Ida Bozzi, Corriere della sera 26/11/2009, 26 novembre 2009
L’uomo visto dal cane è un caos- Matt Haig: «Gli animali rivelano che gli umani sono preda degli eventi» In genere, quando si comincia a leggere un libro, gli si oppone da lettori una resistenza tanto maggiore quanto più ardua è la sfida proposta dall’autore (alla verosimiglianza, ai canoni, al gusto)
L’uomo visto dal cane è un caos- Matt Haig: «Gli animali rivelano che gli umani sono preda degli eventi» In genere, quando si comincia a leggere un libro, gli si oppone da lettori una resistenza tanto maggiore quanto più ardua è la sfida proposta dall’autore (alla verosimiglianza, ai canoni, al gusto). E si lotta prima di cedere alla sospensione dell’incredulità, specie davanti a un testo di letteratura con elementi fantastici. Se vince il lettore, il libro si appesantisce pagina dopo pagina e perde interesse. Se vince il libro, è un volo magico fino all’ultima parola. Con il nuovo romanzo dello scrittore inglese Matt Haig, Il patto dei Labrador , pubblicato da Einaudi Stile libero nella bella traduzione di Paola Novarese (pp. 344, e 18,50) si ha l’impressione che la magia riesca, e senza sforzo. Val la pena di citare la «leggerezza» di cui diceva Calvino nelle Lezioni americane , poiché si tratta di un libro che scorre con la facilità e la vivacità di una favola «nera», pur essendo a pieno titolo il romanzo di un dramma cui è negato qualsiasi lieto fine. stato il primo libro dell’oggi trentaduenne Matt Haig, sebbene arrivi in Italia dopo Il club dei padri estinti : in quello, era un bambino a impersonare un Amleto undicenne alle prese con i fantasmi di famiglia, nel nuovo libro l’io narrante è un cane, un Labrador, per la precisione. «Non so come sia in Italia – ci ha spiegato Haig, raggiunto durante il festival letterario ’Tutte storie’ di Cagliari ”, ma in Inghilterra c’è una forte divisione tra letteratura commerciale e letteratura alta (penso a Gita al faro di Virginia Woolf), e la letteratura alta ha un atteggiamento un po’ snob nei confronti delle storie con una trama. Io ho cercato di rifarmi semmai a scrittori come Orwell, Greene, Ballard, che uniscono aspetti più intellettuali a una trama». proprio questa armonia tra fiction di genere noir e impegno la chiave con cui il romanzo, pur narrato dal punto di vista di un cane («un cane vero, che scodinzola, insegue il bastone, fiuta» precisa Haig) evita di cadere in una variante commovente dei cinematografici Senti chi parla o Dr. Dolittle , e anzi gioca anche con il loro cliché (ed è già opzionata per il cinema dalla casa di produzione Plan B di Brad Pitt). Intanto, se il Club dei padri estinti citava Amleto, stavolta Haig cala il tema familiare nell’atmosfera del dramma storico shakespeariano Enrico IV (parte prima) , che segue la vicenda del principe Enrico, tentato dalle sregolatezze di Falstaff durante il conflitto tra i Lancaster e gli York. Ed ecco il romanzo di Haig: Prince, il Labrador «io narrante », è erede nell’Inghilterra d’oggi di un antico Patto per la salvezza della Famiglia (sempre in maiuscolo nel romanzo), assediata da ogni parte. La Famiglia che il Labrador vuol proteggere, oltre all’istituzione in sé, è quella degli Hunter, Adam e Kate, con i figli Charlotte e Hal: una normale, realistica famiglia della middle class osservata dal cane fin nei momenti più intimi, e alle prese con l’adolescenza dei figli, l’adulterio degli adulti, l’invidia sociale, l’impatto con l’arrivo di Simon e Emily, belli, disinibiti e ricchi, appena trasferiti nel quartiere e pronti, agli occhi di Prince, a rompere l’equilibrio. Il Patto etico cui Prince cerca di attenersi può forse salvare gli Hunter, ma richiederà più di un sacrificio, e un delitto. un Patto che leggiamo a poco a poco, in brevi capitoli a margine della narrazione, e che ricorda i «comandamenti» della Fattoria degli animali di Orwell e le leggi dei robot di Asimov. Il primo riferimento è il più importante e conscio («avevo in mente Animal Farm , anche se mi interessava di più il fallimento di quelle leggi», ci chiarisce l’autore), il secondo è solo un’impressione secondaria, suscitata semmai dalla passione che Haig – tra l’altro autore di un romanzo fantasy per bambini, Shadow Forest – confessa per la fantascienza («Già da bambino, sebbene non avessi abbastanza fiducia da pensare di vivere di scrittura, scrivevo per me stesso, soprattutto storie ambientate nello spazio»). Il Patto cui i Labrador come gli animali di Orwell devono attenersi dice che «gli umani sono continuamente sbalzati dagli eventi», che i Labrador devono essere «preparati al cambiamento in qualunque momento (...) instillando l’idea che alcune cose non cambieranno mai», ottenendo in cambio del «sacrificio» una «Eterna Ricompensa » in un aldilà tutto canino. L’amarissima ironia sull’etica e sulla fede dev’essere colta dal lettore, perché Haig con grazia non la rende mai più esplicita di così: anzi l’ideale donchisciottesco di Prince è riaffermato dal segugio di continuo, anche nella contrapposizione con gli Springer Spaniel, tra cui il vivace Falstaff, dediti invece all’immorale «fiutare per il proprio piacere» nel locale parco pubblico. Ciò che affascina in un romanzo che conosce la lezione «fantastica » di Ovidio, di Esopo, ma anche di Bulgakov, non è solo il rovesciamento dei ruoli («C’è qualcosa nella faccia degli umani. Non so, sembravano così vulnerabili e senza peli, che mi venne voglia di leccarli, di lavarli, di proteggerli’), o lo specchio tragicomico che balza tra le pagine («Siamo cani. La nostra intera esistenza non ha senso ») mentre il cane si affanna a impedire l’amore tra Adam e Emily o il suicidio tentato da Charlotte. La bravura di Haig sta soprattutto nell’adesione perfetta della storia al punto di vista di Prince, quasi con un ansimare di cane nella voce e nella trama stessa, in una narrazione ansiosa e austera insieme, che trascina a rotta di collo verso il precipizio, dove la «forza immensa » della Famiglia, sia inquietante («Una forza che imponeva l’ordine in un mondo dominato dal caos») sia profonda («Amore. In un mondo di odio»), non potrà nulla contro la tragedia.