Stefano Landi, Corriere della Sera 21/11/2009, 21 novembre 2009
Scantinati, retrobottega o capannoni industriali. Non sempre per un musulmano che vive in Europa è possibile pregare in una moschea vera e propria
Scantinati, retrobottega o capannoni industriali. Non sempre per un musulmano che vive in Europa è possibile pregare in una moschea vera e propria. Una realtà che è fonte di continui conflitti, politici e sociali. quanto emerge da Conflicts over mosques in Europe, ricerca condotta da Stefano Allievi, docente di Sociologia all’università di Padova, in collaborazione con Etnobarometro e Network of European Foundation. Una ricerca (diventerà un libro) che è una mappa delle moschee e dei luoghi di preghiera ma che analizza anche i motivi per cui, nei quattordici Paesi presi in esame, nessuna apertura di luoghi di culto ha assunto forme di tensione come nel caso islamico. In Svezia, ad esempio, dove il livello di accettazione dello status dei musulmani è da sempre buono, 41 congregazioni islamiche affermano oggi di aver ricevuto minacce, 33 di aver subito attacchi sotto forma di vandalismi. E l’Olanda, Paese noto per le sue aperture nei confronti delle comunità islamiche, negli ultimi tempi ha dichiarato espressamente di voler cambiare completamente linea. Dalla ricerca emerge che i musulmani che vivono nei 14 Paesi analizzati (vedi grafico) sono poco più di 18 milioni, con 10.957 moschee (intendendo con questo termine sia le moschee vere e proprie sia gli altri luoghi di preghiera): circa una ogni 1.650 abitanti. Un dato elevato, comparabile a quello di molti Paesi musulmani. La presenza dell’Islam nello spazio pubblico europeo non poteva così passare né socialmente né culturalmente inosservata. E così nascono i conflitti. Il primo problema riguarda il ritorno dell’Islam sulla scena geopolitica internazionale; il secondo l’aumento dell’immigrazione musulmana in Europa. Non a caso le prime sale di preghiera sono nate nelle case dove i lavoratori vivevano o nei luoghi dove lavoravano. Solo con la fine degli Anni 70 si ha il progressivo diffondersi delle sale di preghiera, come conseguenza della consapevolezza di essere diventati una migrazione senza il mito del ritorno. Un conflitto spesso «virtuale », spiega il professor Allievi. «Da un punto di vista pratico, le avversità della gente comune ai luoghi di culto islamici riguardano il non trovare parcheggio nella zona per gli affollamenti del venerdì, i timori di aumento della delinquenza o della caduta del valore degli immobili: questioni ampiamente risolvibili con politiche locali. Spesso sono i media e il mondo della politica a trasformare il tutto in un conflitto di compatibilità religiosa». Le controversie riguardano soprattutto la visibilità di questi luoghi nelle città europee. E il problema si manifesta quando lo spazio di preghiera si trasforma in maniera estetica nello spazio pubblico. « per questo che sono poche le moschee vere e proprie, con minareto o cupola», aggiunge Allievi. Un problema di percezione, quindi. L’Austria ha appena approvato una legge per vietare la costruzioni di minareti, la Svizzera si appresta a votare un referendum nella stessa direzione. Nella ricerca vengono considerate moschee tutti i luoghi, aperti ai fedeli, in cui i musulmani si ritrovano a pregare con continuità. Sono poche in Europa quelle costruite ad hoc, le «masjid». Esistono soprattutto «musalla», le sale di preghiera. Vecchi magazzini, negozi, persino appartamenti privati. Alcune di queste possono essere «ad ore», perché condivise con altre funzioni (ospedali o stadi), o «a tempo», come luoghi di villeggiatura che richiamano lavoratori musulmani solo in alcune stagioni dell’anno. In Italia, soprattutto nelle periferie, si prega «a turni» per assenza di spazi fissi e le soluzioni tampone nella maggior parte dei casi diventano stabili per assenza di alternative. «Una moschea vera e propria avvicinerebbe ai luoghi di culto anche musulmani imprenditori, quelli delle classi medie, che snobbano gli attuali luoghi» spiega Paolo Branca, professore di Islamologia e Lingua araba alla Cattolica di Milano. Nella maggior parte dei casi, nel nostro Paese i luoghi di preghiera musulmani sono precari: aprono e chiudono. L’Italia è anche uno dei Paesi europei in cui la dialettica tra le parti è più esasperata. «Da noi c’è il brutto vizio di negare la realtà che non piace – aggiunge Branca ”. Se le moschee servono, dire che non le vogliamo non è un modo politico di risolvere le cose, ci vogliono progetti nel lungo periodo: qualcosa si muove in vista dell’Expo, per rispetto dei musulmani che arriveranno a Milano servirà rendere agibili luoghi di preghiera decorosi». In Italia le moschee vere e proprie sono tre: quella di Catania, oggi non più utilizzata, quella di Milano Segrate e il Centro islamico culturale a Roma, inaugurato nel 1995. Solo una è attualmente in costruzione (tra le polemiche) a Colle val d’Elsa, in Toscana. Complessivamente i luoghi di preghiera sono 749. Nell’Europa degli ultimi dieci anni molto sta cambiando. In un senso e nell’altro. C’è il caso dell’Olanda che sosteneva con sussidi i luoghi di culto islamici e che, dopo l’omicidio del regista Theo van Gogh e il successo dei partiti islamofobi, ha ribaltato il suo corso politico. In Francia, invece, Paese con la più grossa presenza islamica d’Europa (8% della popolazione), ma con una politica molto restia ad aprire moschee in luoghi pubblici, oggi (silenziosamente) il trend è cambiato e addirittura in alcuni casi è lo Stato a finanziarne la costruzione. Ma la questione dei conflitti è più che altro locale. In Germania, secondo Paese europeo per numero di musulmani (3,3 milioni circa), ci sono realtà come Colonia dove si sta costruendo una grossa moschea cittadina e città più piccole dove le amministrazioni si oppongono rigidamente. Come successe qualche anno fa a Charvieu-Chavagneux, periferia est di Lione: il sindaco (di estrema sinistra) passò con un caterpillar sulla moschea esistente tra l’euforia della folla, mentre a pochi chilometri a Lione aprivano luoghi di culto islamico con plausi bipartisan. Cosa succederà nei prossimi anni? Su una cosa convengono Allievi e Branca. Il tempo giocherà un ruolo importante, in Italia, come altrove. Perché la differenza la potranno fare i «musulmani 2G», quelli della seconda generazioni di immigrati. Il primo e il 2 dicembre al Circolo dei Lettori di Torino ci sarà un convegno per raccontare questa generazione nata e scolarizzata nel nostro Paese che potrà abbassare la soglia del conflitto inter-religioso e favorire la convivenza davanti ai luoghi di preghiera. Stefano Landi E a Milano tutto rimandato. Al 2011 MILANO – Gli 80 mila musulmani milanesi (tra regolari e irregolari) dovranno aspettare ancora. E continuare a pregare sparsi (i fedeli sono circa 7000) nei diciotto luoghi di preghiera, spesso improvvisati, sparsi nella città. Parte la moratoria elettorale. L’esperimento moschea a Milano con relativa chiusura definitiva del centro culturale di viale Jenner verrà «congelato» fino alle prossime Regionali di fine marzo. I più realisti rimandano la data ben più in là: se ne riparlerà dopo le Comunali del 2011. Solo a quel punto la questione moschea a Milano troverà una soluzione. Ne sono sicuri gli addetti ai lavori della prefettura. Ma ne sono convinti anche i palazzi della politica. Dal Pirellone, al palazzo della Provincia a Palazzo Marino. Questione squisitamente politica: sia la Lega sia il Pdl vorrebbero fregiarsi davanti al proprio elettorato di essere stati i principali artefici della chiusura del contestatissimo centro culturale di viale Jenner. Ma né la Lega né il Pdl vogliono passare per il partito che da solo ha dato via libera alla costruzione delle nuova moschea (o delle tante piccole moschee sparse per la città). Nessun vantaggio all’alleato-avversario. Soprattutto sotto elezioni. Lo stallo è totale. Lo scontro anche. Tanto che l’annunciata collaborazione tra il ministro dell’Interno, Roberto Maroni e il sindaco Letizia Moratti, ha subito una brusca frenata proprio martedì scorso, quando l’uomo del Viminale ha rispedito la palla nel campo del Comune. «L’apertura o meno di una moschea non è una questione che riguarda il ministro dell’Interno – aveva detto Maroni ”. Io mi occupo di sicurezza. La moschea è una decisione che spetta al Comune». «Ma come? – replica il vicesindaco milanese, Riccardo De Corato ”. Il ministro dell’Interno un mese fa in prefettura ci aveva chiesto di collaborare a un disegno di legge che disciplini e regolamenti le attività delle moschee e aveva dato mandato al prefetto di istituire un tavolo su cui confrontarci. Adesso scopriamo che non c’è più bisogno di una regolamentazione nazionale e non è un problema di sicurezza. Proprio quando Maroni lancia allarmi e dice che a Milano potrebbe esserci un saldamento tra terrorismo rosso e jihadista». «Maroni è il ministro dell’Interni piu determinato concreto e corretto che il Paese possa avere – replica il capogruppo della Lega, Matteo Salvini ”. E che un Comune come quello di Milano aspetti da Roma indicazioni o la pappa pronta, da buon milanese, lo trovo frustrante. Maroni sta predisponendo un disegno di legge della Lega per normare eventuali nuove moschee, ma intanto, da buon autonomista, ritiene che ogni Comune possa decidere se e cosa fare». Animi avvelenati. Subito dopo la dichiarazione, Maroni ha incontrato la Moratti per un lungo faccia a faccia: 45 minuti di colloquio. Alla fine, il sindaco rilancia «quando ci sono aspetti che riguardano l’ordine pubblico preferiamo lavorare con la prefettura. E il ministro ha condiviso questo approccio». Maroni, invece, non ha aperto bocca. Da Palazzo Marino fanno notare che spesso i silenzi sono più significativi delle parole e la sera stessa il sindaco ha incontrato Umberto Bossi in via Bellerio. Ma, a oggi, il tavolo in prefettura non è ancora stato riconvocato. In questo bailamme, una cosa sola è certa. Se e quando si deciderà, non si tratterà di «una grande moschea». Ma di una serie di «piccoli» luoghi di preghiera. «Non ci sarà una grande moschea – spiega l’assessore all’Urbanistica, Carlo Masseroli – perché vorrebbe dire attrarre i fedeli di tutto il Nord e di conseguenza snaturare un intero quartiere. Dal punto di vista urbanistico non ha senso e infatti il nuovo governo del territorio non lo prevede». Ironia finale. Due giorni fa il Comune ha deciso di conferire l’Ambrogino d’oro, la massima benemerenza civica, a Mamhoud Asfa, imam «moderato» di via Padova. I «suoi» fedeli settimana scorsa hanno pregato all’aperto nel cortile della piscina Scarioni. Maurizio Giannattasio