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 2009  novembre 22 Domenica calendario

L’anno 1980 cominciò con un funerale: quel­lo di Pietro Nenni. Un segno del destino. Per­ché mai, come in quei 365 giorni di transizio­ne da un decennio al­l’altro, si concentraro­no tanti fatti che erano altrettanti presagi di una nuova epoca che avrebbe cambiato il volto del­­l’Italia

L’anno 1980 cominciò con un funerale: quel­lo di Pietro Nenni. Un segno del destino. Per­ché mai, come in quei 365 giorni di transizio­ne da un decennio al­l’altro, si concentraro­no tanti fatti che erano altrettanti presagi di una nuova epoca che avrebbe cambiato il volto del­­l’Italia. E avrebbe seppellito il «mondo di ieri» con spavalderia spietata, con giovanile brutalità, con sco­stumata intemperanza. Con Nenni finiva la storia di un socialismo all’antica, il socialismo con il basco sul capo, dell’oratoria irruente, del sol dell’avvenire e di Pellizza da Volpedo. Il nuovo mondo faceva irruzione così: senza riguardi, senza rispetto, senza gradualità. Nel 2010, il 1980 avrà trent’anni. E se i decenni, co­me i secoli, sono convenzioni temporali che ci aiuta­no a suddividere l’indistinto fluire del tempo storico, talvolta un anno di passaggio si incarica di allineare tanti fatti grandi e piccoli che aiutano a capire meglio il senso di una discontinuità, di una frattura irrime­diabile. Il caso (certo, soltanto il caso) decretò che il Novecento esordisse con la pubblicazione dell’ Inter­pretazione dei sogni di Sigmund Freud, inaugurando così il secolo dell’Io frantumato e dell’Ordine infran­to. E così il caso ha voluto che nel 1980 si materializ­zassero fatti ed eventi destinati a racchiudere il senso di marcia dei troppo vituperati anni Ottanta, quelli dell’edonismo e dell’individualismo, del culto del cor­po e dell’apparire: il nuovo Termidoro che mise fine all’era della ghigliottina e del militantismo ideologi­co. Nella società e nell’economia, nella televisione e nella politica, nel costume e nei comportamenti indi­viduali, nell’abbigliamento e nei consumi, il 1980 non risparmiò sorprese, annunciando in pochi mesi la ve­emenza di una spallata che avrebbe raso al suolo il mondo degli anni Settanta. l’anno in cui trionfa Ro­nald Reagan, profeta di una rivoluzione liberista che sgretolerà i pilastri dell’invasione statale, del dirigi­smo, del Welfare State finanziato da una micidiale macchina fiscale. l’anno di Lech Walesa che, pre­stando ascolto all’annuncio profetico del papa polac­co, con Solidarnosc nei cantieri di Danzica spezza le giunture del sistema comunista e prepara la rovina, sancita proprio alla fine del decennio, di un Muro che fino al 1980 sembrava indistruttibile. L’Italia viene travolta dalla stessa ondata che inve­ste il micro della vita quotidiana e il macro delle dina­miche politiche. Guido Crainz nella sua recente Auto­biografia di una Repubblica (Donzelli) nota che in Ita­lia «il boom delle azioni inizia nel 1980, mentre il 1979 era stato l’anno dei Bot»: un altro segno del de­stino storico-cronologico? Nello stesso anno, vengo­no introdotte le ricevute fiscali e proprio in quei mesi si scopre che «l’evasione dell’Iva sfiora il 50 per cen­to ». È un mondo sommerso che riemerge dalle cripte dell’invisibilità e che porta in sé una carica di rigetto della politicizzazione integrale del decennio appena archiviato. Nasce proprio in quell’anno un mensile «di investimento e tempo libero» che porta come ti­tolo, inequivocabile indizio dei tempi, «Capital». E non è una frivola coincidenza, come ha notato Stefa­no Di Michele nei Magnifici anni del riflusso. Come eravamo negli anni Ottanta (Marsilio), che il 1980 se­gni l’apice del successo di un cantante integralmente de-ideologizzato come Julio Iglesias, «mito macho di ogni zia d’Italia» che in quell’anno gorgheggia «amo la luna e amo il sole/ sono un pirata e un signore/ professionista dell’amore». E se di «riflusso» rispetto all’onda esplosa e dilagata con il ”68 già si vociferava nella seconda metà degli an­ni Settanta, con il successo travolgente della Febbre del sabato sera di John Travolta e con quello di Innamo­ramento e amore di Francesco Alberoni, è invece pro­prio nell’80 che esce per Laterza un libro che racchiude nel suo titolo il senso di un cambiamento storico, di una svolta antropologica che chiude traumaticamente con il decennio precedente: Il trionfo del privato. Nel trionfo del privato accadono, tutte insieme, co­se destinate a diluire in tutto il decennio degli Ottanta il loro significato. Dopo anni di declino che sembrava irreversibile, riesplode nel 1980, con uno sfarzo che si era inabissato in epoche contrassegnate dal senso di colpa pauperista, il Carnevale di Venezia, «riesumato e ingrandito a favore delle telecamere» giacché la tv di Stato aveva voluto rappresentare, dopo anni di depres­sione, il segno di un’«atmosfera inebriante e decaden­te ». Puro «turismo televisivo», commentava Aldo Grasso nella sua Storia della televisione italiana (Gar­zanti). Sempre nel 1980, e sempre a Venezia, vengono ripri­stinati alla Mostra del Cinema i «Leoni d’oro» che era­no stati messi al bando, con e dopo il ”68, come simbo­lo di un potere gerarchico e arbitrario che contraddice­va il verbo egualitario e «democratico» di quella sta­gione. Una stagione che finisce in un anno. Lo stesso anno in cui irrompe la grande televisione commerciale. Nasce in quei giorni Canale 5, che si im­pone come la vera concorrente del monopolio Rai, gua­dagnandosi nell’autunno dell’80 i diritti calcistici del Mundialito: è la consacrazione della concorrenza, la fi­ne simbolica dell’unicità monopolistica della televisio­ne di Stato. In quello stesso anno prende forma con «Contatto», varato da Rizzoli nel circuito Pin (Primare­te indipendente), il primo telegiornale privato diretto da Maurizio Costanzo. Non sarà un successo clamoro­so, anzi. Ma nel mondo della televisione comincia a brillare proprio nel 1980 l’astro di Aldo Biscardi con il «Processo del lunedì»: si impone il format del talkshow rissoso e sguaiato, senza ritegno. Vince, paro­le di Aldo Grasso, «il magnetismo occulto» della Stupi­dità, che d’ora in poi si distribuirà in ogni trasmissione come indispensabile «carburante psichico» della tele­visione che smette d’essere ingessata e pedagogica. E se la televisione comincia così a soppiantare la piazza, quella prediletta nell’era in cui tutto era politi­ca (addirittura il «personale» doveva essere «politi­co »), anche nei consumi culturali il 1980 imprime la sua sterzata con nuove forme, nuovi linguaggi, nuovi riti di massa. l’anno in cui vengono esposti i Bronzi di Riace, inaugurazione dell’èra dell’«Evento» cultura­le di massa che attira irresistibilmente un numero in­calcolabile di persone, attratte dal miraggio della «presenza». Una nuova forma di pellegrinaggio con­sumistico- popolare, che non è più quello della tradi­zionale cerimonia a sfondo religioso e non è più nem­meno quello della mobilitazione politica: è il passag­gio dalle masse alla massa. Un’epoca in cui comincia­no irreversibilmente a mescolarsi l’alto e il basso del­la cultura, si infrangono le barriere, si contaminano i generi, si disintegrano le paratie che tengono distan­ti mondi tra loro incomunicabili. Nel 1980 esce Il no­me della rosa : un grande saggista, Umberto Eco, che si cimenta con l’arte del romanzo, e che immette in abbondanza elementi «colti» in un giallo ambientato nel Medioevo (anche il Medioevo sarà un argomento prediletto degli anni Ottanta, forse come antitesi al paradigma «razionalista» del discorso politico classi­co) provocando imprevedibilmente un successo pla­netario e producendo quel particolare manufatto cul­turale che verrà ribattezzato, ex post, «bestseller di qualità». un segnale decisivo per l’editoria, domina­ta negli anni Settanta dalla saggistica politica, e che invece negli anni Ottanta conoscerà la nuova egemo­nia della forma narrativa. E in quell’anno sancisce il successo di Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli, che scopre la provincia italiana affamata di nuove tra­sgressioni ed elabora un lessico posticcio in cui il fu­metto si intreccia alla musica, al cinema, persino allo slang neo-dialettale. Il peso del passato incombe ancora lugubre nella po­litica italiana. E il terrorismo scatenato negli anni Set­tanta lascia anche nel 1980 la sua scia di sangue: vengo­no assassinati Vittorio Bachelet e Walter Tobagi, Gui­do Galli e Girolamo Minervini, il generale dei carabi­nieri Enrico Galvaligi. Il 2 agosto la bomba alla stazio­ne di Bologna dimostra che non è ancora chiusa la sta­gione dello stragismo para-golpista. Ma l’arresto nel 1980 di Patrizio Peci è l’inizio della fine per i terroristi che avevano unilateralmente dichiarato guerra allo Sta­to italiano. Peci è il primo «pentito»: il partito armato comincia a sfaldarsi, a veder incrinata la sua compat­tezza militare e soprattutto psicologica, a riconoscere la sua sconfitta storica. Nel «covo» di via Fracchia a Genova il blitz dei carabinieri del generale Dalla Chie­sa provoca la morte di quattro brigatisti. Una prova di forza spietata. Il segno, cruento e feroce, che lo Stato era passato al contrattacco. Guido Crainz riporta l’am­biguo sentimento di «orribile sollievo» che la notizia di quell’irruzione sanguinosa aveva provocato nell’opi­nione pubblica esasperata dal terrore politico. il mo­mento di svolta, che segna un mutamento essenziale nella lotta contro il terrorismo. «Il peggio sembra esse­re passato», cantava in quegli anni Sergio Caputo con (eccessivo?) ottimismo. Quando nell’autunno dell’80 la «marcia dei quaran­tamila » a Torino piega il sindacato, si abbatte come una mannaia sui picchetti operai che presidiavano i cancelli di Mirafiori, qualcosa di imprevedibile segna­la la chiusura di una stagione cominciata con l’autun­no caldo del ”69. Qualcosa di più di una sconfitta politi­ca e sindacale: piuttosto la porta stretta attraverso cui si rimodelleranno lungo tutto il decennio le relazioni industriali, i rapporti di forza nella società, gli equili­bri tra i movimenti collettivi e le spinte di un nuovo individualismo soffocato nell’èra del predominio ideo­logico. Fatti diversi, che occupano sfere della vita mentale e sociale diversissime tra loro. Ma non è bizzarro accosta­re la marcia dei quarantamila all’incontro segnalato da Di Michele nel suo libro: «Il mitico Richard Gere conob­be Armani nel 1980 per il film American Gigolò » . Ma gli anni Ottanta nascono accostando nel 1980 in­dizi, segnali, premonizioni di un futuro con cui l’Italia non ha ancora fatto i conti. Quel decennio è stato dete­stato, deplorato come un condensato di volgarità, di rampantismo crudele e sfrenatamente cinico. Ma fu una rivoluzione che spalancò le porte dell’Italia alla modernità, tumultuosa e sgangherata, abbacinata con voracità di oggetti e prodotti di marca, capi griffati e merci di «consumo vistoso». Svuotò le sezioni dei par­titi e riempì le agenzie di viaggio specializzate nelle nuove vacanze di massa, capaci però di solleticare il miraggio dell’esotismo e del disimpegno. Uccise le ideologie, e perciò non cessa di alimentare la riprova­zione degli orfani dell’era ideologica. Redistribuì i ruo­li, affidando al mercato una paradossale funzione pro­gressista e fece diventare conservatori gli ex progressi­sti costretti a diventare sacerdoti dello status quo e della «vecchia» Italia. Tutto questo avvenne con una rapidità che accen­tuò lo sbigottimento frastornato di chi stentava a deci­frare il nuovo mondo del consumo turbo e della seco­larizzazione di massa. E ancor più rapidamente si con­centrò nel 1980 che inaugurava il decennio. Che con la morte di Nenni celebrò i funerali di un’Italia prossima all’estinzione e subito volle stordirsi con la riscoperta del Carnevale di Venezia. Formidabile, quell’anno.