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 2009  novembre 21 Sabato calendario

Mortificazioni ascetiche, penitenze corporali, autoflagellazioni. Insomma piccole violenze nei confronti del proprio corpo, inflitte come segno di contrizione e per partecipare anche in questo modo alle sofferenze di Gesù

Mortificazioni ascetiche, penitenze corporali, autoflagellazioni. Insomma piccole violenze nei confronti del proprio corpo, inflitte come segno di contrizione e per partecipare anche in questo modo alle sofferenze di Gesù. «Il dualismo neoplatonico e il rigore dello stoicismo hanno fatto del corpo un nemico da combattere con autentiche atrocità - afferma padre José Fortes Palau, rettore dell’Istituto di teologia Santa Teresina -. Nei secoli molti cristiani si sono inflitti le ascesi corporali più dure e stravaganti per imitare e riprodurre nella propria vita le sofferenze di Cristo». Alla fine del Medioevo la «disciplina», cioè l’autoflagellazione volontaria, venne portata al fanatismo dai «flagellanti», i membri di movimenti e confraternite che la praticavano come pubblica penitenza durante la preghiera. Poi all’inizio del ”900 le suore dell’Istituto missionario di Maria Immacolata esportarono nel mondo la spiritualità di Santa Teresa di Lisieux, incluso il vero senso della mortificazione che non risiedeva nella pratica di digiuni rigorosi o astinenze, in cilici, prostrazioni e altre penitenze corporali, ma nello sforzo di disciplinare la volontà umana, rendendola gradualmente capace di aderire alle esigenze del Vangelo. Non più atti ma spirito di mortificazione, dunque. Ora la rivelazione delle autoflagellazioni quotidiane accomuna Karol Wojtyla a un Papa a lui vicino, Paolo VI. Dopo la morte di Montini, infatti, sia il suo segretario particolare Pasquale Macchi, sia il secondo segretario, John Magee, raccontarono che il Pontefice bresciano durante numerose cerimonie «aveva i fianchi cinti da un cilicio con punte acuminate che penetravano nella sua carne per ricordarsi meglio della croce portata da Cristo per la redenzione del mondo». Papa Montini portava una fascia di cuoio irta di uncini metallici persino al momento della solenne apertura della Porta santa per fare penitenza. Quando veniva portato sulla sedia gestatoria, inoltre, metteva il cilicio attorno ai fianchi per ricordarsi meglio della croce portata da Cristo per la redenzione del mondo. Anche del beato Pio IX si conservano come reliquie i frammenti del frustino di cuoio che usava ogni giorno come segno di penitenza. San Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei si mortificava usando la frusta. «Abitualmente, senza spiegarne il motivo, ci chiedeva di uscire e di lasciarlo un po’ solo nella stanza - racconta il successore Alvaro del Portillo -. Contai i forti colpi della sua disciplina: mille colpi violentissimi, cadenzati, sempre con la stessa violenza e lo stesso ritmo. Il pavimento si copriva di sangue, ma egli stesso lo ripuliva prima che entrassimo». Aggiunge il vescovo Javier Echevarría: «Il diabete non modificò orari e ritmi di lavoro. Quando il medico proibiva a Escrivá di usare il cilicio perché le ferite gli si infettavano facilmente, usava un frustino con cui si percuoteva vigorosamente». Una pratica consueta anche alla parlamentare teodem e numeraria dell’Opus Dei, Paola Binetti: «Il cilicio ci costringe a riflettere sulla fatica del vivere, è il sacrificio della mamma che si sveglia di notte perché il bimbo piange». Del resto San Luigi Gonzaga «si flagellava per modo che le vesti, le pareti ed il pavimento erano tinti di sangue» e anche San Francesco di Paola si frustava perché il dolore fisico lo rendeva «più idoneo nelle mani di Dio». Spiega padre Fortes Palau: «La disciplina è un elemento fondamentale dell’esistenza umana, un imperativo antropologico. Per realizzare obiettivi servono sforzo personale e una vita regolata». La mortificazione (per papi, santi e semplici fedeli) è «lotta contro tutto ciò che impedisce di arrivare a un ideale, che ostacola il raggiungimento di una meta» e, dunque, «non si può semplicemente eliminare senza gravi pregiudizi per l’essere umano»./