Varie, 23 novembre 2009
MERCATO LIBERO ELETTRICITA’ PER VOCEARANCIO
Da due anni ognuno può decidere da chi comprare l’elettricità. La liberalizzazione del mercato elettrico italiano, avviata da Pierluigi Bersani nel 1999 (quando l’attuale segretario del Pd era ministro dell’Industria), è arrivata al suo completamento nel 2007, con l’apertura del ”mercato libero” anche per i clienti domestici. L’obiettivo era quello di ogni liberalizzazione: incentivare la concorrenza in un mercato che ne ha poca, con la speranza che le imprese si mettano a competere sui prezzi, a tutto vantaggio dei consumatori.
La liberalizzazione del mercato, è stato detto a un convegno della Bocconi a fine ottobre, ha garantito risparmi annui di 10 miliardi di euro agli italiani. Cioè, senza l’apertura del mercato l’anno scorso avremmo pagato di elettricità quasi 104 miliardi di euro invece che 93 miliardi e 750 milioni.
Fino al luglio del 2007 la corrente aveva un prezzo fisso, stabilito dall’Autorità per l’Energia elettrica e il gas, che lo aggiorna ogni tre mesi. Con la liberalizzazione i clienti possono scegliere di passare al ”mercato libero”, scegliendo una delle proposte delle varie aziende di vendita di elettricità. Oggi sono 84 i gruppi che propongono offerte di elettricità sul mercato libero e si sono iscritti all’elenco dei venditori istituito dall’Autorità.
Il passaggio al mercato libero non è obbligatorio. Chi preferisce può restare nel vecchio sistema, quello regolato per intero dall’Autorità per l’Energia, definito ”mercato di maggior tutela”.
Passare al mercato libero, tecnicamente, non cambia nulla. La rete elettrica resta la stessa, come la stessa è la cabina a cui il proprio appartamento è collegato. Anche il contatore non deve essere sostituito per forza. Gran parte delle aziende che vendono la corrente, infatti, non la producono né la trasportano: si limitano a comprare elettricità sulla Borsa elettrica e rivenderla ai clienti finali
Fino ad oggi il mercato libero (che per le grandi imprese è obbligatorio) ha avuto poco successo. Gli ultimi dati dell’Autorità per l’Energia dicono che sono passati alle offerte elettriche liberalizzate 3 milioni e 200 mila dei 36 milioni di clienti italiani. L’8,9% del totale, tasso in linea con gli altri paesi europei. Tra quelli che hanno abbandonato il vecchio regime, 2 milioni sono famiglie (il 7,1%) e un milione e 200 mila sono piccole imprese (il 15,6%). Nella prima metà di quest’anno hanno scelto il mercato libero 688mila clienti.
La domanda che ci si fa, guardando le pubblicità alla televisione, su giornali e riviste, ascoltandola alla radio, è sempre la stessa: ”Ma mi conviene cambiare operatore? E saranno affidabili questi fornitori?”
Prima di tutto: cambiare non costa praticamente niente. Il passaggio da un operatore all’altro è gratuito, l’unica spesa è l’imposta di bollo (14,62 euro) da pagare sul nuovo contratto. Il passaggio è oneroso solo se è il secondo in un anno: in questo caso il distributore addebiterà un contributo fisso di 27 euro al venditore prescelto, che potrà a sua volta addebitarlo al cliente. Il contributo non è mai dovuto se il cliente intende tornare dal mercato libero al servizio di maggior tutela.
E per l’affidabilità non dovrebbero esserci rischi. L’unico problema può essere il fatto che tutto l’impianto resta di proprietà della società di distribuzione, quindi per ogni possibile guasto il nuovo fornitore non può intervenire, ma si deve limitare a rivolgersi alla vecchia società. La quale, solitamente, dà la precedenza ai suoi clienti.
Chiariti gli aspetti tecnici si può iniziare a ragionare sulle offerte. Per prima cosa bisogna guardare i propri consumi, per valutare le scelte che si vogliono fare. I vecchi contratti sono di due tipi: monorario e biorario. Il primo prevede un’unica tariffa per kilowattora, il secondo divide la giornata in fasce: la F1, la più cara, comprende le ore di punta (tra le 8 e le 19) dei giorni dal lunedì al venerdì, la F2 e la F3, più economiche, comprendono le ore intermedie (tra le 7 e le 8 e tra le 19 e le 23, sempre da lunedì a venerdì) e quelle ”fuori punta”: dalle undici di sera alle sette del mattino tra lunedì e sabato, tutta la domenica e i festivi.
Finché era opzionabile su base volontaria, la formula bioraria è stata poco richiesta: secondo la relazione 2008 dell’Aeeg, tra gli utenti rimasti nel mercato tutelato, solo 160mila (meno dello 0,6%) l’hanno preferita. Ma dal 1° luglio 2010 (salvo nuovi rinvii, dato che la scadenza era stata fissata prima al 1° dicembre 2009 poi al 1° aprile del prossimo anno) la ”bioraria” sarà obbligatoria per tutti, come prevista dalla delibera Arg Elt 112/09.
Poi bisogna tenere conto di com’è fatta una bolletta. In un conto dell’elettricità da 100 euro, normalmente, ci sono 36 euro di costi fissi e 64 di costi mobili.
Tra i costi fissi ci sono 15 euro alla voce ”servizi di rete”, che coprono le spese che le imprese di vendita pagano al distributore locale per la distribuzione, il trasporto e la misura dell’elettricità. Altri 7 euro vanno agli ”oneri generali di sistema”, stabiliti dalla legge e necessari a coprire spese come quelle per gli incentivi alle fonti rinnovabili (4,34 euro), per la dismissione delle centrali nucleari (1,54 euro) e per il finanziamento di imprese ad ampio consumo energetico, come le Ferrovie, (96 centesimi). Poi ci sono 14 centesimi di imposte (compresa l’Iva al 10%).
I 64 euro ”mobili” sono invece la componente su cui possono giocare le aziende venditrici. Almeno in parte. Perché sono composti di 55 euro necessari a comprare elettricità sul mercato e a dispacciarla tra i clienti, 4-5 euro di costi di commercializzazione (cioè quelli necessari alla gestione del cliente) e 4 euro per la componente di perequazione (che garantisce l’equilibrio tra i costi effettivi di approvvigionamento e dispacciamento dell’energia elettrica destinata al servizio di maggior tutela e quanto pagato dai clienti l’anno prima).
A questo punto, tenendo conto dei propri consumi, si possono consultare le offerte. Il miglior modo per farlo è consultare il sito dell’Autorità, che offre un ottimo strumento di comparazione (http://trovaofferte.autorita.energia.it/trovaofferte/TKStart.do).
Ma non ci si illuda di potere fare risparmi enormi. Abbiamo fatto qualche prova:
Un single, che vive nel centro di Milano e usa forno, cucina e lavatrice senza fare la distinzione tra fasce di prezzo consuma circa 2.000 kilowattora in un anno. Se resta nel mercato a maggior tutela spende 298 euro ogni anno in elettricità. L’offerta più conveniente è quella di Vivigas, gruppo milanese che con una proposta indicizzata ai prezzi Aeeg gli consentirebbe di spendere 252 euro, cioè 4 euro in meno ogni mese. Con Edison spenderebbe 258 euro, con Flyenergia 260 e con Enel 261, con un’offerta che blocca il prezzo per due anni. Più care (attorno ai 288 euro) le proposte di Eni, superano i 294 Sorgenia e la multiutility comunale A2A.La più vantaggiosa delle proposte del colosso tedesco E.On costa 371 euro.
Spostiamoci a Roma centro. Una famiglia di quattro persone, che usa forno elettrico, congelatore, lavastoviglie, lavatrice, condizionatore e scaldabagno elettrico. Soprattutto (al 75%) negli orari di Fascia 1. Restando nel mercato libero spende 1.320 euro all’anno con la tariffa monoraria e 1.410 con quella bioraria. Se passa a EdisonCasa spende 1.193 euro, 127 euro in meno in un anno. Con Viviarancione ne spenderebbe 1.213, con Flyenergia 1.217.
Più o meno, come spiega l’associazione dei consumatori Altroconsumo, sul mercato libero si possono ottenere sconti fino al 10-13% sul costo totale. Passare dalla propria tariffa monoraria a quella bioraria consente invece un risparmio minimo, a meno che non si spostino nelle ore "scontate" l’80% dei consumi.
Se contattiamo un venditore, assieme all’offerta deve proporci una ”scheda di confronto prezzi”: è un prospetto inserito nei documenti informativi con i quali viene proposta l’adesione a un nuovo contratto. La scheda, che è obbligatoria, mostra la spesa annua prevista per cinque diversi livelli di consumi-tipo, calcolata ai prezzi dell’energia applicati al momento della proposta. Per ogni livello la scheda ci dice quanto oggi spenderemmo di più, o di meno, passando al nuovo operatore rispetto al rimanere con le condizioni di maggior tutela dell’Autorità.
Secondo la relazione che Alessandro Ortis, presidente dell’Autorità per l’Energia elettrica ed il gas, ha presentato la scorsa estate in Parlamento, il prezzo medio per megawattora, nel 2008, è stato di 81,83 euro nel mercato libero e di 122,24 in quello a maggior tutela.
Per Altroconsumo, che ha confrontato il costo dell’energia per le famiglie di sette paesi europei (Francia, Regno Unito, Spagna, Portogallo, Olanda, Belgio e Germania), utilizzando in ognuno la tariffa più diffusa e per l’Italia quella dell’ Autorità per il mercato vincolato in vigore nel primo trimestre 2009. L’ Italia si difende per chi consuma poco: chi non supera i 1200 Kwh l’ anno (i consumi della famiglia media sono intorno ai 2700 Kwh), spende il 15,8% rispetto alla media europea, 190 euro contro 225. Più si sale più lo sconto si riduce. Attorno ai 2800 Kwh consumati in un anno la differenza con l’Europa si azzera. Poi l’Italia sale. Oltre i 3500 Kwh (significa aggiungere agli elettrodomestici base un computer e un condizionatore/stufa) il costo supera la media europea del 12%: 708 euro contro 632.
Mentre secondo l’ultimo rapporto dell’Ocse sul mercato dell’energia comunitario, pagano l’elettricità cinque volte più dei francesi – 200 euro al megawattora contro 40 – e molto più che in Irlanda, il secondo Paese più caro, dove il costo medio di un megawattora è pari a poco più di 120 euro. Questo divario, sostiene l’Ocse, riflette non solo le differenze nei costi di generazione dell’elettricità, dovuti al tipo di combustibile utilizzato (in Italia prevalentemente il gas, in Francia il nucleare), ma anche "la mancanza di concorrenza e di integrazione nel mercato europeo dell’elettricità, che intralcia l’esportazione dai Paesi a basso costo a quelli ad alto costo", oltre alle notevole disparità fiscali.