Gianni Santucci, Corriere della sera 25/11/2009, 25 novembre 2009
Le «sentinelle» milanesi: 1.500 denunce al mese- I cittadini in trincea per ottenere sicurezza MILANO – Hanno montato inferriate alle finestre, sbarre alle porte, cellule laser per gli allarmi nei cortili
Le «sentinelle» milanesi: 1.500 denunce al mese- I cittadini in trincea per ottenere sicurezza MILANO – Hanno montato inferriate alle finestre, sbarre alle porte, cellule laser per gli allarmi nei cortili. Dici via Idro e ogni milanese pensa al «campo degli zingari ». Tra le baracche, il Naviglio e la tangenziale. Là dietro però ci sono anche sette case. «Trasformate in carceri», dicono gli abitanti. Nella Milano della periferia estrema, la sicurezza, prima che partecipata, è autogestita. Come in via Triboniano, altra enclave di rassegnazione all’autodifesa dietro un campo nomadi: filo spinato intorno ai giardini e cittadini-sentinelle nelle notti d’estate. Casi estremi. Con abitanti che non rinunciano, però, a una ricerca d’ascolto. Comitati e petizioni. Arrivano dalla pancia della periferia metropolitana che segnala, firma esposti, filma soprusi e porcherie dai balconi. Solo in Comune, ogni giorno, arrivano 20 lettere di denuncia: fanno 600 richieste al mese. Che sommando anche commissariati, stazioni dei carabinieri e dei vigili, diventano quasi 1.500. Denunciano spaccio, prostituzione, schiamazzi, bullismo. I teorici inglesi dicono neighborhood watch . Controllo di vicinato. Abitanti sentinelle. A Milano, qualcuno sorride: «Lo facciamo da vent’anni». E assicura: «In modo molto più approfondito ». una donna tenace, Emilia Dragonetti, ed è vice presidente di un coordinamento di 50 comitati di zona (i gruppi di cittadini organizzati sono molti di più, oltre 90). Spiega: «Ogni volta che cambia il questore, andiamo a incontrarlo. Abbiamo un collegamento aperto e diretto con i dirigenti dei commissariati». Milanesi che vivono il proprio quartiere. Lo curano. Lo conoscono. E al primo segnale strano, denunciano. Ultimo caso: una banda di bulli che tormentava il quartiere Bonola. «La polizia è intervenuta su nostra segnalazione. Collaboriamo». Intorno alla stazione Centrale è la stessa cosa: un filo diretto tra cittadini e commissariato porta, un mese dopo l’altro, al sequestro di appartamenti in cui lavorano prostitute clandestine. Caso ancora più emblematico: via Spezia, periferia Sud, il 19 marzo scorso un cittadino gira al Comune un’indagine artigianale su un giro di prostitute. Parte l’inchiesta. A metà ottobre i vigili arrestano due italiani e 4 romeni che sfruttavano dieci ragazze in undici appartamenti della zona. Il vicesindaco Riccardo De Corato taglia corto: «Molti oggi si riempiono la bocca con la ’sicurezza partecipata’. I milanesi lo fanno da anni. Li incoraggiamo. fondamentale, perché non può esserci un poliziotto in ogni strada. Il vero impegno è quello di dare una risposta concreta a tutti». L’amministrazione milanese di centrodestra ha scelto la sicurezza come colonna della propria politica. La sicurezza percepita, qui, ha la stessa dignità di quella reale. Le forze messe in campo: 750 telecamere nei quartieri a rischio; un nucleo dei vigili specializzato in «problemi del territorio » (con oltre 160 sgomberi di campi rom in due anni); 31 pattuglie miste tra polizia, carabinieri, militari; City Angels e poliziotti in pensione in undici quartieri difficili o fermate periferiche del metrò, più le «ronde» sui treni sotterranei dopo le 22.30 (in tutto, da giugno 2008 a oggi, il bilancio parla di oltre 2.200 segnalazioni alle forze dell’ordine). E pure i reati sono in calo: nel primo semestre 2009, meno 12 per cento di furti, meno 37 per cento di rapine, meno 25 di delitti legati alla droga, meno 23 di lesioni. E allora la vera domanda è: perché se calano i reati resta alta la paura? E le iniziative di sicurezza partecipata sono solo marketing politico, visto che dall’altra parte crollano le risorse destinate alle forze dell’ordine? «La paura del crimine è una componente altrettanto importante», risponde Clara Cardia, responsabile del laboratorio «Qualità urbana e sicurezza» del Politecnico di Milano. Urbanista, ha studiato per anni a New York, e spiega un concetto chiave: «Se le persone sono spaventate, frequentano meno gli spazi pubblici, riducendo la ’sorveglianza naturale’ in strade, piazze, metropolitane. Le conseguenze di una percezione, come la paura, sono quindi reali: negli spazi deserti delle metropoli aumenta il rischio criminalità ». quello che sta succedendo a Milano, come nelle altre città occidentali. La situazione è comune: meno reati, ma più paura. Le spiegazioni sono diverse. Una è storica: «Fino a qualche decennio fa – spiega la docente del Politecnico – la delinquenza era concentrata in alcune zone della città, molto ben definite nell’immaginario delle popolazione. ZONA IMMIGRATI Un camper del Corriere è stato per 2 mesi nei quartieri di Milano. Il video di via Padova, zona multietnica, su corriere.it I cittadini sapevano quali erano i quartieri a rischio, ne conoscevano i confini. Da quando la criminalità è diventata più omogenea sul territorio, la paura inconscia è aumentata». Facendo un giro nelle periferie milanesi, si scopre quanto sia importante anche un ultimo elemento. L’architetto-urbanista Cardia parla di «architettura ansiogena ». Il laboratorio del Politecnico ha riassunto le ricerche su questo tema in un manuale curato per l’Unione europea ( Pianificazione, disegno urbano e gestione degli spazi per la sicurezza ). In breve: casermoni bui di periferia, senza negozi su strada, poco illuminati, con le portinerie nascoste, indurrebbero ansia negli abitanti anche se non ci fosse neppure uno scippo. Per chi vive a Milano, queste ricerche hanno un’incarnazione immediata: Ponte Lambro, Lorenteggio, Calvairate, San Siro, Quarto Oggiaro. Non è un caso se da lì arriva la maggior parte delle richieste di sicurezza.