FULVIO MILONE, La Stampa, 21/11/2009 FABIO MARTINI, La Stampa, 21/11/2009 MATTIA FELTRI, La Stampa, 21/11/2009 FRANCESCO GRIGNETTI, La Stampa, 21/11/2009, 21 novembre 2009
VARI ARTICOLI SU BRENDA (SEGUE)
«NOI SUI MARCIAPIEDI COME CARNE DA MACELLO" di FULVIO MILONE, La Stampa, 21/11/2009
Lo sapeva che prima o poi sarebbe successo, la morte se la sentiva addosso, pronta ad afferrarla. «Ho paura, sarebbe facile avvicinarmi mentre lavoro e farmi fuori. In strada, di notte, c’è il buio. Chi se ne accorgerebbe?». Ha sbagliato solo in un particolare, Brenda: la fine, per lei, non è arrivata sul marciapiede dove lavorava sulla Cassia ma in casa, via Due Ponti 180, palazzo F, primo piano: una porta di ferro dipinto di rosso spalancata su un bugigattolo di poco più di dieci metri quadri con soppalco.
«Altro che suicidio, Brenda è stata uccisa. Era terrorizzata, non ci stava più con la testa da quando era cominciata la storia di Marrazzo. Era sola, disperata, non lavorava neanche più, si faceva di coca e beveva, beveva... E anche noi, ormai abbiamo paura», dicono le amiche, i viados brasiliani che popolano gli orrendi palazzoni costruiti negli Anni Sessanta su una collinetta a ridosso di via Due Ponti: grappoli di antenne paraboliche sintonizzate con l’altro capo del mondo e qualche pianta sui balconi, stretti e sudici corridoi che conducono a minuscole «tane» con i mobili di formica e le foto dei parenti lontani appese alle pareti. «Questa è la nostra vita, non ci si può fare più niente», dice Barbara, labbra a canotto e seni siliconati, capelli lunghi e neri, occhiali da sole falso Dior. Barbara è esasperata: «Basta, basta - grida -. Ma che abbiamo fatto di male? Vendiamo il nostro corpo, è vero, ma non facciamo male a nessuno. Siamo di carne e ossa anche noi, siamo persone e invece ci trattano come bestie. Ci aggrediscono, ci rapinano, ci insultano e la polizia non ci protegge».
E’ un fiume in piena, Barbara. Era amica di Brenda, molto amica. E quasi piange mentre racconta dell’ultima volta che l’ha vista: «Giovedì sera, più o meno alle 9,30 (sette ore prima della morte di Brenda, ndr). Avevo parcheggiato la macchina davanti a casa. Mi ha visto ed è scesa per fare quattro chiacchiere. Reggeva fra le mani due bicchieri di whisky, le piaceva il Ballantine’s. Me ne ha offerto uno. Sembrava abbastanza tranquilla, anche se impaurita. ”Il padrone di casa mi ha detto di sloggiare, a questo punto non mi resta che tornare in Brasile”, mi ha detto. E poi: ”Qui per me è finita, non lavoro, non ho più un soldo”. Insomma, era depressa, ma non tanto da far pensare che volesse suicidarsi». A questo punto Barbara abbassa la voce, quasi avesse paura delle sue stesse parole: «Non è stata lei a farla finita, è stata uccisa».
Da quando il suo nome era finito nell’inchiesta sul Governatore Marrazzo, Brenda si sentiva perseguitata. «Non metteva quasi più il naso fuori di casa - racconta Alessia -. Era bruciata da quando i giornali e le tv avevano diffuso le sue foto. Non aveva più clienti. In strada la riconoscevano e la sfottevano: ”A Marrazzooo”, le gridavano dalle macchine. Era esasperata, ma non voleva certo morire». Ma si sentiva, Brenda, anche perseguitata e intimidita. «L’8 novembre aveva dato di matto dopo un’aggressione - racconta Alessia -. Dei romeni l’avevano circondata e picchiata: le avevano preso il cellulare ma non la borsa. Capisci? Solo il cellulare... Strano, no? Lei non credeva a una rapina, diceva: ”Hanno voluto farmi paura, secondo me sono amici di quei carabinieri (i 4 militari arrestati per il ricatto a Marrazzo, ndr). Hanno preso il cellulare perché solo quello gli interessava. Chissà quali numeri pensano di trovare”. Forse non volevano che parlasse con i magistrati». E aggiunge, Alessia, di quando quella stessa sera dei romeni armati di spranghe e coltelli fecero un’irruzione in casa di un’altra amicia di Brenda, Thaynna, urlando: «Dateci i soldi di Marrazzo».
I racconti dei viados di via Due Ponti alimentano il mistero che avvolge la fine di Brenda che negli ultimi tempi, quando l’alcol non le annebbiava la mente, diceva di essere «finita in una storia troppo grande che prima o poi mi inghiottirà». Sono davvero in pochi a credere al suicidio, e fra questi c’è Veronica, un viado che conosceva Brenda dai tempi in cui viveva in Brasile. «La storia di Marrazzo non c’entra niente, si è suicidata. Ci aveva già provato inghiottendo dell’ammoniaca. Beveva troppo, quando era ubriaca diventava cattiva, ma poi si pentiva e chiedeva scusa. Sono l’ultima che l’ha vista, l’altra notte davanti al Bowling dell’Acqua Acetosa. Era sconvolta. Aveva le valigie pronte, doveva tornare in Brasile e per fare un po’ di soldi cercava di vendere la tv, il pc, il frigo. Sono convinta che giovedì notte non ha retto alla disperazione e ha deciso di farla finita».
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L’AVVOCATO: ANCHE PIERO IN PERICOLO di FABIO MARTINI, La Stampa, 21/11/2009
Le giornate più angosciose della sua vita. Trascorse con la paura di incrociare lo sguardo di un passante, col terrore di ascoltare il proprio nome in tv, con l’ansia di trovare le parole giuste per la prima figlia, per la seconda e poi anche per la terza. Eppure, due giorni fa Piero Marrazzo aveva confidato ad un amico: «Mi sono sentito maciullato, ma ora forse va leggermente meglio, è come se la morsa si fosse un po’ allentata». In effetti sui giornali e in tv - che lui cerca di ignorare - era diminuita l’attenzione sull’ex governatore. Ma ieri mattina la morte violenta di Brenda, Blenda come la chiamava il Presidente, ha riacceso di colpo i riflettori, ricacciando Marrazzo nell’ansia. Con un dubbio, coltivato nelle settimane scorse e che ora si è riaffacciato in lui, sia pure in modo molto confidenziale: «E se fossi la pedina di un gioco più grosso? Ora qualcuno si convincerà che forse non sono soltanto la vittima di un ricatto isolato?».
Sensazioni che Piero Marrazzo si tiene per sé, anche perché - secondo uno dei pochi confidenti che gli sono rimasti vicini - «a questo punto potrebbe legittimamente intervenire una sensazione di paura». Quel che sapeva Brenda dell’intreccio politica-trans-droga e dei vip coinvolti, tutto questo, probabilmente, lo sa pure Piero Marrazzo. Ieri sera il suo avvocato, Luca Petrucci, è uscito allo scoperto: «Temo per la sua incolumità, spero che gli sia mantenuta la scorta». Per il momento l’ex governatore del Lazio sta al coperto: «Io non parlo, non dico nulla», ha detto agli amici. D’altra parte per un uomo ferito come lui sarebbe prematuro lanciarsi in dietrologie, prima ancora di sapere con certezza se Brenda sia stata ammazzata. E poi, anche quando si stabilisse che la sua vita fosse stata spenta in modo violento, a quel punto si aprirebbe un altro interrogativo: perché l’hanno uccisa? La vita pericolosa di un trans può essere disseminata di sgarbi, risentimenti, rivoli avvelenati.
Dunque, ce ne vuole di fantasia prima di arrivare alle «barbe finte» dei Servizi deviati o, alla spericolata ipotesi di un’azione «preventiva» commissionata da qualche papavero terrorizzato dall’idea di essere associato al mondo dei viados. Certo, in queste settimane, chi ha parlato riservatamente con Marrazzo, si è fatto un’idea. Prima che lo scandalo scoppiasse, il governatore era troppo spavaldo, troppo sicuro della propria impunità: una sensazione legata forse alla consapevolezza di appartenere ad un giro «altolocato» e dunque intoccabile?
Da dieci giorni Piero Marrazzo, oltre ad organizzare una linea processuale, sta cercando di recuperare un equilibrio psico-fisico andato a pezzi. Una rimonta difficile, affidata alle cure di uno psicoterapeuta di valore, già responsabile dei Ds per la psichiatria e le tossicodipendenze. Un recupero che si sta consumando lontano da Roma, in provincia di Frosinone anche se ogni tanto Marrazzo torna a casa. Anche la moglie, Roberta Serdoz - giornalista precaria che al Tg3 non ha mai profittato della posizione del marito prima in Rai e poi in politica - sta provando a reagire, impegnandosi in prima linea nel suo lavoro. Nei giorni successivi allo scoppio del caso, quando lo choc emotivo era ancora altissimo, la Sardoz aveva preferito lavorare in «retrovia», su servizi registrati. Ma nei giorni scorsi è tornata in video: a «Linea notte», la Serdoz va in diretta, il lavoro emotivamente più difficile.
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LA CITTA’ POSTRIBOLO ANNUSA LA MORTE E SCOPRE LA PAURA di MATTIA FELTRI, La Stampa, 21/11/2009
Adesso ogni congettura è buona. Quelli che la sanno lunga dicono che la zona di via Gradoli, quella porzione di città sulla Cassia, era zona franca: ci si andava, anche con le auto blu, non si correva il pericolo di finire su un rotocalco col sedere di fuori, si faceva quel che c’era da fare e si tornava a casa. Dicono che controllavano tutto i servizi segreti ad uso dei governatori di regione, dei ministri e degli ex ministri, dei vip della televisione o dello stadio, una grande bonifica a beneficio della terza via del sesso e dei suoi insigni praticanti. Poi qualcosa è andato storto e adesso, dicono, cercano di mettere a posto le cose, a modo loro.
Si può dire di tutto, perché Roma non è più soltanto la città del pettegolezzo. O la città che da un giorno con l’altro è cascata dal pero. Il mercato dei transessuali era semplicemente l’ultima cassaforte della privacy, un luogo da prima Repubblica, dove si andavano a calare i pantaloni e nessuno ci avrebbe messo becco. Non ci sarebbe stato nemmeno bisogno delle inchieste di una star come Roberto Saviano, che sull’«Espresso» ha appuntato tutti i luoghi della Roma mercenaria, dove esercitano queste e dove esercitano quelle e le nere e le gialle e naturalmente dove esercitano i transessuali: che bastava andare da Roma centro alle periferie, o viceversa, per vedere le file di trans schierati e dove c’è tanta offerta c’è tanta domanda. Oppure bastava leggere gli annunci volutamente ambigui sui giornali. O fare come ha fatto il «Riformista», una passeggiata su Internet dove decine di trans dettagliavano la loro caratura in dotazioni, misure, calibri - «tutto funzionante al cento per cento!» - e in pratiche, angolature, punti di vista, dazioni e ricezioni. Si trova merce per qualsiasi portafoglio.
In fondo, la fugace curiosità di Silvio Sircana fu archiviata in mezzo sbadiglio, e non tanto per i costumi dell’allora portavoce di governo, quanto per i costumi di una città, di un Paese intero. Nei palazzi (nei giorni di «chiappe d’oro», dalla fortunata definizione coniata da Gianguarino Cafasso, il primo morto di questa storia sempre più squallida) si camminava rasente ai muri nel terrore di essere individuati come «quello grosso», quello che Cafasso aveva per le mani, appunto «chiappe d’oro per come je piaceva». Erano pomeriggi durante i quali ogni onorevole forniva l’identikit o direttamente il nome del compare di gusti di Piero Marrazzo; Maurizio Gasparri uscì allo scoperto, con un’intervista al «Giornale», per salvaguardare il masculo che è in lui. Ma insomma le identità giravano - e girano - gente di destra e di sinistra, dei giornali e delle tv, il campione di calcio e il cantante. Qualcuno redigeva lettere anonime su Dagospia per risolvere l’enigma. Alle cene si inorridiva per convenzione.
Il dramma era che Roma puttana, come cantava Luca Barbarossa, era cosa su cui si poteva passare sopra, affettuosamente. Ma Roma che va a trans, no. I ragazzi scrivevano sui blog robe così: io vado a trans, sono gay? Tutto anonimo, s’intende. Una vergogna collettiva, la stessa dei bimbi che mentono convinti di farla franca. Un immenso popolo colto nel suo smarrimento. Si intervistavano i trans che fornivano giustificazioni sociologiche: tanti vengono da noi soltanto per parlare dei loro problemi, per confidarsi, per buttare fuori le loro angosce, e nessuno li può capire quanto noi. La doccia, la minestra, la tv. Come dire, non è solo nudità e squallore. E’ proprio amore. Poi, a registratore spento, anche loro cominciavano con l’anagrafe della fitta clientela. Ecco, tutti cascati dal pero. Psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, tutti a diagnosticare la crisi del maschio eccetera, e a stendere la diagnosi, perché sempre alla malattia si va a finire. Qualche spirito disincantato, per esempio Umberto Galimberti, tentò di assodare la normalità eterna buttandola nella classicità dell’ermafroditismo, nella bisessualità delle divinità greche, eppure alle mogli della capitale - e del resto d’Italia - nulla importava della mitologia: non c’è più uomo al di sopra di ogni sospetto.
In questo mese scarso abbiamo visto anche i vendicatori della rettitudine, certi soldati notturni armati contro la dissoluzione morale. Gaylib e associazioni simili hanno denunciato l’aumento delle aggressioni ai trans; la stessa povera Brenda, una decina di giorni fa, venne rapinata e malmenata e - per dire il caos - quando arrivarono i carabinieri lei li prese a sputi e insulti. Un maestoso scenario di contraddizioni, ipocrisie, desideri e disonori, delazioni, ricatti. Sembrava già più di un po’. Ma adesso, davvero, ogni congettura è buona. Per Mario Adinolfi, Brenda è come Mino Pecorelli. Per un consigliere regionale del Pd, siamo allo stragismo o a una riedizione del ponte dei Frati neri. Secondo Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione, «i mandanti vanno cercati molto in alto».
Ci si ritrova così, in una città che non è soltanto il vecchio postribolo quasi trimillenario, non soltanto la solita città moderna dove la cocaina è rimedio condiviso, ma in una città autorizzata ai sospetti più rimasticati, dove si filma il sesso venduto, si prende per il collo e per le tasche l’acquirente, lo fanno i venditori e lo fanno i carabinieri, dove si spiffera, dove si taglieggia, dove si ammazza. Brenda aveva il terzo filmino di Marrazzo, e chissà quanti altri - si dice - nel computer trovato immerso nell’acqua.
Gianguarino Cafasso, il primo che cercò di piazzare le immagini del governatore, uno che teneva le file della congressualità di via Gradoli, è morto a settembre per overdose, e se n’è andato con il suo scrigno. Ci si chiede, quindi, non soltanto chi sarà il prossimo a finire sul giornale ma anche chi sarà il prossimo a finire all’obitorio. E’ tutto andato oltre l’imprevedibile, oltre quel «sono la pecora / sono la vacca / che agli animali si vuol giocare» cantato da Fabrizio De Andrè in ode dei trans. Qui gli animali si sono messi a macellarli.
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NATALIE: AVRA’ FATTO QUALCOSA di FRANCESCO GRIGNETTI, La Stampa, 21/11/2009
Tutta una mossetta, uno stringere la boccuccia, un ancheggiare, strizzata in un jeans troppo stretto e in una giacchetta color cuoio da cui quasi scappano fuori le tette, ma in corpo di omaccione. Natalie, il trans, ieri mattina alle dodici ci ha tenuto ad attraversare via Gradoli in tutta la sua lunghezza. Che la vedessero tutti. E il messaggio era chiaro: Natalie non ha paura. L’ha detto anche, di non avere timori («Sono tranquilla. Non ho paura di nulla perché non ho fatto nulla») quando poi finalmente è arrivata al portone di casa e s’è fermata un attimo, ma solo un attimo, «perché io con i giornalisti non ci parlo più». Dunque, Natalie, saputo della sua amica Brenda? «Nooo», soave. Guarda che è morta e pure in brutto modo. «Ah sìììì... Poverella. Mi dispiace».
Che Natalie non amasse Brenda, e viceversa, sono le carte dell’inchiesta Marrazzo a raccontarlo. Si soffiavano i clienti a vicenda e pare che sia andata così anche con il Governatore del Lazio. Addirittura c’è l’ipotesi che tutto lo scandalo sia stato innescato dalla rivalità tra i due brasiliani quando Natalie ha fatto il colpo grosso. Così non c’è da meravigliarsi se mancano le lacrime in via Gradoli per la povera Brenda. «Non lo so se è stato un suicidio... Se le è successo quello che è successo forse è perché ha fatto qualcosa. Ma io non lo posso dire, nessuno sa la verità... Io non posso dire una cosa che non so. Può darsi che lei si sia ammazzata, può darsi che qualcuno l’abbia fatto, ma questa non è una cosa mia, io non c’entro niente».
Non una sola parola di dolore. Via Gradoli intanto osserva con curiosità e rabbia quanto accade. Sono comparsi un paio di annunci immobiliari: «Vendesi monolocale, altissimo reddito». S’è visto che in effetti il reddito qui si produce per davvero. Da alcuni balconi penzolano striscioni fai-da-te che urlano «Basta degrado». Quale sia il degrado, è talmente ovvio che non c’è bisogno di scriverlo. Ma Natalie fa spallucce. La vita continua. Certo che è ben strana, però, questa morte di Brenda. E poi non è scomparso misteriosamente anche lo spacciatore amico suo, Gianguarino Cafasso, il confidente dei carabinieri infedeli? Lei si ferma un attimo a riflettere. «Che è strano, è strano. Però non posso dire. Non ho amicizie con loro che abitano là. Mi dispiace che Brenda sia morta, ma non era mia amica, era solo mia compaesana. E a me non frega niente di quello che dicono i giornali, se era ubriaca come hanno scritto, se lei si droga, o se è malata: mi frega di me». E quel famoso secondo video su Marrazzo? «Io non ho visto un secondo video, lo dicono in giro che ci sia. Dicono che era sul suo computer». Già, è quello che i trans dicono. Ma se Brenda aveva questa cattiva abitudine, di filmare in segreto i clienti eccellenti, beh, ecco un ottimo movente per un omicidio.
Tutta una mossetta, uno stringere la boccuccia, un ancheggiare, strizzata in un jeans troppo stretto e in una giacchetta color cuoio da cui quasi scappano fuori le tette, ma in corpo di omaccione. Natalie, il trans, ieri mattina alle dodici ci ha tenuto ad attraversare via Gradoli in tutta la sua lunghezza. Che la vedessero tutti. E il messaggio era chiaro: Natalie non ha paura. L’ha detto anche, di non avere timori («Sono tranquilla. Non ho paura di nulla perché non ho fatto nulla») quando poi finalmente è arrivata al portone di casa e s’è fermata un attimo, ma solo un attimo, «perché io con i giornalisti non ci parlo più». Dunque, Natalie, saputo della sua amica Brenda? «Nooo», soave. Guarda che è morta e pure in brutto modo. «Ah sìììì... Poverella. Mi dispiace».
Che Natalie non amasse Brenda, e viceversa, sono le carte dell’inchiesta Marrazzo a raccontarlo. Si soffiavano i clienti a vicenda e pare che sia andata così anche con il Governatore del Lazio. Addirittura c’è l’ipotesi che tutto lo scandalo sia stato innescato dalla rivalità tra i due brasiliani quando Natalie ha fatto il colpo grosso. Così non c’è da meravigliarsi se mancano le lacrime in via Gradoli per la povera Brenda. «Non lo so se è stato un suicidio... Se le è successo quello che è successo forse è perché ha fatto qualcosa. Ma io non lo posso dire, nessuno sa la verità... Io non posso dire una cosa che non so. Può darsi che lei si sia ammazzata, può darsi che qualcuno l’abbia fatto, ma questa non è una cosa mia, io non c’entro niente».
Non una sola parola di dolore. Via Gradoli intanto osserva con curiosità e rabbia quanto accade. Sono comparsi un paio di annunci immobiliari: «Vendesi monolocale, altissimo reddito». S’è visto che in effetti il reddito qui si produce per davvero. Da alcuni balconi penzolano striscioni fai-da-te che urlano «Basta degrado». Quale sia il degrado, è talmente ovvio che non c’è bisogno di scriverlo. Ma Natalie fa spallucce. La vita continua. Certo che è ben strana, però, questa morte di Brenda. E poi non è scomparso misteriosamente anche lo spacciatore amico suo, Gianguarino Cafasso, il confidente dei carabinieri infedeli? Lei si ferma un attimo a riflettere. «Che è strano, è strano. Però non posso dire. Non ho amicizie con loro che abitano là. Mi dispiace che Brenda sia morta, ma non era mia amica, era solo mia compaesana. E a me non frega niente di quello che dicono i giornali, se era ubriaca come hanno scritto, se lei si droga, o se è malata: mi frega di me». E quel famoso secondo video su Marrazzo? «Io non ho visto un secondo video, lo dicono in giro che ci sia. Dicono che era sul suo computer». Già, è quello che i trans dicono. Ma se Brenda aveva questa cattiva abitudine, di filmare in segreto i clienti eccellenti, beh, ecco un ottimo movente per un omicidio.
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CRONOLOGIA (LA STAMPA):
3 LUGLIO: Blitz di quattro carabinieri in un appartamento di via Gradoli 96: Piero Marrazzo, governatore del Lazio, viene filmato in compagnia di un transessuale (Natalie). Su un tavolino c’è della polvere bianca, probabilmente cocaina.
12 SETTEMBRE: Muore per overdose Gianguarino Cafasso, protettore e pusher dei transessuali.
19 OTTOBRE: Carmen Masi, titolare con il marito Domenico dell’agenzia Photo Masi, riceve una telefonata da Marrazzo che chiede di comprare in esclusiva il video.
20 OTTOBRE: Silvio Berlusconi telefona a Marrazzo: lo avvisa che alla Mondadori è stato offerto il video e gli garantisce che il gruppo non ha interesse ad acquistarlo.
23 OTTOBRE: Arrestati i quattro carabinieri con l’accusa di aver ricattato il governatore. Marrazzo smentisce tutto: « solo gossip. Non esiste alcun video».
24 OTTOBRE: Marrazzo abbandona a presidenza del Lazio: «Mi autosospendo, questa vicenda è frutto di una mia debolezza della vita privata».
2 NOVEMBRE: Marrazzo ammette di aver avuto anche due incontri con il transessuale Brenda.
10 NOVEMBRE: Il tribunale del riesame scarcera il carabiniere Nicola Testini mentre Antonio Tamburrino è ai domiciliari. Restano in carcere Carlo Tagliente e Luciano Simeone. indagato un quinto carabiniere.
20 NOVEMBRE: Il corpo senza vita del trans Brenda, coinvolto nella vicenda Marrazzo, viene trovato nel su appartamento di Roma via Due Ponti 180.
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