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 2009  novembre 22 Domenica calendario

STORIA DELLA GERMANIA

Prima parte
(La seconda parte nella scheda successiva, 191.332)

OTTONE VON BISMARCK


"All’inflessibile "Cancelliere di ferro"....

... gli avversari gli attribuirono una frase che viene spesso ripetuta "La forza supera il diritto". Bismarck negò di averla pronunciata, ma essa resta come il fondo del suo pensiero, la base della sua politica. E poichè questo pensiero messo in azione riuscì a fare l’opera sognata più di quanto nessuno avesse immaginato, esso finì per diventare la norma regolatrice della politica tedesca e quindi anche del pensiero nazionale tedesco. La generazione dopo il 1870, quella cresciuta con Bismack, dominatore della vita politica per quasi trent’anni, finì per imbeversi talmente della propria gloria da giudicare la civiltà tedesca di gran lunga superiore alle altre e da considerare come suo dovere quello d’imporla a tutto il mondo. Con quale mezzo? Con lo stesso adottato con tanto successo dal "Cancelliere di ferro": "colla forza delle armi".

Con la forza delle armi, la Prussia da Stato subordinato all’Austria, Bismarck riuscì a trasformare il suo Paese nella massima potenza continentale europea, riunendolo dopo secoli di divisione nazionale.
Nel 1890, quello che fu definito il "grande burattinaio", l’ "onesto sensale", trasformatosi in uomo di pace, lasciò il potere e rimase in disparte fino alla morte (1898) perchè in urto con il nuovo giovane sovrano Guglielmo II; ma quella struttura autoritaria e quell’aggressiva impronta militarista - iniziata già nel periodo federiciano- rimase e portarono la Germania prima al disastro della Prima Guerra Mondiale, poi, fortemente decisi a rivalersi della umiliante sconfitta, con un "caporale" alla guida, al disastro della Seconda. LE DATE PRINCIPALI DELLA VITA DI BISMARCK
1815 -
1 aprile OTTONE LEONARDO LEOPOLDO VON BISMARCK-SCHONHAUSEN, nasce, secondogenito, nella famiglia prussiana dei Bismarck-Schonhausen, orgogliosa schiera di aristocratici prussiani, noti con il nome di "JUNKER": una rigida casta di latifondisti autoritari e potentissimi.
1847 -
Fino a questa data, Bismarck, alto, imponente, vigoroso, attivo nei diversi sport, trascorre i suoi primi 32 anni di vita turbolenta e inquieta, senza pensare alla politica. Poi si sposa con Giovanna Puttkamer, e desideroso di trovarsi una "sistemazione" di prestigio, iniziò a dedicarsi alla vita politica, quasi alla vigilia della rivoluzione di Berlino. Viene eletto deputato alla Dieta degli Stati Tedeschi (la prima che raccogliesse i rappresentanti degli Stati tedeschi che allora formavano la Confederazione Germanica, formatasi nel 1815.
1848 -
Alla sanguinosa sommossa di Berlino del 18 marzo 1848 ( che si proponeva di costringere il Re di Prussia, Federico Guglielmo, a concedere una Costituzione) il trono stava vacillando, ma il giovane deputato si schierò decisamente dalla parte del Re, ribadendo che la sovranità veniva dal "diritto divino". L’atteggiamento fu premiato dal Sovrano, affidandogli sempre più importatnti incarichi.
1851 -
Viene promosso ambasciatore. Dotato di eccezionale fiuto politico, Bismarck inizia a dar prova del suo autentico genio politico e diplomatico. E’ lui a inventarsi la "Realpolitik", una "politica realista" che lo avrebbe reso famoso; seguendo un solo dogma: raggiungere l’obiettivo proposto con il mezzo più rapido, sicuro, efficace, qualunque esso fosse.
1862 -
Viene nominato Cancelliere (Primo Ministro). Nella crisi politica di quest’anno dovuto al rifiuto dell’opposizione che non voleva accettare i provvedimenti di potenziamento, ammodernamento, riorganizzazione dell’esercito, il sovrano fa una mossa autoritaria: sciolse il Parlamento. Ma in virtù della Costituzione votata nel 1850, questa consentiva di rimanere in carica anche dopo un voto contrario e dopo lo sciogliemnto del Parlamento. Bismark resta al suo posto di comando.
1864 -
Sotto la sua guida, inizia il programma politico per fare della Prussia lo Stato dominatore nel mondo tedesco, con il sogno di riunificare sotto di essa la Germania divisa, con gli Stati subordinati all’Austria. E’ il periodo della Guerra alla Danimarca
1866 -
Sfrutta i dissidi interni dell’Austria e l’ostilità dell’Italia per l’imperatore asburgico, dichiara guerra e vince gli austriaci in una paurosa disfatta in Boemia a Sadova. La Confederazione, fino allora dominata dall’Austria viene sciolta. Gli Stati si riuniscono in una Confederazione (del Nord) sottoposta alla guida della Prussia.
1870-71 -
Dopo l’Austria rimaneva nel continente solo i Francesi di Napoleone III, tradizionale avversario, a contrastatare l’egemonia tedesca. E quando scoppiò la guerra i piani per l’invasione della Francia erano pronti già da tre anni; I piani di Bismarck e la genialità strategica di von Moltke travolsero ogni resitenza a Sedan, lo stesso imperatore francese venne catturato, Parigi fu posta in assedio.
1871 -
Nella reggia di Versailles, centro e simbolo della monarchia francese, Bismarck ebbe la soddisfazione di udire i principi tedeschi che si sottomettevano a Guglielmo I di Prussia e lo nominavano imperatore in Germania. Così "in mezzo al ferro e al fuoco" come si espresse lo stesso Cancelliere) poteva rinascere il Reich tedesco dopo tanti secoli di divisione nazionale.
La cerimonia ufficiale della costituzione della nuova Germania fu una provocazione senza precedenti nei confronti della Francia che la umiliava profondamente, avvenne nella sala più prestigiosa del palazzo reale.
Una umiliazione che i francesi non dimenticarono. Nello stesso luogo umiliarono la Germania alla fine della Prrima Guerra Mondiale. Ma poi furono nuovamente umiliati da Hitler dopo la sua invasione, la conquista di Parigi e l’inizio della Seconda Guerra Mondiale.

1873-75 -
"Lotta per la cultura". Leggi contro la Chiesa cattolica
1878 -
Proprio come un accorto "burattinaio" Bismarck iniziò a manovrare i fili di una complicatissimi rete di alleanze, rapporti d’equilibrio, promesse e minacce, concessioni e pretese. E con Congresso di Berlino di quest’anno sancì tale equilibrio.
1882 -
Dopo le manovre di sopra parte una serie di alleanze e di patti. La maggiore tra queste alleanze fu la "Triplice Alleanza", alla quale accedette anche l’Italia, insieme all’Austria e alla Germania.
1888 -
Muore l’imperatore Guglielmo I. Sale al trono Guglielmo II e subito si aprì in contrasto tra Bismarck e il giovane 29 enne sovrano, che (oltre che geloso della sua popolarità) non tollerava i sistemi autoritari del "Cancelliere di Ferro".
1890 -
I contrasti durarono due anni, e inaspriti fino a tal punto che Bismarck si vide costretto a dimettersi dal governo e ritornare a malicuore alla vita privata.
1898 -
Dopo otto anni di vita trascorsa nel suo podere di Friedrichsruh, Bismarck il 30 luglio muore a 83 anni d’età.

I grandi uomini diventano i capi, le guide, i conduttori dell’umanità quando l’opera loro concorda con le forze del passato e con la spinta verso l’avvenire; perciò per comprendere esattamente l’azione esercitata da Bismarck nella formazione dell’unità germanica bisogna anzitutto studiare lo sviluppo del sentimento di nazionalità verificatosi in Germania prima che Bismarck assumesse la direzione del governo prussiano.
Chi diede per primo alla Germania una coscienza nazionale fu... Napoleone l; la cosa può sembrare strana, ma non per questo è meno vera. Ancora alla vigilia della rivoluzione francese i grandi pensatori e scrittori che avevano procurato alla Germania il rispetto e I’ ammirazione del mondo, Kant, Lessing, lo stesso Goethe, non solo non avevano preoccupazioni nazionalistiche, ma andavano superbi di essere cittadini del mondo, di non avere una patria.

Occorse la conquista napoleonica per scuotere la Germania. La battaglia di Austerlitz spazzò via il sacro impero romano della nazione germanica e liberò le menti da quest’ombra del passato, che impediva la chiara visione dell’avvenire. Napoleone sbrogliò il caos delle centinaia di Stati che dividevano la Germania e colla formazione di nuovi raggruppamenti distrusse lo spirito locale: l’orizzonte di ognuno si allargò. Nello stesso tempo la mano di ferro del conquistatore suscitava gli sdegni e faceva sorgere l’aspirazione all’indipendenza; così il popolo tedesco prese per la prima volta coscienza di sé.

Tale cambiamento si svolse in pochi anni; la guerra, questa grande e dolorosa realtà, scuote profondamente le anime e trasforma rapidamente le idee. Per dimostrarlo basta confrontare le lezioni, che Giovanni Fichte tenne a Berlino nell’ inverno 1804-1805, cioè prima della guerra napoleonica in Germania, con quelle da lui tenute pure a Berlino nell’inverno 1807-08, cioè dopo le vittorie francesi. Nelle prime lezioni (e si noti che Fichte aveva già più di quarant’anni e quindi il suo pensiero doveva già essere formato) egli si dichiara apertamente cosmopolita ed afferma che la patria delle persone colte é lo Stato che in quel dato momento si trova alla testa della civiltà. Ma quando nell’inverno 1807-08 egli sentiva fuori dell’aula, nella quale insegnava, il rumore dei tamburi francesi, allora si fece a sviluppare tutta una educazione nazionale tedesca, a celebrare l’amore di patria, la fede nell’eternità della nazione, nell’immortalità di ciò che per essa facciamo e soffriamo. Egli prese ad esaltare la Germania vantandone la superiorità su tutti gli altri paesi, ed arrivò a dichiarare che
se lo spirito straniero é come un’ape industriosa, « lo spirito germanico é un’aquila, che con forza solleva il suo corpo poderoso e raccoglie sotto di sé colle ali robuste ed esperte una grande quantità di aria per avvicinarsi al sole".

Le affermazioni orgogliose di Fichte furono come una bevanda inebriante, che riuscì allora salutare all’animo depresso e abbattuto della nazione tedesca, come fu salutare agli Italiani prima del 1848 I’affermazione del Gioberti sul nostro primato. In pochi anni sotto l’oppressione straniera si verificò quello che il Fichte disse "guarigione della nazione". Questo periodo si può considerare come il Natale della nuova Germania. Da quel giorno non passò anno senza che qualche scritto, qualche fatto accennasse al cammino della nuova idealità per modo che presto la Germania restò pervasa da uno spirito nuovo.
Questo nuovo pensiero della nazione venne raccolto ed espresso popolarmente da Maurizio Ernesto Arndt nell’ opuscolo famoso "Il catechismo del guerriero germanico" stampato a Pietroburgo in quel mese di settembre del 1812, nel quale l’incendio di Mosca illuminò il principio della ritirata napoleonica "Il catechismo del guerriero germanico" canta le lodi della patria e della libertà: « Sorsero in questi giorni dei saccenti freddi e meschini che sotto il dominio della loro nequizia dicono: Patria e libertà sono parole prive di senso, dolci suoni con cui si illudono uomini stolti; là dove l’uomo si trova bene là é la sua patria; là dove é meno molestato, prospera la sua libertà. Gli uomini, che così parlano, al pari degli stupidi animali non pensano che al ventre e alle sue voglie; non sentono lo spirare dello spirito divino. Essi pascolano, come le bestie, solo il pasto del giorno, e ciò che dà loro godimento considerano come unica cosa sicura; perciò la menzogna domina nei loro vani discorsi, e il castigo della menzogna nasce dalle loro dottrine... Patria e libertà sono agli occhi delle anime basse un’illusione, e una stoltezza per tutti coloro che vivono soltanto per il momento; ma per i valorosi esse sono una forza che li innalza al cielo, e nel cuore degli uomini semplici esse operano miracoli".

E i miracoli si videro davvero pochi mesi dopo, quando tutta la Germania con alla testa il fiore della sua intelligenza si levò in armi per scacciare lo straniero. Per conoscere bene i sentimenti che animavano quella gioventù basta leggere poche linee della lettera che il giovane poeta Teodoro Korner, i cui versi patriottici dovevano poi essere cantati su tutti i campi di battaglia della Germania, scrisse al padre nel momento di partire volontario per la guerra. La vita gli sorrideva lieta: era giovane, bello, amato appassionatamente dalla sua fidanzata, aveva ottenuto, a soli 22 anni, la carica ambitissima di poeta del teatro imperiale a Vienna; e tutto abbandona e va a morire per la patria : "....Voglio con piacere strapparmi a questa vita felice e libera di affanni per conquistarmi, sia pure a prezzo del mio sangue, una patria. Non dire che la mia é baldanza giovanile, leggerezza, smania selvaggia. Due anni fa ti avrei permesso di dire così, ma oggi che so quanta felicità si può pur trovare in questo mondo, oggi che tutte le stelle della mia fortuna mi contemplano con tanta mitezza e con sì grande benevolenza, oggi, lo giuro in nome di Dio, é un sentimento degno che mi spinge, é la potente convinzione che nessun sacrificio é troppo grande per il più grande dei beni umani, la libertà dei proprio popolo. Forse il tuo cuore paterno si illude e ti dice: Teodoro é nato a più alti destini, egli potrebbe compiere in un altro campo cose più grandi, più importanti, egli ha un debito da pagare all’umanità. Ma, padre mio, ecco la mia opinione: per votarsi alla morte in prò della libertà e dell’onore nazionale nessuno é troppo buono, mentre molti sono troppo cattivi per ciò. Se Iddio mi ha veramente dato uno spirito alquanto superiore al comune e che sotto la tua guida imparò a pensare, in qual altro momento potrei meglio farlo valere che in questo momento? Una grande epoca vuole cuori grandi... So che tu avrai a soffrire, che la mamma piangerà; Iddio la conforti. Questo dolore io non ve lo posso risparmiare".

Sono questi i generosi sentimenti, che si radicarono fortemente nei cuori tedeschi e costituirono d’allora in poi una delle grandi forze della nazione germanica.

* * *
La gioventù tedesca, che si levò in armi nel 1813 e con tanti sacrifici riuscì finalmente a scacciare lo straniero, sognava una patria unita, potente, rispettata, che trascinasse i suoi figli in una marcia gloriosa verso la grandezza e la prosperità. Ma i diplomatici raccolti nel Congresso di Vienna, invece di tener conto dei sentimenti dei popoli, pensarono soltanto a conciliare gli interessi dei sovrani. In mezzo alle rivalità delle due Case d’Austria e di Prussia, che entrambe avrebbero desiderato dominare sulla Germania, si decise di non costituire un forte potere centrale, tanto più che esso non era voluto né dai singoli Stati tedeschi, che amavano conservare la propria indipendenza, né dalle grandi Potenze di Europa, che non volevano una Germania saldamente organizzata.
La Germania quindi uscì dal Congresso di Vienna (1815) molto più divisa ancora che l’Italia. Nonostante la semplificazione già portata dall’ opera di Napoleone vi rimasero ancora 39 Stati, assai disuguali di forza poiché a fianco dell’Austria e della Prussia che contavano fra le grandi Potenze di Europa, vi erano dei ducati e dei principati, che non avevano nemmeno 50 mila abitanti. Ciascuno di questi Stati conservò intera la propria sovranità; solo per gli interessi comuni furono uniti in una Confederazione rappresentata da una Dieta, che si raccoglieva a Francoforte.

Data la completa indipendenza dei singoli Stati, la Dieta non era altro che una riunione di diplomatici incaricati di riferire ai rispettivi governi le proposte che venivano presentate e di regolarsi poi secondo le risposte che ricevevano; ora siccome nel grande contrasto di interessi che esisteva fra gli Stati grandi e piccoli era impossibile un accordo, così la Dieta era destinata all’ inazione, e la Confederazione all’impotenza. Quest’organizzazione dispiacque agli uomini più insigni del paese, che avevano ormai la visione di una Germania grande ed una. Per attuare il loro sogno, essi dovevano naturalmente rivolgere
il pensiero ad abbattere I’ ordinamento esistente. Come si cercò di arrivarvi?

Nella meravigliosa esplosione del 1848, l’anno delle illusioni e della poesia anche per la Germania, si credette che l’entusiasmo e la fede fossero sufficienti per compiere la grande opera della ricostituzione della nazionalità germanica. Con questa fiducia si convocò a Francoforte sul Meno un Parlamento Nazionale, del quale fecero parte gli uomini più eminenti di tutta la nazione tedesca; ed esso attese a preparare la nuova Germania. Ma questo Parlamento non aveva che una forza morale, così che presto finì per ridursi ad un congresso di studiosi, che discussero teoricamente sulla nuova organizzazione della Germania e formularono delle proposte, che i Governi poi non accolsero, mentre il popolo da parte sua si dimostrava inerte ad agire in antagonismo coi suoi Governi. Anzi quando nel 1849 la reazione trionfò dappertutto, il Parlamento di Francoforte fu sciolto colla forza. Così dopo la crisi rivoluzionaria la Germania ritornò nelle condizioni di prima.

Ma dopo il grande sviluppo dei sentimento di nazionalità era impossibile che la nazione tedesca si rassegnasse ancora a rappresentare nel mondo la parte insignificante che le derivava dal suo ordinamento politico. Anche la trasformazione economica, che si veniva effettuando, contribuiva a rendere più vive le nuove aspirazioni. Finché la Germania era stato un paese essenzialmente rurale con commerci assai scarsi e con orizzonti intellettuali limitati, essa poté anche accontentarsi della vita modesta e pacifica che la Confederazione le assicurava; ma quando coll’introduzione delle macchine nelle industrie e con la costruzione delle ferrovie si ebbe un rapido sviluppo di industrie e di commerci, questa trasformazione economica del paese rese più tangibili e più insopportabili i mille inconvenienti materiali che risultavano dal regime politico esistente, e avviò sempre più gli animi verso le aspirazioni unitarie.

Fra i vari Stati della confederazione predominava l’Austria; ma l’unità germanica non poteva essere fatta dall’Austria, potenza solo in parte tedesca e la cui esistenza stessa costituiva una contraddizione al principio delle nazionalità. Neppure i piccoli Stati del sud o del centro della Germania potevano avere la pretesa di compiere l’unificazione della nazione; perciò naturalmente quanti aspiravano ad un riordinamento nazionale della Germania rivolgevano i loro sguardi verso la Prussia.
Nel centro geografico della Germania del nord, sopra un suolo povero e triste, era cresciuta una popolazione forte di volontà, resistente alle più dure fatiche, resa più gagliarda dall’uso continuato delle armi e divenuta orgogliosa per i suoi successi militari. I suoi capi (la dinastia degli Hohenzollern) erano riusciti fin dal secolo XVII ad aggiungere alla loro antica marca di Brandeburgo (con capitale Berlino) il ducato di Prussia ad oriente ed i ducati renani ad occidente. Così il loro dominio venne ad estendersi dalla Vistola al Reno, ma era un territorio lungo e stretto e in alcuni punti interrotto da altri domini, il che destava facilmente le cupidigie dei vicini e nello stesso tempo suscitava nei suoi principi tutte le audacie; Federico
Guglielmo I, il padre di Federico II , soleva dire: "Noi non possiamo affacciarci ad alcuna finestra senza l’elmo in capo".
La necessità di essere pronti per tutte le guerre, perché avevano la certezza di esservi sempre impigliati, obbligò gli Hohenzollern ad organizzare militarmente il paese e ad avvezzare i sudditi ad una disciplina di ferro. Guglielmo fu chiamato il "Re sergente" perchè governò la Prussia come una caserma.

( vedi qui la BIOGRAFIA di FEDERICO II )

I sovrani stessi diedero per primi l’esempio di un sacrificio completo alla cosa pubblica. Mentre gran parte dei principi d’ Europa mettevano il loro onore nel parodiare gli splendori ed i vizi della corte di Versailles, i Prussiani riguardavano con orgoglio i loro sovrani, sempre pronti alla fatica, economi, severi verso sé e gli altri, principi che si vantavano di essere i primi servitori dello Stato. Da essi la nazione del dovere si estese a tutte le classi della società penetrando profondamente le coscienze. Questi sentimenti modellarono le anime per modo che tutti i cittadini prussiani, dal più alto al più umile, si sentirono come operai addetti allo stesso lavoro, ad un comune lavoro sublime, quello di preparare la grandezza e la prosperità dello Stato. Così l’energica volontà degli Hohenzollern assecondata per secoli dall’abnegazione e dall’ eroismo del popolo portò la Prussia ad essere sin dal secolo XVIII una delle grandi Potenze d’ Europa.

Era una Potenza essenzialmente militare, ma essa disponeva anche di un’ ottima burocrazia, di funzionari che sorvegliavano scrupolosamente gli interessi che erano loro affidati e portavano nell’ adempimento del loro dovere abitudini di esattezza, di ordine, di attività. E la burocrazia prussiana iniziò I’ opera dell’ unità nazionale organizzando lo Zollverein (Lega Doganale), per il quale, prima ancora del 1848, ben 30 milioni di Tedeschi si trovarono uniti per interessi commerciali sotto il patronato della Prussia e coll’esclusione dell’Austria. Era questo un avviamento verso la soluzione del problema nazionale, e tale corrente si venne rafforzando ogni giorno di più anche in vista dei buoni risultati materiali dell’unione doganale.
II commercio come la letteratura, gli uomini d’affari come gli uomini di studio, tutti spingevano verso I’ unità; ma la grande opera fu compiuta soltanto dall’esercito, il quale appunto perciò diventò l’elemento essenziale determinante il modo di pensare e di agire del popolo tedesco.

* * *
In questo pensiero, che cioè l’esercito dovesse essere lo strumento essenziale per l’attuazione degli ideali della Germania, si trovarono concordi i due maggiori artefici del grande edificio: il re ed il ministro.
Re Guglielmo I, salito al trono di Prussia nel 1861 in seguito alla morte del fratello, era nato nel 1797; giovanetto aveva assistito alle umiliazioni del suo paese, curvato sotto il predominio napoleonico; ma a 17 anni aveva provato la gioia della rivincita combattendo con le truppe prussiane in Francia ed entrando trionfalmente in Parigi a fianco di suo padre. Si era poi applicato con ardore alle cose militari dedicandovi tutti i suoi pensieri e i suoi studi. Aveva passato più di quarant’anni in questa vita esclusiva di continui esercizi militari prima di essere chiamato al trono. Egli aveva fede nella missione storica della sua dinastia ed aveva accolto nel suo cuore il magnifico programma nazionale delle menti più elette della sua generazione, di unificare cioè la Germania sotto l’alta direzione degli Hohenzollern, aspirazione che era divenuta allora più ardente in vista della fortuna raggiunta dall’ Italia in quegli anni; ma era persuaso che per attuare quest’ideale occorreva essenzialmente la forza militare.

Sebbene, quando arrivò al trono, contasse già 64 anni, Guglielmo I, conservava una grande energia e fermezza di carattere; egli quindi non abbandonò il potere nelle mani dei suoi consiglieri, ma specialmente fino al 1870 esercitò un’ azione diretta nella politica del suo governo. Non era un grande ingegno, ma possedeva la qualità più preziosa per un sovrano, quella di giudicare esattamente il valore degli uomini, così che riuscì a raccogliere attorno a sé quelli che meglio potevano contribuire al raggiungimento dei suoi scopi: prima di chiamare Bismarck alla direzione del governo egli di sua iniziativa collocò Moltke a capo dello Stato Maggiore e Roon al ministero della guerra, due scelte che dimostrano nel sovrano un singolare talento di penetrazione, perché Roon fu il mirabile organizzatore di quell’esercito, che attuò con precisione i sapienti piani di Moltke.

Nella politica interna Guglielmo era un geloso difensore dei diritti della Corona. Nella reazione che aveva tenuto dietro agli avvenimenti del 1848, le costituzioni che erano state date nei vari Stati della Germania sotto le pressioni popolari erano poi state soppresse; la Casa degli Hohenzollern però aveva lasciato sussistere la Camera ma con poteri assai limitati. I deputati liberali prussiani, fra i quali si trovavano uomini di alto valore come Virchow e Mommsen, credevano che convenisse alla Prussia rendere sempre più liberali le sue istituzioni e la sua politica, nella speranza che la Germania finisse per staccarsi dall’Austria assolutista e raccogliersi attorno alla Prussia; nonostante i disinganni del 1848-49 essi consideravano la formazione dell’unità nazionale come un problema di politica interna e confidavano ancora nelle conquiste morali. Miravano quindi ad allargare la costituzione prussiana, a dare al Parlamento una partecipazione più diretta e più efficace nel potere, a trasformare la monarchia temperata di Prussia in un governo veramente parlamentare. Guglielmo I invece considerava come suo dovere conservare alla monarchia la sua posizione di assoluto predominio nello Stato; perciò salendo al trono dichiarò esplicitamente che la corona gli veniva da Dio, ch’egli voleva restare il vero capo del suo popolo, il centro dello Stato, il signore del paese.

L’occasione, che determinò Io scoppio del contrasto fra il Re e il Parlamento, sorse appunto quando il Governo domandò fondi per aumentare le forze militari del paese. I deputati liberali vollero approfittare del malcontento suscitato da queste spese militari, di cui non appariva chiaro lo scopo, per affermare l’ autorità della Camera, e rifiutarono i crediti richiesti. I ministri, ch’erano un po’ imbevuti dell’atmosfera liberale dilatatasi ormai in gran parte d’Europa, consigliarono al re di fare qualche concessione; ma il re Guglielmo I si sentì urtato nel suo orgoglio dinastico. D’altra parte egli aveva personalmente collaborato al progetto della riforma militare ed era persuaso che esso era assolutamente necessario per il compimento dei grandi disegni della Prussia; non volle quindi abbandonarne alcuna parte; perciò invece di far modificare il progetto cambiò il ministero scegliendo a dirigerlo l’uomo che gli sembrò più adatto per far trionfare la sua politica: il 23 settembre 1862 Ottone di Bismarck diventava presidente dei ministero prussiano.

Era l’uomo che occorreva al re per riuscire completo, poiché Guglielmo pur essendo deciso al conseguimento di un fine provava talvolta dei momenti di esitazione ed aveva bisogno di qualcuno che gli forzasse la mano, di qualcuno, che (come dice lo stesso Bismarck con frase non troppa rispettosa) gli facesse saltare il fosso davanti al quale stava irresoluto.

* * *
La fisionomia di Bismarck è notissima al pubblico per l’infinita quantità di ritratti e di caricature che tutti abbiamo visto, ma la maggior parte di essi rappresentano il grande statista dopo il 1870. Nel 1862 egli era nel fiore dell’età: aveva 47 anni. Colla sua colossale statura (era alto m. 1,88), colle sue larghe spalle, colla sua forte testa solidamente piantata sopra un collo vigoroso, coi suoi occhi superbi egli dava l’impressione di salute, di forza, di coraggio.
Era nato nel 1815 a Schoenhausen nella vecchia marca di Brandeburgo ed apparteneva ad antica nobiltà di campagna di mediocre fortuna; aveva cominciato a figurare nella vita pubblica negli avvenimenti del 1848 facendosi conoscere come un ardente assolutista, come un audace campione dei diritti della Corona in opposizione alla democrazia. Nel 1851 era stato mandato alla Dieta della confederazione germanica in Francoforte come rappresentante della Prussia; vi si fece subito notare come un uomo di forte volontà. Notissimo è l’aneddoto del campanello all’albergo: nella stanza, che gli era stata assegnata, non vi era campanello; egli lo aveva reclamato, ma inutilmente; un mattino il personale dell’albergo, i forestieri, i vicini sono messi sottosopra dal rumore di alcuni colpi di rivoltella; si corre verso la stanza donde sono partiti coll’ansia di trovarsi di fronte a qualche tragedia, e si trova Bismarck che con gran calma avverte d’aver adottato quel sistema per chiamare il cameriere. Naturalmente il giorno stesso il campanello fu messo, e nessuno fu poi servito più premurosamente di lui.

Nella Dieta di Francoforte chi presiedeva era il rappresentante dell’Austria, il quale fra le altre prerogative personali aveva questa: egli solo fumava durante le sedute. Un giorno Bismarck tira fuori il suo portasigari e davanti ai colleghi stupiti estrae un grosso sigaro, domanda del fuoco al rappresentante dell’Austria e si mette a fumare. Questo sigaro audace diede prestigio a lui ed origine a tutto un carteggio diplomatico, poiché gli altri rappresentanti trovarono quest’ avvenimento così grave che lo riferirono ai loro governi domandando istruzioni. I governi non volendo decidere la cosa senza matura riflessione tardarono a rispondere, e così per sei mesi soltanto le due maggiori Potenze della confederazione fumarono; poi I’ambasciatore di Baviera volle salvaguardare l’onore della sua posizione e si mise a fumare; allora poco per volta anche gli altri tirarono fuori i loro portasigari; persino quelli che non avevano I’ abitudine di fumare si sacrificarono per la dignità del loro ufficio. Ho ricordato quest’ episodio perché esso serve a caratterizzare la nullità di quella Dieta: tutto si riduceva ad un duello continuo fra l’Austria e la Prussia, nel quale gli Stati secondari favorivano ora l’una ora I’ altra delle due grandi Potenze allo scopo di paralizzarne ogni azione e così conservare la loro indipendenza. In tal modo la confederazione germanica era ridotta all’impotenza.

Ma se non era un posto di azione, la Dieta di Francoforte era un posto magnifico di osservazione; perciò negli otto anni passati colà da Bismarck le sue idee politiche si formarono e si precisarono, come ce lo dimostra la sua corrispondenza di quegli anni. Egli imparò a conoscere bene la Germania; si persuase che la confederazione era una cosa morta, che soltanto la Prussia poteva fare I’ unità germanica e che per attuare questo sogno bisognava espellere l’Austria dalla Germania.
Nel 1859 Bismarck fu inviato ambasciatore a Pietroburgo, dove si accaparrò le simpatie dello zar Alessandro II e per riuscirvi completamente si mise anche a parlare russo (Bismarck ebbe sempre una grande facilità per imparare le lingue). A Pietroburgo egli cercò di tener vive quelle disposizioni ostili all’Austria, che la Corte di Russia aveva dopo la guerra di Crimea; appunto da Pietroburgo, nel maggio del 1859, durante la guerra d’Italia, egli suggerì al governo prussiano d’approfittare dell’occasione per marciare contro l’ Austria. Ma a Berlino si avevano altre viste; si temeva più Napoleone III che I’ Austria, ed il fiero contegno della Prussia non fu una delle ultime ragioni che indussero Napoleone IlI a fermarsi a Villafranca.

Da Pietroburgo nel 1862 Bismarck venne destinato all’ambasciata di Parigi. Qui soggiornò pochi mesi, ma gli bastarono per conoscere esattamente l’animo ondeggiante di Napoleone III. Così quando nel settembre del 1862 venne chiamato a dirigere il governo prussiano, egli era ben preparato: conosceva a fondo i principali personaggi, coi quali avrebbe poi dovuto trattare.

***
Il pubblico invece non conosceva lui e non supponeva minimamente quali grandi disegni di politica estera si agitassero nella sua mente: lo credeva semplicemente un reazionario pronto a qualunque colpo di stato contro il Parlamento; perciò la sua nomina rese ancora più grave il conflitto del governo col partito liberale.
Bismarck, pienamente concorde col suo sovrano sulla necessità di accrescere le forze del paese, sostenne con ardore i progetti militari già presentati ; pochi giorni dopo la sua nomina a ministro dichiarò apertamente alla Commissione del bilancio che l’avvenire della Prussia si doveva raggiungere non con discorsi o con associazioni, ma "col ferro e col fuoco". La Camera urtata da queste frasi di Bismarck dichiarò che il nuovo ministro non godeva la sua fiducia. Fu sciolta; ma le nuove elezioni non modificarono la situazione; così che le sessioni parlamentari del 1863-64 furono assai tempestose.
La costituzione restò in pratica sospesa; il governo si contentò dell’approvazione della Camera Alta e fece tutte le spese militari nonostante i voti contrari della Camiera dei deputati. Naturalmente l’opposizione dalla Camera si comunicò alla stampa ed al paese; Bismarck fece limitare la libertà di stampa.

In pochi mesi egli divenne l’uomo più cordialmente odiato in tutta la Prussia, tanto che lo stesso re Guglielmo ne rimase assai impressionato. A questo proposito Bismarck racconta nei suoi Ricordi un episodio assai caratteristico: Un giorno egli cercava di confortare il re dicendogli che era pronto a continuare a governare senza maggioranza e senza l’approvazione dei bilanci; ma il re lo interruppe dicendo; « lo prevedo con precisione come tutto ciò andrà a finire; là, sulla piazza del teatro, si taglierà la testa a Lei e un po’ più tardi a me." Il ministro guardò il re e soggiunse: "Et après, sire" « Après? après saremo morti" rispose Guglielmo. Bismarck allora placidamente osservò: « Si, saremo morti; ma prima o poi bisogna pur morire, e possiamo noi morire in modo migliore? »
Si vede qui la suggestione della grande idea che soverchia tutto, che conduce ad affrontare ogni pericolo. In ciò Bismarck è eguale al nostro Cavour. Ma quest’episodio ci fa anche rilevare la differenza sostanziale fra i due grandi statisti, poiché Bismarck nell’ideale dell’unità nazionale trascurò quelle libertà politiche, di cui Cavour fu sempre geloso custode al punto da dichiarare ch’egli preferiva la peggiore delle Camere alla migliore delle anticamere dei sovrani.

Bismarck è il fiero Tedesco adoratore della Forza; Cavour é I’ Italiano geniale, apostolo ardente della Dea Libertà; e la diversità d’idee tra i due uomini, che diressero il movimento nazionale in Germania ed in Italia, influì anche potentemente sopra il diverso ordinamento interno dei due paesi: l’Italia ebbe un governo parlamentare, mentre in Germania il Reichstag non riuscì mai ad essere il potere predominante.
I quattro anni, dal settembre 1862 (quando assunse il potere) al luglio del 1866 (alla battaglia di Sadowa, anzi fino al trattato di Nikolsburg) rappresentano nella vita di Bismarck il periodo più agitato: egli aveva contro di sé non solo il Parlamento e una gran parte della stampa, ma anche la diplomazia, la corte, la regina Augusta, il principe ereditario Federico: e doveva ogni giorno assicurarsi che il re non finisse per cedere a tante pressioni contrarie.
I primi due problemi di politica estera, ch’egli dovette affrontare, furono quelli riguardanti la rivoluzione polacca del 1863 e la questione dei ducati danesi, ed egli seppe servirsi del primo per risolvere il secondo a vantaggio della Prussia. Comprendendo che per i suoi disegni contro la Danimarca gli occorreva assicurarsi la connivenza della Russia si affrettò a dare ad Alessandro II una grande dimostrazione d’amicizia aiutandolo a reprimere l’insurrezione polacca, e quest’ amicizia tornò tanto più gradita allo zar di fronte al contegno ostile di tutto il resto d’Europa.

Per impedire poi che nella questione danese l’Austria prendesse la parte di rappresentante dei mondo tedesco egli (che in cuor suo aveva già deciso di combattere l’Austria per escluderla dalla Germania) non esitò a combinare con essa un’azione comune. Del resto il suo ideale in politica estera (lo dichiarò egli stesso) fu sempre l’indipendenza da ogni sentimento di simpatia o d’avversione per qualsiasi paese straniero. "Fra i paesi stranieri io non ho sentito simpatia che per l’ Inghilterra; ma se mi si proverà che la politica prussiana lo esige, farei tirare le nostre truppe sulle truppe inglesi colla stessa soddisfazione come sulle francesi, sulle russe e sulle austriache" .
Non nomina in questa lettera le truppe italiane non perché egli provasse maggiore simpatia per il nostro paese, ma perché queste parole furono da lui scritte prima del 1859, prima cioè che l’ Italia contasse fra le Potenze d’Europa.

Quest’alleanza della Prussia coll’Austria indignò i liberali prussiani; essi rifiutarono i crediti domandati per la guerra. In quell’occasione Bismarck attaccò violentemente Virchow dicendo: « Virchow mi ha accusato di non avere alcuna idea di una politica nazionale; io posso rinviargli il suo rimprovero sopprimendo l’aggettivo; egli non comprende nulla in politica.» Nonostante il voto contrario della Camera prussiana la guerra ebbe luogo (1864), e la Danimarca dovette rinunziare a favore delle due Potenze vincitrici al Lauemburgo, all’Holstein ed allo Sleswig, cioè a quei territori, che fornendo alla Germania la meravigliosa rada di Kiel e dandole poi modo di condurre un canale dal Baltico al Mare del Nord dovevano preparare le condizioni necessarie per una grande Potenza marittima.
Gli avversari di Bismarck dicevano: Bel modo di scacciare l’Austria installandola anche in una parte dei ducati del Nord. Ma Bismarck sapeva che la comunanza di possesso é sorgente feconda di conflitti facili a suscitare; e quando si volle procedere alla divisione fra i due vincitori Bismarck condusse le trattative in modo tale da inasprire i rapporti e rendere inevitabile la guerra.

In tutte le guerre egli riuscì sempre con un’ abilità diplomatica veramente geniale ad isolare il nemico. Nell’ottobre del 1865 si recò a trovare Napoleone Ill che villeggiava a Biarritz (presso Baiona); gli manifestò la necessità per la Prussia di scacciare l’Austria dalla Germania e di stringersi perciò coll’Italia, che avrebbe potuto ottenere il Veneto; e fece balenare dinanzi alla mente dell’imperatore dei Francesi vaghe speranze di vantaggi in un riordinamento tedesco. Napoleone III, che incominciava ad essere un po’ malandato in salute, non prese una posizione decisa; manifestò le sue simpatie per il principio di nazionalità, ma non assunse alcun impegno formale. Egli credeva che la guerra sarebbe riuscita difficile alla Prussia e sarebbe andata per le lunghe; pensava quindi che la Francia avrebbe avuto tempo d’intervenire al momento opportuno, d’imporre la sua mediazione e di farsi dare un compenso. li ministro tedesco quando si fu persuaso che il governo francese non si sarebbe opposto alle sue mosse fu lieto di non essere costretto a precisare meglio le sue proposte, e appena ritornato a Berlino assunse verso l’Austria un contegno ancora più provocante di prima.

L’imperatore Francesco Giuseppe fece domandare a Bismarck se con questo contegno aveva intenzione di romperla coll’Austria; al che Bismarck rispose: "No; ma se avessi davvero quest’ intenzione, potrei io rispondere diversamente?"
In realtà proprio in quei giorni egli stava concludendo l’accordo con l’ Italia. II generale Alfonso La Marmora, che era allora presidente del consiglio dei ministri del regno d’Italia, sollecitato da Bismarck mandò a Berlino il generale Govone sotto il pretesto di studiare il sistema delle fortificazioni, ma effettivamente per concludere I’ alleanza: I’8 aprile 1866 fu firmato a Berlino un trattato segreto fra l’Italia e la Prussia.
L’Austria comprendendo d’essere minacciata da due parti cominciò a prendere qualche provvedimento di difesa, il che fornì argomento a Bismarck per denunziare l’Austria come provocatrice e per prepararsi apertamente alla guerra. Anche I’ Italia affrettò i suoi preparativi. In simili circostanze l’Austria fece offrire all’Italia per mezzo di Napoleone III la cessione dei Veneto, purché essa abbandonasse I’ alleanza colla Prussia; ma Vittorio Emanuele volle mantenersi fedele all’impegno assunto. Allora Bismarck credette opportuno di precipitare le cose: nel giugno 1866 si iniziarono le ostilità.

Questa guerra fu essenzialmente voluta da Bismarck, che la giudicava necessaria per risolvere il vecchio contrasto coll’Austria: il re Guglielmo era sempre stato molto perplesso; la regina Augusta e il principe ereditario Federico erano addirittura contrari; anche gran parte dell’opinione pubblica in Germania era ostile a quest’impresa.
Essa non si presentava facile, perché oltre all’Austria la Prussia doveva combattere gli Stati tedeschi della confederazione, i quali, comprendendo che la vittoria della Prussia e l’esclusione dell’Austria dal mondo germanico avrebbero necessariamente diminuito la loro indipendenza, si dichiararono per l’Austria. Ma questi Stati erano scarsi di forze e si dimostrarono fiacchi e lenti nei loro preparativi per modo che la Prussia riuscì presto a metterli fuori causa; d’altra parte I’ Austria dovette destinare una parte delle sue forze alla difesa dei Veneto contro gli Italiani, cosi che non poté raccogliere in Boemia che un esercito di 250 mila uomini sotto il comando del generale Benedek, mentre i Prussiani vi entravano con più di 300 mila uomini.

Appunto in questa guerra si incominciò a constatare l’importanza decisiva delle ferrovie per l’azione militare; l’Austria per trasportare le sue truppe dalla Moravia e dalla regione al nord di Vienna in Boemia non aveva che una sola linea ferroviaria, così che la massima parte dei soldati dovette recarvisi per via ordinaria, mentre la Prussia poteva disporre verso la Boemia di sei linee ferroviarie.
Il 1° luglio il generale Benedek essendosi accorto della grande superiorità che il nemico aveva su di lui e dei vantaggi che ad esso derivavano dal nuovo fucile ad ago perdette ogni fiducia in sé e nel suo esercito e telegrafò all’Imperatore « Prego caldamente V. M. concludere ad ogni costo la pace. Catastrofe per l’esercito inevitabile ». A Francesco Giuseppe parve strana la proposta di chiedere la pace al nemico prima d’ una battaglia decisiva; lontano dal luogo degli avvenimenti non poteva comprendere come il suo generale fosse sicuro della sconfitta; rispose quindi: "Concludere la pace impossibile. Ordino, se non si può altrimenti, che si intraprenda la ritirata nel massimo ordine. Ebbe luogo una battaglia?" Per questa domanda, colla quale si chiudeva il dispaccio imperiale, Benedek si credette moralmente obbligato a dare una battaglia prima di battere in ritirata. Il 3 luglio, nei dintorni di Kònigràtz e di Sadowa, ebbe luogo lo scontro dei due eserciti: la disfatta degli Austriaci fu completa.

Il re Guglielmo ed i generali prussiani nell’ebbrezza della vittoria volevano spingere le cose all’estremo e proseguire la marcia su Vienna. La tentazione era forte e seducente, ma Bismarck seppe resistere, perché pensava all’avvenire: egli non voleva umiliare troppo l’Austria, né dar tempo a Napoleone IlI di armarsi e d’imporre la sua mediazione. Raccomandò perciò al suo sovrano di far subito la pace a condizioni moderate, ma non riuscì a convincere né Guglielmo né il consiglio di guerra; quei generali volevano sfruttare il loro trionfo ed entrare in Vienna. Disperato di non essere riuscito a persuaderli Bismarck provò tanto dolore, che rientrato nella sua stanza si buttò sul letto e pianse. Questa crisi in quell’uomo, che non sapeva che cosa fossero le lacrime, é assai caratteristica; essa ci dimostra quale immensa importanza avesse tale decisione nel suo programma. Superato questo momento di sconforto pensò d’esporre per iscritto in un rapporto al re il suo ragionamento minacciando anche di rassegnare le sue dimissioni; ma il repersistette nell’idea che bisognava trarre il massimo guadagno dalle vittorie dell’esercito. Il principe ereditario però era stato scosso dall’insistenza di Bismarck; andò a trovarlo e gli disse: "Ella sa che io fui contrario alla guerra coll’Austria; Ella la giudicò necessaria e ne porta la responsabilità; ora Ella é persuaso che lo scopo é raggiunto e che debba farsi la pace; io sono pronto ad appoggiare la sua opinione presso mio padre". Si recò dal re e ritornò una mezz’ora dopo dicendo: "La cosa é stata difficile, ma finalmente mio padre ha acconsentito".
Ed il consenso era espresso in quest’ annotazione a lapis fatta sul margine del rapporto di Bismarck: «Dacché il mio presidente dei ministri mi lascia nell’imbarazzo dinanzi al nemico, ed io non sono qui in grado di sostituirlo, ho discusso la questione con mio figlio, e siccome questi si é schierato dalla parte del presidente dei ministri, mi vedo costretto, con mio dolore, dopo così splendide vittorie dell’esercito, a mandar giù questo boccone amaro e ad accettare una pace tanto vergognosa ».

Veramente la pace segnata nei preliminari di Nikolsburg era tutt’altro che vergognosa per la Prussia, poiché l’Austria oltre al pagamento di un’indennità cedette alla Prussia i suoi diritti sui ducati danesi, riconobbe sciolta la confederazione germanica del 1815 e lasciò carta bianca alla Prussia per il nuovo ordinamento della Germania rinunziando a parteciparvi e abbandonando al loro destino gli Stati tedeschi, ch’erano stati suoi alleati. Per la fretta di concludere e per impedire l’opera di mediazione offerta da Napoleone III Bismarck non si curò di far partecipare l’Italia alle trattative, così che il nostro governo apprese con dolore la notizia di questi preliminari conclusi senza il suo intervento; ma Bismarck con molta disinvoltura dichiarò ch’egli aveva semplicemente promesso d’aiutare l’Italia ad ottenere il Veneto, e che tale cessione era stata accordata. Se non si accettavano i patti fissati, tutte le forze dell’Austria, rese audaci dalle vittorie che essa aveva riportato sopra di noi, potevano ad un tratto piombare nella penisola.
Gli Italiani quindi dovettero subire le condizioni stipulate e adattarsi all’umiliazione di ricevere il Veneto attraverso la mediazione di Napoleone III. che volle rappresentare almeno questa parte nel grande avvenimento svoltosi senza il suo intervento.

L’esito della guerra del 1866 mutò l’avversione del popolo prussiano per Bismarck in una vera ammirazione, ed egli se ne valse per far la pace col Parlamento, per regolarizzare il passato con un bill d’indennità. Ormai egli può procedere innanzi più facilmente; gli anni più difficili sono passati; egli ha fede sicura nel successo, e la Prussia e la Germania hanno fede in lui.
Egli attese anzitutto alla nuova organizzazione della Germania. Coll’uscita dell’Austria dal mondo germanico cessò quella rivalità fra le due grandi Potenze, che aveva tenuto in piedi la divisione della Germania; finì quel dualismo, sul quale i piccoli Stati giocando d’altalena avevano potuto conservare la loro indipendenza.
La Potenza predominante in Germania restò la Prussia. Essa ottenne un notevole ingrandimento territoriale. Anzitutto le vennero assegnati i ducati strappati alla Danimarca con la riserva "che le popolazioni delle province settentrionali dello Sleswig saranno di nuovo unite alla Danimarca purché ne esprimano il desiderio con un voto liberamente emesso », Bismarck però unì quei territori alla Prussia senza curarsi di interrogare le popolazioni; più tardi anzi per togliere ogni pretesto ad agitazioni approfittò delle buone relazioni ristabilite con l’Austria dopo il congresso di Berlino ed indusse questa Potenza ad abrogare formalmente questo articolo del trattato di pace.

(segue nella scheda successiva 191.332