Giovanni Bianconi, Corriere della sera 26/11/2009, 26 novembre 2009
GLI OTTO VERBALI DEL PENTITO A FIRENZE CON I NOMI DI BERLUSCONI E DELL’UTRI
PALERMO – Ha impiegato quasi un anno, Gaspare Spatuzza, a fare il nome di Silvio Berlusconi collegandolo alle stragi di mafia del 1993, insieme a quello di Marcello Dell’Utri. Il primo verbale sottoscritto davanti ai pubblici ministeri di Firenze che hanno riaperto l’indagine su quegli attentati (agli Uffizi, le bombe di Roma e di Milano, il fallito attentato allo stadio Olimpico) il nuovo pentito proveniente dalla cosca palermitana di Brancaccio l’ha firmato il 9 luglio 2008. In quell’occasione l’ormai ex mafioso spiegò che Giuseppe Graviano – il suo capo insieme al fratello Filippo, entrambi ergastolani per le stragi del ”93 e per l’omicidio del parroco antimafia don Pino Puglisi – «ci parlò genericamente di politica», senza mai precisare «quali fossero i suoi eventuali contatti».
«Le rassicurazioni»
Nei due interrogatori successivi Spatuzza accenna ancora all’accordo con la politica e alle «rassicurazioni» ricevute dal suo capo, ma senza tirare in ballo nessuno. Il 16 marzo 2009 dice che «i Graviano sono ricchissimi e non mi risulta che il loro patrimonio sia stato minimamente intaccato», e aggiunge: «Questa possibilità che loro hanno di riferire l’identità dell’interlocutore politico implicato nelle stragi è come un jolly, o un asso tenuto nella manica». L’ultima carta da giocare per i boss di Brancaccio, una sorta di assicurazione. Ma ancora niente nomi, da parte del pentito. Fino al 18 giugno di quest’anno, quando si decide a raccontare la storia dell’incontro nel bar di via Veneto, a gennaio ”94, quando Giuseppe Graviano gli disse che «tutto è chiuso bene con i politici, abbiamo ottenuto quello che cercavamo» rivelando che la controparte erano, appunto, Berlusconi e Dell’Utri.
E’ tutto scritto negli otto verbali trasmessi dalla Procura di Firenze a quella di Palermo e ora finiti agli atti del processo Dell’Utri, insieme a circa mille pagine di altri interrogatori, informative e relazioni sulle attività di riscontro alle dichiarazioni del pentito che ha fatto riaprire le inchieste sulle stragi di mafia. Gli undici mesi di silenzio sul presidente del Consiglio Spatuzza li spiega con la volontà di apparire credibile prima su altre vicende altrettanto spinose, come la bomba di via D’Amelio di cui aveva già parlato coi magistrati di Caltanissetta, e col ritorno di Berlusconi a Palazzo Chigi: «Si trattava proprio di uno dei nomi che avrei dovuto implicare; ne ebbi timore, anche perché il ministro della Giustizia Alfano, che vedevo come un bambino, non mi sembrava altro che la faccia di Berlusconi e Dell’Utri... E’ la loro reincarnazione». Per i magistrati della Procura di Firenze - il capo dell’ufficio Quattrocchi, e i sostituti Nicolosi e Crini - Gaspare Spatuzza è affidabile. Molto affidabile. Per questo hanno inviato gran parte del loro fascicolo a Palermo, dove Spatuzza dovrà deporre tra una settimana nel processo d’appello sul senatore Dell’Utri, già condannato in primo grado a 9 anni di carcere. Compresi gli interrogatori, ovviamente «negativi», dei fratelli Graviano e dell’altro mafioso della loro cosca Cosimo Lo Nigro. Nonché i confronti con lo stesso Spatuzza, nei quali i tre ergastolani si proclamano innocenti ma ripetono di rispettare le scelte del collaboratore che li accusa.
«Finite le indagini e poi venite a chiedermi... Quando esce tutto ne riparleremo, se sarò ancora in vita... Io sono trattato peggio dei detenuti di Guantanamo», ha risposto agli inquirenti il quarantaseienne Giuseppe Graviano, il boss che secondo Spatuzza «ha in mano il jolly » del politico col quale trattava. Suo fratello Filippo, che di anni ne ha 48, parla un po’ di più, dice che un tempo pensava ai soldi e ora soltanto agli studi e al futuro di suo figlio. Rivendica l’estraneità alle stragi e ad altri delitti, ma quando il pubblico ministero gli chiede di parlare in generale di Cosa Nostra risponde: «No, io di certi argomenti non parlo... Fra dieci, venti o trent’anni, quando magari non ci sarò più, magari si potrà fare chiarezza su queste frasi».
I Graviano
I richiami alla tomba dei due Graviano farebbero pensare che collaborare con la giustizia è il loro ultimo pensiero, ma non si può mai dire. E da come gli inquirenti fiorentini dialogano soprattutto con Filippo, par di capire che ancora contano di ottenere qualcosa di più, almeno da lui. Per adesso devono accontentarsi di Spatuzza e dei riscontri accumulati in un anno d’indagine. Il pentito racconta che Filippo Graviano «era molto tifoso di Berlusconi e Dell’ Utri, però non è mai andato oltre a dirmi... Però potremmo riempire pagine e pagine di verbale, della simpatia, e possiamo dire dell’amore che lega lui con questi soggetti... sulla figura professionale, al di là del manager, su quello che hanno fatto. Cioè, osannava queste persone... ». Giuseppe invece, quando fu reso permanente il «carcere duro» per i mafiosi stabilito dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, esplose contro il fratello e contro Berlusconi gridando: «E’ un cornuto!»; così ricorda Spatuzza, secondo cui Filippo difendeva comunque il premier perché aveva detto che quella misura «è una legge immorale ma va approvata ».
Per trovare conferme alle ricostruzioni di Spatuzza, i pubblici ministeri fiorentini hanno riascoltato anche i pentiti che negli anni Novanta avevano parlato dell’implicazione di Berlusconi nelle stragi, provocando l’inchiesta archiviata nel 1998 e ora riaperta. Per esempio il killer della cosca di Brancaccio Giovanni Ciaramitaro, che il 22 ottobre scorso ha ripetuto di quando «Francesco Giuliano detto «Olivetti» (condannato per l’attentato ai Georgofili, ndr) mi spiegò che le stragi fatte in continente erano volte a costringere lo Stato a cedere sul 41 bis ed altro, e mi disse che dietro alle stragi ci stava Berlusconi ed altri politici. Anche perché i mafiosi non avevano la possibilità di individuare obiettivi inerenti il patrimonio artistico in continente... Poiché me lo chiedete, non ricordo se mi sia mai stato detto quali fossero le motivazioni della parte politica nel collaborare alle stragi».
All’Olimpico
Proporsi come coloro che facevano cessare la «guerra allo Stato », è l’idea di Spatuzza: i politici arrivano e dicono «la sistemiamo noi la cosa, però vogliono questo, questo e questo. E nel momento in cui la trattativa andava a buon fine, si interrompeva tutto. E’ la storia italiana, queste cose mica sono di oggi!» Il pentito ha pure spiegato nei dettagli come e perché fallì quello che doveva essere «il colpo finale», cioè l’attentato allo stadio Olimpico di Roma, verosimilmente domenica 23 gennaio 1994. Tra i riscontri, gli investigatori della Direzione investigativa antimafia indicano la presenza a Roma del telefono cellulare usato da Spatuzza in quel periodo, tra il 18 e il 24 gennaio ”94. In un’altra relazione della Dia sono riportati gli accertamenti sull’incontro tra il pentito e Giuseppe Graviano al bar Doney di via Veneto, avvenuto poco prima della mancata strage allo stadio. Già nell’autunno ”93 Graviano gli aveva confidato che «c’è in atto qualche cosa che se va a buon fine, ne avremo tutti benefici - riferisce Spatuzza - . In quell’istante per me c’è già una trattativa. Conferma che mi viene data quando incontro Graviano nel bar Doney di Roma, in cui mi conferma che si era chiuso tutto e avevamo ottenuto quello che noi cercavamo». Grazie a Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, secondo il pentito al quale la Procura che indaga sulle stragi del 1993 mostra di voler credere.