Francescho Manacorda, La Stampa 21/11/2009, 21 novembre 2009
Su Profilo ho deciso di metterci la mia faccia, il mio impegno». E non sembra proprio che a Matteo Arpe dispiaccia metterci - ancora una volta - la faccia
Su Profilo ho deciso di metterci la mia faccia, il mio impegno». E non sembra proprio che a Matteo Arpe dispiaccia metterci - ancora una volta - la faccia. Specie se lo fa davanti a un centinaio di analisti di cui è stato spesso il beniamino e che adesso assistono al suo ritorno ufficiale sulla scena bancaria italiana dopo la tempestosa uscita da Capitalia ai tempi della fusione con Unicredit. Va in scena - nei soliti saloni del solito grande albergo milanese - la presentazione del piano industriale 2010-2012 di Banca Profilo, ma va in scena anche e soprattutto lo spettacolo di un banchiere che - nato e cresciuto nel cuore degli intrecci della finanza tricolore - dopo l’espulsione da quel sistema ha prima scelto di spostare la sua attività a Londra e adesso dice di voler fare della propria proclamata diversità dal «modello italiano» il suo marchio di fabbrica, quasi un bollino di garanzia. A quattro mesi dall’operazione che ha portato la sua Sator a prendere il 55% di Banca Profilo e lui e i suoi uomini ad entrare nella stanza dei bottoni - Arpe è presidente, un collaboratore dai tempi di Capitalia come Fabio Candeli amministratore delegato, altri sono appena entrati nei posti chiave - il banchiere punta a rinnovare l’attività di «private banking» dell’istituto, trasformandolo in una banca che resterà per soli ricchi ma che a loro vuole offrire adesso un servizio a tutto tondo. Si va dalla possibilità di un vero e proprio «family office» che gestisca il patrimonio di una dinastia, all’offerta ai singoli di coinvestire assieme alla stessa Sator su alcuni particolari affari, alle competenze - citate forse con qualche malizia nei confronti di blasonati e ben più grandi concorrenti - che «consentono ai nostri esperti di smontare un derivato in un giorno e sostituirlo con un prodotto più semplice riducendo eventuali perdite per il cliente». Con queste premesse la banca conta di portare le masse della clientela, oggi a 1,7 miliardi, a 8,4 miliardi per il 2012, mentre al termine dei tre anni i ricavi dovrebbero essere superiori ai 100 miliardi e l’utile netto a 26-27 miliardi, il tutto - dice Arpe, «sulla base di stime molto prudenziali». Per ora gli azionisti devono prendere atto che nel 2009 non ci sarà dividendo, se ne riparlerà l’anno prossimo. Il banchiere, dal canto suo, può accontentarsi della plusvalenza assolutamente teorica («resteremo almeno 5-7 anni, ma forse anche più a lungo, e non intendiamo ridurre la nostra quota») che la Sator ha già registrato con l’investimento in Profilo: con le azioni acquistate a 0,2 euro e che oggi valgono 0,7 «abbiamo già una plusvalenza, ripeto teorica, più vicina ai 200 che ai 100 milioni». Insomma Banca Profilo non sarà un colosso che farà tremare i concorrenti della Serie A finanziaria in cui Arpe era abituato a giocare, ma si propone di sicuro come qualcosa di diverso. Ricorrono nella presentazione i concetti di indipendenza («lo siamo») e di conflitto d’interessi («non ne abbiamo»), fino a mostrare relativa freddezza su quello scudo fiscale che molte banche del settore «private» vedono come la manna dal Cielo: «Non è detto che scuderemo tutti i capitali. Lo scudo può essere un’opportunità ma siamo molto selettivi. Il valore del denaro dipenda anche dai soggetti che lo detengono». Ma non è che questo eterno primo della classe rischierà di scottarsi qui in Italia, dove tra i banchieri conta forse più nemici che estimatori? Insomma, gli chiedono, riuscirà nel caso Arpe a fare operazioni «di sistema»? «Sulla logica di sistema - è la prudente risposta - non abbiamo preclusione alcuna. Siamo indipendenti e apolitici e su certi principi abbastanza attenti. Spero che questo non ci porti fuori dal sistema». E poi Arpe resterà solo ricco banchiere per ricchi clienti o lo vedremo tornare ai vecchi amori come la banca d’affari e magari quella retail? Lui non si preclude alcuna possibilità: «Ora è presto per dirlo, ma se ci sarà qualche cosa di interessante la valuteremo. Certo però che non sarà nello stesso segmento di banca Profilo». Se poi lo si stuzzica sulla possibilità e la voglia di creare una banca d’affari indipendente nei confini nazionali, la risposta è possibilista: «In tutto il mondo le banche d’affari nascono gestendo i patrimoni delle imprese. Siccome in Italia queste imprese si identificano con le famiglie e noi ci rivolgiamo a queste famiglie, un po’ d’attività in questo settore la faremo».