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 2009  novembre 24 Martedì calendario

I GENITORI DI CAFASSO: HANNO UCCISO NOSTRO FIGLIO. NON ERA UN PUSHER


Il padre: l’hanno chiamato pappone, il pappone dei trans, ma altro che overdose è morto come un cane
Gianguerino Cafasso, il pusher dei transessuali che gravitavano nella zona di via Gradoli

SALERNO – «Pre­go, entrate», dice aprendo la porta alle nove di sera il signor Pasquale Cafasso, 72 anni, men­tre una cappa di nebbia avvolge questo minuscolo paesino del Cilento vicino ad Agropoli. Il paesino dei ceci, per que­sto si chiama così. Ma c’è la neb­bia adesso, una nebbia fittissi­ma, anche intorno alla morte di suo figlio Gianguerino, secon­do lui: «L’hanno chiamato pu­sher e pappone, anzi il pappone dei trans di Roma nord, l’han­no dipinto come il grande ricat­tatore di Marrazzo, invece il mio Gianguerino è morto come un cane a 36 anni il 12 settem­bre in una squallida camera d’albergo, ma pochi giorni pri­ma m’aveva detto di avere pau­ra... Altro che overdose, l’han­no ammazzato. Eppure nessu­no in tutti questi mesi è venuto mai a parlare con noi». Il signor Cafasso si commuove, accanto a lui c’è la moglie Laura, sono sposati da 38 anni, hanno altri tre figli e tre nipotini. «Ecco – aggiunge la mamma di Gian­guerino ”, avete tanto parlato del video di Marrazzo con i trans. Beh, la volete sapere una cosa? Gianguerino, il mio pri­mogenito, non aveva un video­telefonino, perché io gli dicevo sempre: ti posso mandare a Ro­ma le foto dei nipotini? Ma lui diceva di no, perché il videofo­nino non ce l’aveva...».

«Hanno pure detto che era un confidente dei carabinieri ar­restati», s’indigna papà Pasqua­le. «Macché confidente. Poco tempo prima che lo trovassero morto, mi raccontò che voleva lasciare il suo appartamento in affitto a Roma perché lì dentro accadevano strane cose, lui face­va il guardiano in una fabbrica con la sua compagna che face­va le pulizie, noi sapevamo che si chiamava Jennifer ma ignora­vamo che fosse un trans. Dun­que, mio figlio diceva che quan­do tornava la sera trovava le co­se spostate, una volta le cami­cie nell’armadio, un’altra gli og­getti personali, anche il mobi­lio. Diceva: papà, io devo andar­mene non mi sento più sicu­ro...».

«Fino ai 18 anni – dice la si­gnora Laura – Gianguerino non aveva avuto problemi. Era un bravissimo pasticciere. Poi però è partito per il militare, è andato a Roma a fare l’aeronau­tica. Tutto normale fino a otto mesi fa quando per una delusio­ne d’amore si è trasferito a Ro­ma dove ha incontrato Jennifer, che però poi non è manco venu­ta ai funerali. sparita. Quel giorno, il 17 settembre, nella chiesa di San Giorgio c’erano tantissimi fiori e tantissimi ami­ci per salutare il Gigante Buo­no, come lo chiamavamo. Era un ragazzone di 120 chili che vi­veva per gli altri, altro che pu­sher e pappone. Chiedetelo a Giorgio, un ragazzino down che vive in paese. Un giorno gli dovevano portare a casa un pia­noforte, ma non riuscivano a farlo salire per le scale. Giorgio chiese aiuto a Gianguerino che in dieci minuti radunò 8 amici e il pianoforte entrò a casa. Que­sto era mio figlio».

Fabrizio Caccia
23 novembre 2009