Franco Debenedetti la Repubblica 22/11/2009, 22 novembre 2009
Caro Direttore,l´approvazione del decreto Ronchi, battezzato come «privatizzazione dell´acqua», ha suscitato una reazione negativa singolare per compattezza delle voci e per asprezza dei commenti: l´articolo di Paolo Rumiz (La Battaglia dell´acqua, la Repubblica 18 Novembre) ne è esempio emblematico
Caro Direttore,l´approvazione del decreto Ronchi, battezzato come «privatizzazione dell´acqua», ha suscitato una reazione negativa singolare per compattezza delle voci e per asprezza dei commenti: l´articolo di Paolo Rumiz (La Battaglia dell´acqua, la Repubblica 18 Novembre) ne è esempio emblematico. La reazione potrebbe essere dovuta a un riflusso negativo verso le privatizzazioni dei governi Amato e Prodi, perché il tempo sbiadisce il ricordo di quanta fosse l´invadenza dello stato nell´economia, mentre la cronaca offre fresche ragioni per lamentarsi di disservizi. Potrebbe essere per la paura sopravvenuta con la grande crisi, che induce a guardare con diffidenza al mercato. In realtà le reazioni di oggi sono le stesse che hanno impedito il cammino della riforma fin dal primo Governo Prodi, nel ´96. Ora la legge è stata approvata, ma dovrà essere applicata dai comuni e accettata dai cittadini: vale quindi la pena interrogarsi sul perché di questa alzata di scudi, cercare di capire le ragioni e smontare i pregiudizi. Le reazioni, se non sono dovute a fatti contingenti, devono dipendere da qualcosa di specifico che ha a che fare con l´acqua in quanto tale. Si dice che è un bene pubblico, ma in che senso? Lo è certamente all´origine, essendo di proprietà demaniale. Ma poi diventa privata quando lo Stato la vende per usi domestici o industriali, la dà in concessione per usi agricoli o per produzione di energia elettrica; o per essere rivenduta come acqua minerale, di cui siamo grandi consumatori. In senso tecnico l´acqua non appartiene alla categoria dei beni pubblici: questi infatti sono caratterizzati dal non avere né «rivalità nel consumo» ? se un altro ascolta musica di Bach non mi impedisce di ascoltarla ? né «escludibilità dal consumo» ? l´illuminazione stradale viene usata da chiunque passi. In quei casi, tutti hanno interesse a fruire del bene e nessuno a fornirlo: che per questo si chiama pubblico, perché può esistere solo se è fornito dal pubblico. Non è il caso dell´acqua: nel mondo ce n´è penuria; e basta chiudere un rubinetto o abbassare una paratia per escludere dal consumo una casa o un campo. Dicendo che l´acqua è un «bene comune» e che il diritto all´acqua è un´estensione del diritto alla vita, si esprime una tensione ideale: ma la realtà è quella delle battaglie combattute nei secoli per averne il possesso e della noncuranza con cui, una volta avutolo, la si spreca: in Italia più del 30%. «Chi governa l´acqua comanda» scrive Rumiz: comandare è decidere chi e a che condizioni ne può fruire. Perché va bene se l´acqua la vende il pubblico, non va bene se devo comprarla da un privato? Le infrastrutture interessate dal ciclo dell´acqua sono un monopolio naturale, non si possono duplicare, e non basta che il mercato ci sia solo al momento della gara, ci vuole un regolatore. Che il regolatore venga «catturato» è un rischio reale, qui poi la legge neppure lo prevede, saranno i comuni stessi a imporre il rispetto del contratto a chi avrà vinto la gara. Ma che logica c´è nel non aver fiducia nel pubblico quando controlla e averla quando gestisce? Di più, averla quando gestisce e controlla insieme? Avanzo una spiegazione: alla radice della protesta non c´è il fatto che il prezzo possa essere gonfiato, ma il fatto che ci sia un prezzo; non c´è l´entità del profitto, ma la misurazione del costo, il dover accettare che anche per l´acqua si debba pagare un prezzo che copra le spese di esercizio, gli investimenti, e il costo del capitale. Non è per «protestare dei disservizi» che si vuole avere come controparte un sindaco e non i privati (forse che nella sanità si è contenti di poter protestare con il presidente della Regione?), ma per chiedere al sindaco di non presentare il conto. Non è per evitare che «l´acqua passi al mercato finanziario»: sempre di lì si passa, sia che i capitali necessari vengano reperiti dal comune emettendo obbligazioni, o dallo stato emettendo Bot o dalle imprese collocando azioni. perché il pubblico ha interesse a mantenere il prezzo basso e a non fare ? per dirla in modo elegante ? efficienza su chi assumere e che cosa comperare: può non fare gli investimenti e, se non basta, indebitarsi. E se questo vuol dire avere questa rete colabrodo, scaricando sulle future generazioni di riparare i tubi e ripianare i debiti, però possiamo dire soddisfatti di avere esercitato il «controllo delle risorse dal basso». «Oggi potremmo dover rinunciare a un pezzo della nostra sovranità» scrive Rumiz. Sta qui l´origine di rifiuti e paure. Ma non è vero che noi partecipiamo della sovranità che deleghiamo al pubblico con questo tipo di rapporto fiduciario: al contrario noi perdiamo parte della nostra sovranità, di produttori e di consumatori, quella che esercitiamo tutti i giorni con le nostre iniziative e le nostre attività. Le svolgiamo sui mercati, e realizzare condizioni per il loro buon funzionamento, è ciò che dobbiamo esigere dal pubblico. Nel caso dei servizi pubblici non è facile e non è affatto scontato. Ma non si fanno passi avanti se si guarda indietro, al piccolo mondo antico: c´è da dubitare che sia mai esistito, è certo che non si merita rimpianti. www.francodebenedetti.it