Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  novembre 25 Mercoledì calendario

GARIBALDI E IL RISORGIMENTO DI POPOLO


Il bicentenario della nascita di Garibaldi, avvenuto nel 2007, è passato senza quasi lasciare traccia, probabile preannuncio di ciò che accadrà nel 2011, quando si celebrerà il centocinquantesimo anniversario dell’unificazione.
Garibaldi rimane il personaggio più celebre e celebrato della nostra storia (nell’enciclopedia informatica Wikipedia è biografato in sessanta lingue, molto più di qualsiasi altro protagonista delle vicende patrie) ma in quest’Italia che non vuol saperne del suo passato, sembra che interessi soltanto a piccole cerchie di accademici e di eruditi. Così è prevedibile che il bel volume appena pubblicato dall’associazione Minellina di Rovigo diretta da Mario Cavriani (tel. 0425 23403), «Garibaldi e il Polesine tra A. Mario, J. White e G.
Carducci», a cura di Zefiro Ciuffoletti (contiene gli atti del convegno rodigino dell’ottobre 2007) non susciterà uno straordinario interesse. Ed è un peccato, perché i testi qui pubblicati, privi di retorica e fondati soltanto su documenti d’archivio, sono uno dei migliori prodotti del bicentenario e sfatano un pregiudizio molto diffuso: quello che il Risorgimento sia stato un evento elitario, di piccole minoranze. Solo dal Polesine, come informa Luigi Contegiacomo, direttore del locale archivio di stato, cioè da una provincia piccola e marginale, tra il 1848 e il 1866 partirono 2686 persone (gente semplice: artigiani, garzoni, impiegati, camerieri, domestici) che si unirono a Garibaldi e combatterono nelle sue campagne. Un sondaggio molto più limitato, compiuto in alcune zone del ferrarese, fa pensare che a sud del Po il flusso dei volontari garibaldini non sia stato minore. Dunque, alla costruzione dell’Italia unita non mancò la partecipazione popolare, e se il primo ministro britannico Gladstone definì «miracolo» l’unificazione italiana, bisogna aggiungere che questo miracolo non fu un dono (o una condanna, come pensa qualcuno…) caduto dal cielo, ma fu un evento reso possibile da un consenso di base ben più vasto di quanto oggi non si dica. Un consenso testimoniato dalla fioritura imponente della memorialistica garibaldina e dall’universale cordoglio suscitato dalla sua morte, avvenuta il giugno 1882.
Quando da Caprera ne giunse a Rovigo la notizia, in città furono chiuse immediatamente le scuole e le botteghe, furono sospese le udienze in Corte d’Assise, furono annullate per tre giorni le manifestazioni teatrali. La domenica successiva se ne celebrarono solenni onoranze e la popolazione in massa partecipò alla cerimonia, nella piazza centrale, intitolata al suo nome. Ma già l’anno seguente, quando a due passi da Rovigo, nella natia Lendinara, morì Alberto Mario, protagonista della spedizione dei Mille, dalla cui penna era uscita «Camicia rossa», uno dei migliori prodotti della letteratura risorgimentale, Giosuè Carducci, che volle presenziare al funerale e fu quasi costretto dagli astanti a commemorare il defunto, commentò la morte dell’amico con queste sconsolate parole: «L’anima mia è triste. I buoni se ne vanno e i cialtroni fioriscono e puzzano come i sambuchi». Siamo nel 1883. La poesia del risorgimento era finita. Ma questo libro ha il pregio di ricordarci che una poesia era esistita ed era riuscita ad infiammare una generazione di italiani.