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 2009  novembre 22 Domenica calendario

WASHINGTON

Un network esteso, con diramazioni in Europa, nel Golfo, negli Usa. Una filiera in supporto – con denaro e uomini – al gruppo di fuoco autore del massacro di Mumbai. Un mo­saico dove gli ultimi tasselli hanno i no­mi di David Headley, un pachistano di 49 anni che una volta si chiamava Dao­od Gilani, e di un paio di suoi connazio­nali fermati a Brescia.

Il padre diplomatico, la mamma pro­prietaria di un ristorante, Headley vive tra Philadelphia e Chicago dove però non riesce a inserirsi. Le sue radici conta­no. E gradualmente si accosta agli estre­misti del «Lashkar-e-Toiba» e «Harakat al Jihad Islami». L’uomo viaggia moltissi­mo, studia da terrorista e i suoi protetto­ri lo preparano a dovere. Inizialmente Headley deve partecipare alla «Operazio­ne Topolino», un progetto per colpire il giornale danese che ha pubblicato le fa­mose «vignette blasfeme». Fingendosi pubblicitario, armato di videocamera, compie una ricognizione all’interno del quotidiano. determinato, scaltro. Ma quando tutto sembra pronto per l’attac­co, il suo referente cambia idea. E invia un’email a David: «Ho bisogno di veder­ti per nuovi piani di investimento». Fra­se in codice che nasconde la volontà di organizzare attacchi, probabilmente, contro l’India. Ma Headley è catturato dagli statunitensi prima che possa agire. Fbi e servizi indiani scavano sul passa­to del militante e scoprono che ha visita­to numerose volte l’India tra il 2006 e il 2009. Insieme con lui agisce un canade­se di origini pachistane, Hussain Rana. Emerge così che Headley ha soggiornato all’Hotel Taj di Mumbai – uno degli obiettivi degli attacchi nel novembre 2008 ”, quindi ha preso casa vicino al centro israelita, altro bersaglio dei terro­risti. Va in giro fingendosi ebreo e mo­stra a chi lo incontra testi religiosi. Nel contempo intreccia amicizie con alcuni attori di Bollywood: escono a cena, si in­contrano in palestra, si divertono insie­me. Per gli 007 indiani Headley si è com­portato da vero infiltrato. Adesso voglio­no capire se possa essere «l’anello man­cante » nella strage di Mumbai. Ossia se abbia fatto da «scout» per conto del com­mando che poi ha assalito gli hotel e la stazione.

Fonti di intelligence ritengono che Headley e il canadese Rana siano mem­bri della «Brigata 313», una fazione gui­data da Ilyas Kashmiri che ha la peculia­rità di reclutare giovani di origine asiati­ca ma trapiantati in Paesi occidentali. So­no gli uomini più preziosi, parlano un in­glese fluente e sono capaci di sembrare degli europei o degli americani. Li chia­mano i «soldati perfetti»: elementi a cui affidare missioni delicate nelle città de­gli infedeli. Una tattica che ha fatto scuo­la. Oltre alla rete di Kashmiri, infatti, ne esiste un’altra, composta da uzbeki, che può contare su diversi tedeschi.

La pericolosità di queste formazioni sta nella possibilità di combinare tre componenti: mujaheddin «tradizionali» (pachistani, kashmiri, arabi), estremisti «bianchi» (occidentali) e i facilitatori, importanti per risolvere problemi logi­stici. In quest’ultima categoria rientrano le persone arrestate ieri a Brescia e gli al­gerini catturati pochi giorni fa, sospetta­ti di finanziare i qaedisti in Nord Africa. Attività legali o micro-crimine garanti­scono somme considerevoli poi girate attraverso le società di money transfer nelle tasche degli attentatori. Un flusso che trova in Italia una sponda robusta.

Accanto a questi network, definiti «ibridi», sono presenti cellule più picco­le, spesso formate da meno di sei perso­ne o addirittura da un singolo indivi­duo. Sono più amatoriali, fanno tutto o quasi in casa, hanno esperienze ridotte ma la loro volontà di colpire non è mino­re. Lo dimostra il caso di Mohammed Game, il kamikaze libico protagonista dell’attentato alla caserma Perrucchetti di Milano. A prima vista i «lupi solitari» non hanno contatti diretti con il qaedi­smo e il cordone ombelicale è rappresen­tato da un collegamento Internet. Ma la tendenza – già emersa in altre aree – è quella dello jihadista individuale teleco­mandato da un ispiratore lontano. Lui vi­ve a New York, ma chi o attiva se ne sta nascosto in Pakistan. E quello che sem­bra un fenomeno locale diventa all’im­provviso globale.

Guido Olimpio