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 2009  novembre 25 Mercoledì calendario

Barghouti: «Liberatemi in cambio di Shalit»- Il leader palestinese in carcere: «A Israele serve un De Gaulle, come in Algeria» GERUSALEMME - Marwan Barghouti, la liberazione di Gi­lad Shalit sembra vicina: un soldato israeliano in cambio di centinaia di detenuti palesti­nesi

Barghouti: «Liberatemi in cambio di Shalit»- Il leader palestinese in carcere: «A Israele serve un De Gaulle, come in Algeria» GERUSALEMME - Marwan Barghouti, la liberazione di Gi­lad Shalit sembra vicina: un soldato israeliano in cambio di centinaia di detenuti palesti­nesi. E al centro di questo scambio c’è lei. «Sì. Spero che stavolta ci sia­mo. Parte dei nostri prigionieri sarà finalmente rilasciata: quelli che con nessun negoziato s’era riusciti a tirar fuori di galera. Evidentemente non c’è altro modo, con Israele». Ma chi ci guadagna di più? «Se ci sarà lo scambio, forse si capirà che non si possono ignorare le richieste di Hamas. Hanno dovuto piegarsi alla lista di prigionieri che Hamas ha messo davanti a Israele. Anch’io sono parte di questa lista». Non si sa se la sua scarcera­zione preoccupi più il governo israeliano, l’Autorità palestine­se o Hamas. A 50 anni d’età e più di sette da detenuto, due in­tifade e cinque ergastoli sulle spalle, luogo comune vuole che Barghouti sia il probabile suc­cessore di Abu Mazen. In agosto l’hanno stravotato al comitato centrale del Fatah, anche se sta­va dentro. Chissà che succede­rebbe, se uscisse e corresse alle presidenziali palestinesi: «Abu Mazen non s’è ancora dimesso – risponde al Corriere tramite i suoi avvocati, dalla cella di Ha­darim ”. Ha solo espresso l’in­tenzione di non ricandidarsi. Lo rispetto. Ma il punto è che a gen­naio non ci saranno elezioni. Presidenziali e legislative devo­no tenersi in Cisgiordania, a Ga­za e a Gerusalemme Est. E in un clima di riconciliazione naziona­le. Prima, non hanno senso. La mia priorità è mettere fine alla divisione tra Fatah e Hamas: quando ci sarà l’accordo, allora sarò pronto». Questo accordo finora è fal­lito, ma molti ora lo ritengono possibile, chiusa l’operazione Shalit... «Fatah ne aveva firmato uno, mediato dall’Egitto. Ora io invi­to Hamas a siglarlo. E a usare l’opportunità che si presenta’ l’unità dei palestinesi ”, specie dopo che Abu Mazen ha ricono­sciuto il fallimento della sua po­litica. L’unità è il segreto della vittoria per le nazioni oppres­se » . Come reagirebbe Israele a una sua candidatura, dopo la scarcerazione? «Israele ha provato ad assassi­narmi più volte, fallendo. Mi ha sequestrato e condannato a 54 anni di cella. Pensava di farmi tacere. Ha deciso che non farà accordi con Barghouti presiden­te. Ma non deve preoccuparsi: non ci sono elezioni, adesso...». Qual è stato il più grande er­rore di Abu Mazen in questi cinque anni? «Puntare solo sui negoziati. E avere creduto alle promesse americane e israeliane. Alla pa­ce non s’arriva solo coi negozia­ti. Ci vuole anche la resistenza popolare » . Sta dicendo che ci sarà una terza intifada? «L’intifada nasce come una volontà collettiva del popolo, quando la gente non ha scelta: non la decide un partito o un leader. La seconda intifada scop­piò dopo il fallimento di Camp David. I palestinesi hanno fatto la più lunga rivoluzione della storia contemporanea. E la ri­prenderanno » . Abu Mazen esclude un’inti­fada violenta. Lei ne è stato l’ideatore: i kamikaze sono an­cora un’opzione? «I palestinesi hanno dato ad Abu Mazen l’opportunità di ne­goziare. Usa e Israele ci diceva­no che lui era il miglior leader possibile. Abu Mazen accettò la Road Map, andò ad Annapolis, negoziò con Olmert e la Livni, fece decine di vertici. Risultato? Più insediamenti, Gerusa­lemme sempre più ebraicizzata, case demolite, il Muro, centina­ia di checkpoint, una guerra bar­bara a Gaza». Qualche giorno fa, la stam­pa Usa scriveva che l’Autorità palestinese è al collasso. «L’Anp non è un obbiettivo. Lo sono l’indipendenza, i confi­ni del ’67, Gerusalemme capita­le. L’Anp era l’embrione dello Stato e i palestinesi l’avevano ac­cettata per 5 anni. Il rifiuto d’Israele di dar seguito alle riso­luzioni Onu, l’ha fatta sopravvi­vere per altri 15. Però un collas­so dell’Anp non danneggerebbe solo i palestinesi, oggi, ma an­che gli israeliani. L’Anp nei fatti non ha sovranità su un solo me­tro di West Bank. Israele l’ha spogliata. L’unica alternativa all’ Anp è uno Stato indipendente». Vede nuovi interlocutori in Israele? «Netanyahu rifiuta tutto: che razza d’interlocutore può esse­re? Ma anche all’opposizione c’è poco: il piano di Mofaz, dialoga­re con Hamas e riconoscere i due Stati, non porterà mai ai confini del ’67 e alla fine dell’oc­cupazione di Gerusalemme Est. Israele non ha un De Gaulle o un de Klerk, che chiusero col co­lonialismo in Algeria o con l’apartheid. Non è capace d’esprimere leader col coraggio di far finire la più lunga occupa­zione della storia contempora­nea » . E Obama? «I palestinesi avevano accol­to con favore la sua elezione. Molti erano ottimisti, dopo il suo discorso al Cairo e il monito a Israele sugl’insediamenti. Un anno dopo, il raccolto è un gi­gantesco zero. Obama ha anco­ra l’opportunità di storiche deci­sioni. Ma non ci servono altri 18 anni d’inutili negoziati. Nel mondo, lo Stato palestinese pia­ce a tutti: e allora che cosa sta aspettando, il mondo?». La chiamano il nuovo Ara­fat... «Fin da bambino, ho dedica­to la mia vita all’indipendenza. Dico ai miei che il buio della not­te se ne andrà. Dico agl’israelia­ni: l’ultimo giorno della vostra occupazione sarà il primo di pa­ce fra due popoli. Potremo vive­re da buoni vicini. Ma prima do­vete andarvene » .