Ottavio Ragone, la Repubblica 21/11/2009, 21 novembre 2009
Quel gol che portò l´Italia in Messico fu il balzo di un puma con le sembianze di un uomo. «Ricordo quella rete, l´emozione nel cuore, il boato della folla, una gioia indescrivibile, cose che neanche se uno si ammalasse di Alzheimer potrebbe dimenticare?»
Quel gol che portò l´Italia in Messico fu il balzo di un puma con le sembianze di un uomo. «Ricordo quella rete, l´emozione nel cuore, il boato della folla, una gioia indescrivibile, cose che neanche se uno si ammalasse di Alzheimer potrebbe dimenticare?». Stadio San Paolo di Napoli, 22 novembre 1969, Italia contro Germania Est. Quarant´anni fa, domani. La partita decisiva per andare ai Mondiali e affrontare il Brasile di Pelè. Gigi Riva raccoglie i ricordi con quel suo tono secco, senza fronzoli. «Segnai il gol del 3-0. Domenghini stava lavorando un pallone sulla fascia destra alla sua maniera, e correva. Io aspettavo il momento migliore per inserirmi in area. Vidi arrivare una palla tesa, forte, non mi restava che buttarmi con il corpo in avanti. Pensai: dai Gigi, devi guadagnare mezzo secondo di tempo, altrimenti non ce la fai. Mi inarcai, tuffandomi. Schiacciai il pallone di potenza con la testa, verso la porta. Poi sentii un boato spaventoso al San Paolo, una gioia incontenibile?». «Rete, rete, rete», urlava Nando Martellini ai microfoni della telecronaca. «Ci giocavamo la qualificazione - racconta Riva - dovevamo assolutamente vincere. La Germania Est era una buona squadra. Sentivo molto la responsabilità, partecipai a tutti e tre i gol, anche se sbagliai un rigore. Il primo nacque da una conclusione mia, respinta, che poi Mazzola mise in porta. Il secondo venne da un mio assist per Domenghini. E l´ultimo?». L´ultimo fu un lampo. La prodezza di uno che non tirava mai indietro la gamba, anche a costo di rompersela. Poco italiano, nel senso che assumeva tutti i rischi del mestiere su di sé. Quello che rifiutò l´offerta di Gianni Agnelli e la Juventus. «Sì, certo, dissi no ad Agnelli. Cos´altro avrei potuto fare?», si chiede oggi Riva. «La Sardegna mi diede una casa, un affetto immenso. I soldi, certo, anche quelli. Ma l´umanità della gente, l´amore, non avevano prezzo. Che belli, quegli anni. E quel 1969. Forse il momento migliore per me, ero in una condizione splendida. E quello stadio, e Napoli che esplodeva?». San Paolo di Fuorigrotta, ottantamila sguardi sulla Nazionale. E quel gol. Parte il cross di Domenghini. Riva è già in area, ma all´inizio non si vede. Le telecamere ritagliano un fazzoletto verde di erba e basta. Poi in basso nei teleschermi, del tutto imprevisto, si vede spuntare un missile umano. Si impone al raggio ottico della telecamera, volando, ventre a terra. Non s´è mai visto un numero 11 sospeso nell´aria, eppure al San Paolo accade. Riva si spinge con la testa lì dove ogni altro calciatore sarebbe giunto in scivolata. Un tuffo lungo interminabili istanti di adrenalina pura. «Mi dicevo: guadagna tempo, Gigi, guadagna quel mezzo secondo in più, ecco, colpisci ora?». In quella stessa giornata, in altre parti della città non contagiate dall´urlo dello stadio, un italo-canadese spaccia dollari falsi e viene ammanettato in un bar del centro, un manovale di venti anni muore tamponato da un´auto a Brusciano, alla periferia di Napoli un uomo viene ferito con due pistolettate, e intanto Gigi vola, e diavolo di una città, si ripetono sempre le stesse cose e non sono quasi mai belle cose. Però almeno quell´Italia lì sembrava più unita, meno egoista, si ritrovava nel calcio, anche se il boom economico era finito da un pezzo e in quei giorni di novembre l´agente Antonio Annarumma veniva ucciso a 22 anni a Milano nei disordini in piazza tra dimostranti e forze di polizia. «Era un´altra epoca, un calcio diverso, anche una società diversa» ricorda Riva. «Resistevano valori umani che non ci sono più. Tra noi eravamo davvero amici. Gli ambienti intorno al pallone sono cambiati. Oggi si gioca una partita quasi ogni giorno, per mascherare i problemi dell´Italia. I calciatori vivono tra gossip e veline. Anche noi andavamo con le veline, cosa credono? Ma non cercavamo le prime pagine, non portavamo le ragazze sulla spiaggia giusta per farci fotografare. Ed eravamo pure più concreti». Nel bene e nel male quel paese ha contorni netti, proprio come Riva al San Paolo mentre spicca il balzo verso la porta. Ha grinta, una voglia epica di vincere, e intanto guadagna altri centimetri di volo. Ecco, finalmente colpisce la palla di testa. Trafigge il portiere Groy, è una rete fenomenale e tutto lo stadio si alza in piedi e sembra un intero paese compatto e fuso in un comune sentire. «Fu meraviglioso, un intero stadio per noi. Napoli mi ha sempre regalato gioie forti, il calore della simpatia». Correva come un puledro senza briglie nel grido degli ottantamila: gol, gol, gol.