Isabella Bossi Fedrigotti, Corriere della sera 26/11/2009, 26 novembre 2009
Ritratto di Tintoretto l’artista che sfidò il genio di Tiziano- Nella Venezia del ”500 tra signori e libertini Immaginiamo un grande affresco oppure un’immensa tela, per esempio una delle tante, gigantesche e impressionanti del Tintoretto, dove si affolli una miriade di personaggi di tutte le classi sociali, di tutti i mestieri e le professioni con una figura al centro, più importante di tutte, in piena luce
Ritratto di Tintoretto l’artista che sfidò il genio di Tiziano- Nella Venezia del ”500 tra signori e libertini Immaginiamo un grande affresco oppure un’immensa tela, per esempio una delle tante, gigantesche e impressionanti del Tintoretto, dove si affolli una miriade di personaggi di tutte le classi sociali, di tutti i mestieri e le professioni con una figura al centro, più importante di tutte, in piena luce. Leggendo la più recente, sterminata opera di Melania Mazzucco, è questa l’impressione che se ne trae. E volentieri si entra dentro l’affresco, seguendo la scrittrice-conduttrice che, qual guida preparatissima, ci racconta, con pazienza e minuzia, le vicende del soggetto in primo piano e quelle di ciascuna delle comparse che lo circondano, vicine, lontane o lontanissime, ma comunque a lui collegate in modo più o meno stretto. E non si limita – la guida – a spiegare nel dettaglio le persone che via via s’incontrano, ma estende la sua lezione alla città nella quale vivono tutte quante e che è molto più che sfondo – la Venezia del Cinquecento ”, alla sua tumultuosa quotidianità civile, religiosa, artistica, artigianale e commerciale, alla sua storia, alla sua politica. appunto Jacomo Tintoretto il protagonista del grande affresco, opera, oggi in uscita in libreria, di Melania Mazzucco che ha inseguito il pittore veneziano per più di dieci anni attraverso archivi e biblioteche, musei e depositi chiusi al pubblico, finendo per scriverne la prima importante biografia mai uscita in Italia: Jacomo Tintoretto & i suoi figli (Rizzoli, pp. 1.022, e 42). Da narratrice qual è, la scrittrice si è fatta saggista per l’occasione, senza però, fortunatamente, mai perdere la costante meraviglia e il coinvolgimento personale di chi racconta una storia che l’appassiona. Del resto, questo saggio è figlio di un suo romanzo uscito un anno fa, La lunga attesa dell’angelo, libera e suggestiva reinvenzione della figura di Tintoretto: la biografia di oggi esiste, cioè, grazie agli studi e alle ricerche fatte per scrivere quel romanzo e tutto il vastissimo materiale raccolto è stato sufficiente per riempire le ottocento pagine di testo, stampate, tra l’altro, in corpo abbastanza piccolo, più le duecento di bibliografia e note. Suggestivo è anche questo libro, in innumerevoli suoi passi. Per esempio all’inizio, quando l’autrice rievoca come tutto sia cominciato con una sua lontana passeggiata attraverso il sestiere veneziano di Cannaregio e una visita alla chiesa che sorge nel suo lembo estremo, Santa Maria dell’Orto, dove è custodita la Presentazione di Maria al Tempio straordinaria tela del «più terribile cervello che abbia mai avuto la pittura », come Melania Mazzucco definisce il «suo» pittore, dopo averne cercato ed esaminato ogni possibile, minuscola traccia. E di quel quadro l’autrice fu colpita in particolare dalla figuretta di Maria, che potrebbe avere le sembianze di Marietta, l’amatissima figlia naturale di Tintoretto, erede del talento del papà e pittrice a sua volta, scomparsa però prima di potersi fare un nome. Maria-Marietta ha rappresentato, in un certo senso, il capo del filo che, come un detective, l’autrice ha seguito per – letteralmente – centinaia di chilometri. Come è suggestivo il racconto del rapporto che Jacomo, «un artista ambizioso e discusso, scorretto e devoto, colto e popolare, eccentrico e conformista, incalzato da un perenne furore creativo», intrattenne, per esempio, con il mefistofelico libertino e intelligentissimo Pietro l’Aretino, dal quale ebbe lodi ma anche veleni, sia pure camuffati dietro parole alate. Oppure con «Il» pittore veneziano per eccellenza, il numero uno, il grande Tiziano Vecellio, acclamato e lodato in tutta Europa, amico dei potenti, intimo – quasi – dell’imperatore Carlo V, che mai volle lasciare spazio al più giovane collega, mai ne riconobbe il genio, guadagnandosi fin da subito il suo precoce odio quando – per invidia secondo la leggenda – buttò fuori dall’ambita sua bottega il ragazzo apprendista Jacomo. A quell’epoca il giovanissimo pittore ancora non si chiamava Tintoretto, ma al massimo Tintore, soprannome dovuto al mestiere del padre, Battista Robusti, eccellente maestro di tintoria di origine bresciana: attività che permette all’autrice un appassionante escursus su un’arte veneziana per eccellenza, le cui regole erano fissate da norme precise e severissime, senza le quali la città avrebbe rischiato di perdere un redditizio mercato internazionale nel quale primeggiava. Era il rosso il colore principe nella Venezia del Cinquecento, degli arredi e delle vesti, nella vita come nei quadri, e serviva un insetto asiatico per ottenere il migliore e più duraturo; l’introduzione, consentita a un certo punto anche per legge, di uno meno raro, proveniente dalle nuove Indie spagnole – cioè l’America – segnò per la Serenissima l’inizio del declino del lucroso commercio. Non a caso, contemporaneamente, cominciò a dilagare, a Venezia come in tutta Europa, la plumbea moda spagnola del nero totale, della quale a volte si ha l’impressione che duri ancora. Nero plumbeo che investì anche Tintoretto nella sua tarda età, come lo vediamo nell’ Autoritratto conservato al Louvre e riprodotto qui, completamente in nero contro sfondo nero, assieme a numerose altre sue opere, alcune delle quali mai esposte in alcun museo. E il quadro conferma quel che spesso si è sostenuto, che Jacomo da vecchio non andò perdendo nulla della sua arte, ma che la sua mano, anzi, si raffinò e la sua vista di pittore si fece anche più acuta. Ci mostra un uomo stanco, rabbioso, dalle occhiaie profonde, dallo sguardo scuro, fissato nel vuoto, un uomo che ha combattuto innumerevoli battaglie, senza aver colto vere vittorie, come annota l’autrice. Forse la più impressionante e inquietante tra tutte le sue opere, ossessionò molti, pittori e scrittori, tra i quali Sartre, che a Tintoretto dedicò vari saggi, e che nell’ Autoritratto ravvisò «un viso posseduto di vecchio assassino». La vasta raccolta di note, l’ancora più ampia bibliografia dove figurano non pochi documenti inediti scoperti dall’autrice, nonché l’elenco dei nomi, faranno probabilmente la gioia degli specialisti. Al lettore «normale» basterà il resto: aggirarsi, cioè, nel grande affresco, alla scoperta del potente personaggio centrale e degli innumerevoli minori che lo circondano, familiari, parenti, amici, colleghi, artigiani, poliziotti, prostitute, committenti, gran signori, musicisti, alchimisti, preti, letterati, avvocati e diplomatici. A volte temerà forse di perdersi nel labirinto di persone e avvenimenti, ma la mano della guida è sicura.