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 2009  novembre 23 Lunedì calendario

Petrolio Chi specula sulla ripresa - Gli economisti: il ritorno a 100 dollari potrebbe affossare di nuovo le economie - Vera scarsità o speculazio­ne senza freni? Il petro­lio – 88 milioni di barili al giorno la produzione odier­na – è ancora il motore del pia­neta

Petrolio Chi specula sulla ripresa - Gli economisti: il ritorno a 100 dollari potrebbe affossare di nuovo le economie - Vera scarsità o speculazio­ne senza freni? Il petro­lio – 88 milioni di barili al giorno la produzione odier­na – è ancora il motore del pia­neta. Costa meno di 80 dollari, ma è arrivato a 147 nell’estate del 2008. E se tornasse oggi so­pra i 100 dollari potrebbe stroz­zare la ripresa nella culla. Il di­battito sulla fine dei giacimenti e sugli ingenti investimenti ne­cessari per trovarne di nuovi è sempre vivo. Ma negli ultimi an­ni la determinazione del prez­zo è pericolosamente legata a doppio filo alla speculazione: il volume dei futures collegati al­la materia prima è pari a oltre 600 milioni di barili, quasi sette volte la domanda reale. * Oggi «finisce il petrolio». Impossibile che in un futuro più o meno lontano si possa leggere un titolo simile sulle pagine di un quotidiano. Ci ha però pensa­to l’inglese The Guardian , il 10 novembre scorso, a scuotere l’or­todossia petrolifera incarnata dall’International Energy Agen­cy, il braccio dei Paesi Ocse per l’energia: «Il mondo è più vicino all’uscita dal petrolio di quanto ammettano le stime ufficiali» ha scritto il giornale britannico lo stesso giorno in cui l’agenzia pa­rigina presentava la sua Bibbia, l’Outlook 2009. Previsioni nere Il Guardian citava le «soffia­te » di due alti funzionari Iea, se­condo i quali le pressioni degli Stati Uniti avrebbero indotto l’agenzia a non ridurre le stime sull’offerta mondiale di petrolio per evitare che il panico si diffon­desse sui mercati. I 105 milioni di barili-giorno nel 2030 previsti dall’Iea (contro gli 88 odierni) sa­rebbero insomma ottimistici: al massimo, secondo questi infor­mati insider , si potrà arrivare a 90-95. Ma mettere il mondo davanti a tale realtà – soprattutto al fat­to che il pianeta è sul punto di toccare il limite (il «picco») della produzione di greggio – potreb­be causare parecchi disastri: prezzi del barile sempre più alti e instabili, corsa alle risorse, ri­schio di nuove recessioni. Ma non è stato solo il Guardian a ria­prire l’annosa polemica tra i «pe­trocatastrofisti » e l’establish­ment spalleggiato dalle compa­gnie petrolifere. Negli stessi gior­ni l’università svedese di Uppsa­la ha sostenuto che al 2030 l’offer­ta mondiale non riuscirà a supe­rare i 75 milioni di barili al gior­no. Si è pronunciato anche Colin Campbell, il fondatore dell’Aspo (l’«Association for the study of pe­ak oil») che via Internet ha ribadi­to le sue profezie: il «picco» è sta­to raggiunto nel 2008, il petrolio a basso prezzo è al culmine e con esso il principale motore del­l’espansione dell’Occidente. Di più: è stato proprio il picco del greggio a nutrire speculazione e instabilità, cioè il pendolo dei prezzi dai 147 dollari al barile di metà 2008 fino ai 30 dollari di gennaio 2009 e il ritorno agli 80 attuali. Le risposte alle teorie cospira­tive, ovviamente, non si sono fat­te attendere. Su più fronti. Tirati pesantemente in ballo, i vertici dell’Iea hanno riconfermato l’in­dipendenza dell’istituto: «Una storia senza fondamento» ha det­to il capoeconomista turco Fatih Birol delle rivelazioni del Guar­dian . «Non vediamo alcun picco almeno fino al 2030» ha sostenu­to il direttore esecutivo giappo­nese Nabuo Tanaka, che ha ricor­dato come le valutazioni Iea sia­no sottoposte al vaglio critico di almeno 200 esperti mondiali di energia. La scorsa settimana, poi, sul fronte dei «petrottimisti» èentra­to in campo anche il Cera, il «Cambridge energy research as­sociation » del premio Pulitzer Daniel Yergin, acerrimo nemico dei sostenitori del picco. Curio­so: la banca dati sui singoli giaci­menti di cui si era servito in pas­sato anche Campbell, ovvero quella diPetroconsultants, èsta­ta comprata qualche anno fa dal­la Ihs Energy, cui il Cera fa capo. «Diverso occhio, diverso barile» ha fatto notare al proposito Mas­simo Nicolazzi, l’oilman italiano che ora lavora per Gazprom. Per il Cera, comunque, la capacità produttiva mondiale di petrolio e liquidi non convenzionali po­trà arrivare fino a 115 milioni di barili al giorno nel 2030, dopo di che inizierà a scendere in manie­ra dolce. I problemi, argomenta il think tank del Massachusetts, non stanno «sottoterra» ma so­pra la superficie. La scarsità non è fisica, ma di fattori economici. E per evitare turbolenze future il prezzo del petrolio dovrà restare stabilmente al di sopra del costo del barile più caro, i 60-70 dolla­ri delle sabbie bituminose del Canada. Investimenti Serviranno parecchi investi­menti, mentre la crisi li ha fatti saltare: i budget delle grandi compagnie per il 2009 sono stati tagliati del 19%, in valore 90 mi­liardi di dollari. Fino al 2010 inol­trato il cuscinetto risparmiato a causa della recessione farà sì che non si creino problemi di sorta, prosegue il Cera. Poi po­trebbero arrivare, fino al 2015, anni più difficili, di domanda in crescita soprattutto da Cina e In­dia, di prezzi al rialzo e di capaci­tà produttiva in difficoltà. «Ma il picco – conferma anche Stefa­no Cao, per più di trent’anni su­permanager Eni – si raggiunge­rà solo quando saranno disponi­bili in quantità sufficienti e costi inferiori forme di energia alter­native al petrolio». Più che a un passaggio epocale gli aggiusta­menti recenti del barile sono ri­conducibili alla debolezza del dollaro, spiegano le banche d’af­fari. Ed è su questa base che da pochi giorni Ubs ha rialzato le proprie stime per il barile Wti portandole da 70 a 75 dollari per il 2010. Un valore destinato a sa­lire a 80 dollari l’anno successi­vo. Si vedrà. L’eco della diatriba, intanto, ha fatto il giro del mon­do. L’assurdo, ha sostenuto una saggia commentatrice, sarebbe di ritrovarsi con uno «choc» ener­getico stile anni 70 e poi porsi la stessa domanda che la regina Eli­sabetta ha fatto dopo la crisi fi­nanziaria del 2007-08: «Possibile che nessuno l’abbia previsto?».