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 2009  novembre 25 Mercoledì calendario

Casa Italia per i primi europei- Pievani ed Eldredge discutono le scoperte sulle prime popolazioni europee in occasione della mostra «Darwin: 1809-2009»

Casa Italia per i primi europei- Pievani ed Eldredge discutono le scoperte sulle prime popolazioni europee in occasione della mostra «Darwin: 1809-2009». Progettata da «Codice. Idee per la Cultura», si è aperta ieri al Castello Svevo di Bari. Telmo Pievani. Dagli Anni 60 dell’Ottocento le idee di Darwin furono accolte in Italia con grande partecipazione, generando dibattiti ma soprattutto rinnovando le tradizioni di ricerca naturalistica. Il nostro Paese si distinse per le precoci «scuole darwiniane», in particolar modo a Torino, Modena, Padova, Firenze e Napoli. I naturalisti italiani sottolinearono subito, e persino prima dell’uscita de «L’origine dell’Uomo», le implicazioni della teoria dell’evoluzione per la comprensione dei rapporti di parentela fra la specie umana e il resto dei viventi. Non solo, furono fra i primi a cogliere l’importanza di un’educazione scientifica rivolta al pubblico dei non esperti e organizzarono letture e lezioni «popolari». Studiosi come Giovanni Canestrini, Federico Delpino e il fondatore della Stazione Zoologica di Napoli, Anton Dohrn, intrattennero con Darwin rapporti di amicizia e fitte corrispondenze durante le quali seppero offrire suggerimenti, e anche critiche, ritenuti molto utili dal naturalista inglese. Niles Eldredge. Le precoci edizioni italiane dell’«Origine delle Specie» e delle altre opere di Darwin, unitamente ad alcuni preziosi estratti delle corrispondenze fra il naturalista inglese e importanti scienziati italiani dell’epoca, sono tra le scoperte recenti più interessanti. Telmo Pievani. Le idee darwiniane arrivarono presto anche in Puglia, grazie a un naturalista barese, Vincenzo de Romita, professore di scienze naturali presso l’allora Regio Istituto Tecnico e Nautico di Bari. De Romita riuscì a realizzare un’importante collezione naturalistica con più di 3 mila reperti, ancora esistente, anche se in parte in stato di abbandono, come succede purtroppo spesso in un Paese come il nostro che non sa valorizzare adeguatamente il suo ricchissimo patrimonio naturalistico. La collezione comprendeva raccolte entomologiche, malacologiche e ornitologiche, un importante erbario, minerali e «pezzi» particolari, tra cui una leonessa, un armadillo e un bradipo. Vi si trovano specie che oggi in quelle terre sono estinte e che ci sembrano esotiche. E’ come fare un viaggio all’indietro verso faune di altri tempi. Niles Eldredge. Ma l’Italia spicca anche per altre ragioni. Ian Tattersall, direttore del Museo di Storia Naturale di New York, ha sottolineato come possieda la più grande concentrazione e diversità di resti ominidi fossili di tutta Europa. Telmo Pievani. Nel contesto italiano già ricco che richiama Tattersall, la Puglia è a sua volta uno scrigno inestimabile. Sembra incredibile che in una sola regione vi possa essere una tale concentrazione di reperti sul più antico popolamento umano dell’Europa, come nel sito di Pirro Nord, presso Apricena, dove sono stati trovati manufatti di un Paleolitico «arcaico» in associazione con resti di fauna che potrebbero avere addirittura un milione 400 mila anni. Una datazione sorprendente per il nostro continente. Nel 1993 un gruppo di speleologi ha rinvenuto in una cavità fino ad allora sconosciuta dell’alta Murgia, nei pressi di Altamura, uno scheletro umano di morfologia arcaica - un Neanderthal o forse una specie precedente - pressoché intatto, anche se ancora oggi di difficile recupero, perché avvolto dalle formazioni calcaree. Una scoperta eccezionale, rarissima nella paleontologia umana. E poi ancora, Grotta Paglicci, sul fianco meridionale del Gargano, è un giacimento di importanza mondiale. Racchiude l’unico esempio di pitture parietali paleolitiche in Italia (con animali e figure simboliche) e ha restituito due splendide sepolture di Sapiens di 22-25 mila anni fa, tra le più antiche d’Europa: un adolescente maschio e una donna, ricoperti di ocra e circondati da un corredo funerario. Nella mostra «Darwin» che si è aperta ieri a Bari è esposto il calco della sepoltura femminile: vederla è un’esperienza emozionante. Come lo è osservare le tracce di animali che certo non immagineremmo di vedere circolare in Salento, come elefanti e pinguini boreali. Niles Eldredge. Ma vorrei aggiungere che lo sviluppo più eccitante è stata la riscoperta della connessione fra i primissimi lavori di Darwin, quando ancora era sul «Beagle», e gli scritti del geologo italiano Giambattista Brocchi. Si tratta di un legame che ha a che fare con la costruzione stessa della teoria dell’evoluzione darwiniana. Brocchi propose l’analogia tra le nascite e le morti degli individui per cause naturali e le nascite e le morti delle specie, in particolare in una monografia del 1814. Pensò di poter trovare i resti di più della metà delle specie italiane viventi di molluschi marini nelle sedimentazioni fossili della Penisola, mostrando che la vita si «modernizza» passo per passo, quando le specie muoiono (di solito per limiti di età piuttosto che a causa di cambiamenti ambientali) e vengono rimpiazzate da nuove specie che nascono per cause naturali. Il lavoro di Brocchi divenne ampiamente noto a Edimburgo e fu espressamente discusso nel secondo volume dei «Principi di Geologia» di Charles Lyell, che Darwin ricevette nel novembre del 1832, quando era sul «Beagle». Forse, però, Darwin aveva già incontrato gli scritti di Brocchi quando era studente di medicina a Edimburgo. Comunque sia, le ricerche di Darwin in Sud America furono rivolte in larga parte al tema dell’avvicendarsi nel tempo di specie estinte e specie nuove, così come al succedersi delle specie nello spazio geografico. Quindi la prima teoria evoluzionistica di Darwin fu la speciazione geografica (senza tuttavia conoscenze sulla selezione naturale, che Darwin sviluppò in seguito) e fu ispirata dal lavoro di un italiano, Giambattista Brocchi, appunto.