte, dovremmo restare bambini per sempre per poterci salvare.