Alain Elkann, Camon, Mondo, La Stampa, 23 e 24/11/09, 24 novembre 2009
DOPO L’ARTICOLO DI CAMON "NOI ARTISTI DAVANTI AL PONTEFICE"
IL BELLO NON HA ETICHETTE Né RELIGIONE
Caro direttore,
ho letto l’articolo «Noi artisti davanti al Pontefice» pubblicato da La Stampa domenica 22 novembre 2009 a firma Ferdinando Camon. Vorrei dire all’autore che ho trovato nel racconto della cerimonia in certi punti una licenza poetica scherzosa e ironica che faceva assomigliare la solenne giornata di ieri a una sfilata di moda. Io non mi sarei mai permesso di scrivere tali cose data la solennità e la simbologia di tale giornata viste le personalità presenti e la sacralità del luogo prescelto da Benedetto XVI: la Cappella Sistina. Avrei scritto che ringraziavo Monsignor Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, per aver organizzato con i suoi collaboratori un evento così significativo. Voglio ringraziare il Santo Padre per aver scelto un luogo così importante, un’icona così unica per coniugare la bellezza - su cui era incentrato il discorso del Pontefice -, la religione, la spiritualità, il talento e la Chiesa, visto che nella medesima Cappella Sistina, come ha ricordato Benedetto XVI con commozione, si tengono i conclavi e proprio lì in quel luogo Lui è stato eletto al Soglio di Pietro. Devo dire che pareva strano vedere arrivare in quella Cappella così famosa architetti, poeti, pensatori, cantanti, cantautori, registi, romanzieri che si stupivano di vedersi lì laici, cristiani, buddisti, ebrei e musulmani credenti e non credenti ma tutti in attesa del Papa. Tutti curiosi di sapere o di provare a capire con quali criteri il Vaticano avesse scelto proprio loro per presentare il mondo dell’arte e della cultura. Il regista Maselli parlando del Papa e del perché era venuto e del perché aveva accettato quell’invito, ha detto: «Comunque non capita ogni giorno di essere invitato da un Capo di Stato». A un certo punto ci è stato chiesto in italiano e in inglese di spegnere i nostri cellulari, di stare in silenzio, in raccoglimento ad attendere il Padre. Quel silenzio rispettoso dell’attesa era bello perché metteva tutti ad un livello di parità e di rispetto verso il Papa e il suo atteso discorso, poi quando è arrivato c’è stato un applauso e quando ha finito di parlare ce n’è stato un altro lunghissimo che confermava l’ampio consenso verso le parole del Pontefice ma soprattutto verso quell’iniziativa.
Nell’ultima parte dell’articolo di Camon ho letto, a dir poco con stupore, certi propositi tra l’altro accomunando nomi di persone che conosco bene e che so avere pensieri ben diversi, mi riferisco all’amico Lorenzo Mondo, biografo di Pavese e all’amico Ernesto Ferrero, biografo di Primo Levi. C’era scritto: «Sarebbe bello che gli artisti del mondo si ritrovassero ogni 10 anni qui nella Cappella Sistina, ma due giorni, uno ad ascoltare il Papa e uno a confrontarsi tra loro». Sarebbe meglio se fossero solo artisti cristiani (Mondo corregge di area cristiana).
Non credo che persone quali Zaha Hadid, Arnoldo Foà, Daniel Libeskind (architetto che ha realizzato il Museo dell’Olocausto di Berlino) o altri siano stati invitati lì per caso e se ricordo bene nel discorso il Papa si è rivolto a «Cari e illustri artisti, appartenenti a Paesi, culture e religione diverse, forse anche lontani da esperienze religiose, ma desiderosi di mantenere viva una comunicazione con la Chiesa Cattolica...».
Io credo di essere stato invitato in quella giornata in quanto scrittore di lingua italiana, ebreo che ha sempre lavorato per il dialogo interreligioso. Allora quando si legge «solo artisti cristiani» mi viene un brivido «non piacevole» e mi accorgo con tutto il rispetto che abbiamo interpretato in modo assai diverso una grande giornata alla quale sono grato e orgoglioso di aver partecipato con tanti uomini e donne di talento, tutti accomunati, dovunque fossero seduti, innanzitutto uguali, assolutamente uguali, in quella Cappella Sistina che Michelangelo e altri grandi maestri come Perugino, il Ghirlandaio, il Botticelli hanno saputo elevare a capolavoro assoluto dell’arte e patrimonio comune dell’umanità al di sopra di qualsiasi razza o religione.
Ieri nella Cappella Sistina e poi nei lunghi corridoi e nei saloni di Palazzo Vaticano ho sentito che si respirava un clima di soddisfazione, di consenso. La Chiesa aveva deciso in modo solenne dicendo: noi abbiamo bisogno di voi, di gratificare l’arte e gli artisti e questo dal Papa ai Cardinali ai Vescovi fino alle Guardie Svizzere che battevano i tacchi e facevano il saluto al poeta Conte, al poeta Rondoni, all’architetto Botta, allo scrittore Raffaele La Capria e molti altri. L’arte in quel sabato 21 novembre in Vaticano ha ritrovato il suo posto e anche il rispetto dovuto. Si capiva bene che tre grandi Pontefici quali Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI in un filo rosso sottile che li univa sentivano che gli artisti nella storia spirituale della Chiesa avevano un ruolo centrale. Del resto l’ispirazione di un artista e la fede sono cose tra loro molto molto vicine.
Ma la vera lezione che ho tratto dalla giornata di ieri nella Cappella Sistina è che il bello non ha etichette perché è soltanto bello.
Alain Elkann (23/11)
MI DISPIACE PER GLI ASSENTI
Domenica, su questo giornale, ho raccontato l’incontro del Papa con gli artisti. Lunedì è uscita una lettera-commento di Alain Elkann: sostanzialmente la scrittura di un altro articolo. Elkann mi rimprovera di aver avuto con l’incontro un approccio leggero. Io ho detto che noi tutti, cattolici e non, lo aspettavamo da una vita: dire che lo aspettavamo da prima della nascita mi risultava difficile. Elkann si sofferma sulla quantità di arte, altissima, che circondava l’evento. E’ vero, era una cornice grandiosa. Ma se l’incontro fosse consistito in quella musica e quella pittura, pochi di noi ci sarebbero andati. Siamo andati per sentire il discorso. Dopo 45 anni, un Papa parlava di arte agli artisti: l’evento stava qui. Per me come per tutti, visto che tutti gli articoli parlano solo del discorso. Un discorso alto e complesso, ma anche rischioso. Non tutto mi lascia tranquillo. Sul Giudizio Universale di Michelangelo chiedo a Elkann di comprendermi: nessun artista cattolico lo può contemplare con libera gioia, come fa Elkann, per una ragione grave, anche ai fini del tema che il Papa trattava: su quell’opera di Michelangelo la Chiesa cattolica sbagliò. Quando Michelangelo aprì le porte e invitò il Papa e i cardinali a venire a vedere il lavoro finito, nel Papa e nei cardinali si diffuse la costernazione. Un cardinale sussurrò: «Un inutile sfoggio di sapienza anatomica», e un altro: «Non è una sala papale, è una sala termale». Ogni volta che vedo la Cappella Sistina questo giudizio mi affiora nel cervello, doloroso e insopprimibile. Il rapporto della Chiesa con gli artisti, fino a Fellini, fino a Pasolini, a Testori, a Tondelli, è un problemaccio. Sul discorso del Papa, e sui problemi arte-morale, mi sarebbe piaciuto restare un giorno di più, e parlarne tra di noi ospiti. Se il Papa, come ha annunciato con quell’«Arrivederci», ripeterà l’incontro, ci terrei a che questo avvenisse. Tra noi chi? Ho detto: di area cristiana. Fin dove arriva l’area cristiana? Fin là dove la parola del Papa trova attenzione. Lo ha detto il Papa stesso. Fra tutti coloro che se il Papa chiama e li invita a venire, gli riconoscono autorità e vengono. Elkann è tra i primi. Ma i maggiori scrittori d’Israele, Yehoshua, Oz e Grossman, han rifiutato in blocco. Hanno ritenuto che il tema o l’oratore non meritassero ascolto? Con pieno diritto, se è così. Elkann glissa sul fatto, come se non importasse. A me ha dato delusione e dispiacere. Ma non facciamone una guerra di religione. Ci è stato detto: «Arrivederci», rispondiamo: «A presto».
Ferdinando Camon (24/11)
UNA CAREZZA DEL PONTEFICE ALLA CULTURA
La sera prima dell’udienza papale nella Cappella Sistina, Ferdinando Camon, che si trovava in vena di ombrosità teologiche, mi trascinò con un gruppo di amici a parlare di crisi della cristianità, della difficoltà che prova spesso la Chiesa a farsi comprendere dagli stessi credenti, si tratti di Trinità o di giudizio finale. Di qui, il suggerimento di un auspicabile incontro con il Papa, seguito da un convegno di intellettuali di area cristiana, per dibattere intra moenia su certi problemi. Era una chiacchierata nei Musei Vaticani, davanti a due tartine e un calice di vino. Troppo poco per lasciar presumere - come ha fatto Camon in un suo articolo - la contrarietà mia e di altri a quello che sarebbe occorso l’indomani; per segnalare in particolare una avversione all’invito rivolto da Benedetto XVI (tramite monsignor Ravasi) ad agnostici e cultori di altre fedi religiose. Non si possono davvero confondere tempi, contesti e discorsi diversi.
Per quanto mi riguarda, sono invece profondamente grato per essere stato accolto tra tante persone di talento in quella Cappella Sistina che - come ha rimarcato Alain Elkann - è «patrimonio comune dell’umanità al di sopra di qualsiasi razza o religione». Ed ho apprezzato il discorso del Papa, limpido ed elevato, tale da mettere in imbarazzo molti suoi critici. Benedetto XVI ha voluto esprimere, con tratti di affettuosa gentilezza, l’amicizia della Chiesa - testimoniata da una storia millenaria e dal possente Giudizio michelangiolesco - per chi si applica a creare e scandagliare la bellezza. E questa, al di là di ogni superficiale appagamento o estetistica bellurie, deve essere intesa nella sua proiezione verticale, come finestra aperta sull’assoluto, sul mistero dell’uomo, sulla sua originaria nobiltà. Ed era suggestiva l’analogia che, appoggiandosi ai nomi di Simone Weil, Dostoevskij, Hermann Hesse, Von Balthasar, ha saputo istituire tra l’ispirazione artistica e quella religiosa: «Una funzione essenziale della vera bellezza, già evidenziata da Platone, consiste nel comunicare all’uomo una salutare ”scossa”, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo ”risveglia”...". Come ha detto con epigrafica efficacia il regista Tornatore, si è avvertita, in quelle parole, rivolte senza esclusione a tutti i presenti, ”una carezza del Papa alla cultura”».
Lorenzo Mondo (24/11)