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 2009  novembre 21 Sabato calendario

All’asta il cervello di Mussolini. Piazzale Loreto non finisce mai - Nel diario di Claretta Petacci, pubblicato proprio in questi giorni (Rizzoli), ci sono due annotazioni sulla vanità di Benito Mussolini: ”Mi fa vedere le foto che gli ha fatto un americano

All’asta il cervello di Mussolini. Piazzale Loreto non finisce mai - Nel diario di Claretta Petacci, pubblicato proprio in questi giorni (Rizzoli), ci sono due annotazioni sulla vanità di Benito Mussolini: ”Mi fa vedere le foto che gli ha fatto un americano. Sono bellissime: ”Guarda questa, che mento forte, volitivo. Capisco come una donna possa innamorarsi d’un uomo così. Come possa dormire con una fotografia sotto il cuscino, come fai tu. Non è vanità se dico che questo è veramente bello: guarda il naso, il mento, la bocca. Dimmi, una donna può innamorarsi di un uomo così?’” (23 ottobre 1937) E poi: ”Mi domanda se amo il suo corpo. Dice: ”Mi hanno detto che è uno dei più belli d’Italia.’ Gli domando chi gliel’ha detto. ”Un uomo sulla spiaggia: ”Mussolini, tu hai il torso più perfetto di tutta la spiaggia’. E io superbo: ”D’Italia’. Ma le gambe storte mi rovinano. Quella Margheritaccia [Sarfatti] diceva che erano brutte’.” (24 novembre 1937) Sono frasi che fanno sorridere, ma comprensibili, se si pensa che da più di un decennio in Italia era iniziato il ”culto del duce”, fenomeno quasi inevitabile in una dittatura. Al risorgimentale culto della patria il regime sovrappose un analogo culto del littorio, che sfociò nel culto del Capo. Mussolini doveva essere celebrato non soltanto come salvatore dell’Italia, uomo della provvidenza, condottiero invincibile, fondatore dell’impero, colui ”che ha sempre ragione”, ma anche nella sua corporeità: virile, esuberantemente maschia, atletica, sportiva, dominatrice. Si cominciò negli anni Venti, diffondendo fotografie di Benito con dei leoncini, che tenne a Villa Torlonia finché diventarono un po’ troppo pericolosi. Poi, fu tutto un susseguirsi di foto in ogni posa plastica, in ogni abbigliamento che richiamasse forza e audacia: pompiere, sciatore e trebbiatore (in entrambi i casi a torso nudo), motociclista, minatore, calciatore, tennista, cavallerizzo, ecc. ecc. L’operazione, che ben si adattava al suo carisma naturale e al suo aspetto così italico, funzionò appieno, suscitando un culto nel culto: quello del corpo, oltre che del viso, di Mussolini. Artisti e fotografi anche eccellenti, anche stranieri (basti citare Wildt), si cimentarono nel riprodurne le fattezze su marmo e su bronzo, in affreschi e ritratti. Il popolo non fu da meno, anzi. Il ritratto del duce troneggiava in moltissime case, e non solo per prudenza politica, servilismo, piaggeria. Artisti naif mandavano al duce i ritratti fatti da loro, e ho visto con i miei occhi il più stravagante, credo: un ritratto cucito a mano da una signora con i propri capelli, appositamente tagliati. Fu - anche - una conseguenza di quel culto del corpo avvenuto in vita, che lo stesso corpo venne tanto oltraggiato dopo la morte. Piazzale Loreto, paragrafo vergognoso della nostra storia, non fu soltanto l’esito finale di una guerra civile, con tutto l’odio politico che l’eroe decaduto e sconfitto attira su di sé. Fu anche un odio fisico, una vendetta postuma contro la corporeità di Mussolini, fino a pochi anni prima quasi venerata, soprattutto dalle donne e dai giovani. Il corpo del duce è anche il titolo di un libro – avvincente – di Sergio Luzzatto (Einaudi 1998), del cui antifascismo non si può dubitare. Luzzatto ripercorre l’uso politico e propagandistico che ne venne fatto in vita, e soprattutto racconta e analizza il seguito: il destino di una salma che fu all’altezza tragica dell’esistenza di Mussolini. Anche le interpretazioni e gli studi, numerosissimi, su come e dove e da chi venne davvero ucciso il dittatore partono dall’analisi di quel corpo martoriato, che dopo la morte ha ormai una ”vita” ancora più lunga di quando il sangue vi pulsava dentro: 62 di esistenza, 64 dalla morte. La nuova puntata della storia di quel cadavere – così implacabilmente ultratecnologica, via internet – è il segno che porteremo la salma del duce ancora a lungo, con noi. Dopo le foto disgustose di piazzale Loreto, vennero le descrizioni raccapriccianti dell’autopsia, l’oltraggio fatto al cervello perché gli americani ne volevano una parte da portare in patria. Per studiarlo, dissero, e infatti lo studiarono, ma non è difficile interpretare il significato profondo – e forse neppure inconscio – del gesto: nell’antichità, e anche di recente in popoli più barbari, si portava al re vittorioso la testa decollata del re vinto. Il 23 aprile 1946 la salma fu trafugata da un gruppo di neofascisti (con il coinvolgimento di due frati francescani) per onorarla. Recuperata, il governo decise di seppellirla in un luogo segreto, sotto falso nome, perché non diventasse oggetto di culto. E lo è divenuta. La moglie Rachele riuscì, dopo una lunga diatriba anche giudiziaria, a riavere le spoglie del marito, che le vennero consegnate in una cassetta di legno, più simile a una cassa da utensili che a una da morto. Nella tomba di famiglia, a Predappio, i resti del duce vennero tumulati nel 1957. E’ tuttora impressionante la quantità di persone – non tutte necessariamente fasciste o nostalgiche - che vanno a visitarla, facendo la ricchezza del comune, ovviamente di sinistra. Secondo Luzzatto, nell’Italia del dopoguerra, compatire il ”cadavere senza pace” era un modo per compatire e perdonare se stessi: di essere stati fascisti. Oggi quella spiegazione non regge più. A parte i simpatizzanti politici, c’è un fenomeno di umana pietà che niente ha a che vedere con la politica. E c’è anche la stessa curiosità imbambolata da turismo di massa che, nella campagna senese, porta più visitatori al Mulino Bianco della pubblicità (falsissimo) piuttosto che alla vicina e stupenda abbazia di San Galgano, del XIII secolo. La tomba di Dante, a Ravenna, non è molto lontana da quella di Mussolini. Ha molti visitatori in meno, e meno commossi.