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 2009  novembre 21 Sabato calendario

Sono andato a vedere La Prima Li­nea, il film di cui «tutti parlano e nessuno ancora ha visto». uscito ieri nelle sale e tutti adesso lo po­tranno giudicare

Sono andato a vedere La Prima Li­nea, il film di cui «tutti parlano e nessuno ancora ha visto». uscito ieri nelle sale e tutti adesso lo po­tranno giudicare. Il mio non può essere un giudizio obiettivo: Sergio Segio, il protagonista del film interpretato da Ric­cardo Scamarcio, il 19 marzo 1980 uccise mio papà, il giudice Guido Galli. Io avevo dodici anni. Nel film non c’è cenno di quel­l’omicidio. Non so dire se per me questo sia stato un bene o un male; so solo che il momento più toccante del film è stata la rievocazione dell’omicidio del giudice mi­lanese Emilio Alessandrini, collega di mio padre, assassinato nel gennaio del 1979 do­po che aveva appena accompagnato a scuo­la il piccolo Marco, suo figlio. In quei gesti di padre affettuoso ho ritrovato mio papà, il suo amore per me, i miei fratelli e le mie sorelle. «Va ucciso perché è uno bravo», di­cono i terroristi quando si riuniscono per decidere l’azione: mio padre, Alessandrini e tanti altri sono stati assassinati perché «bravi», perché facevano bene il loro me­stiere, perché davano credito a uno Stato che i terroristi volevano screditare. Il film non mi è dispiaciuto, i terroristi non ne escono certo bene: i ragionamenti, i discorsi, i comportamenti evidenziano la loro folle ideologia, non danno spazio a giustificazioni di sorta. Regista e attori so­no stati bravi: lo scollamento tra il movi­mento di Prima linea e le «masse» che i terroristi si fregiavano di rappresentare emerge con chiarezza, loro stessi se ne ren­dono conto. Ciò fa risultare ancor più as­surda la scelta di andare avanti, di combat­tere i padroni, di uccidere brave persone, papà, mariti, figli. Sia Giovanna Mezzogior­no, che interpreta la terrorista Susanna Ronconi, che Riccardo Scamarcio non per­mettono al loro innato fascino di coinvol­gere positivamente lo spettatore, di simpa­tizzare per loro: di questo li voglio ringra­ziare. Vorrei anche ringraziare Andrea Oc­chipinti, coproduttore del film, che, con grande senso di responsabilità, ha deciso di rinunciare al contributo ministeriale previsto, che tante polemiche aveva susci­tato. Ciò detto, il limite, dal mio punto di vi­sta, è che il film è ispirato alle idee di chi ha ucciso mio papà, di chi ha scelto la lotta armata per combattere la democrazia, di chi, con quella scelta, ha impedito a una generazione che voleva cambiare alcune cose di farlo con il dialogo e gli strumenti democratici. Sicuramente è giusto, trent’anni dopo quei tragici fatti, cercare di capire le ragioni di quello che è succes­so. Credo però che ciò vada fatto anche dal­la parte delle vittime, dalla parte di chi, in quegli anni, si è trovato in mezzo ad una guerra che guerra non era, a combattere con il Codice, le parole e la penna contro dei vigliacchi che sparavano alle spalle e, nonostante ciò, ha fatto il proprio dovere fino in fondo. Forse, se una domenica sera di trent’an­ni fa, Sergio Segio avesse potuto guardare in un appartamento al quinto piano di una via milanese avrebbe visto un papà che, se­duto sul tappeto, assisteva al secondo tem­po di una partita di serie A con i suoi tre figli, mangiando toast e ridendo con loro. Avrebbe visto che dietro il «nemico da uc­cidere » c’era un marito e un papà straordi­nario per la sua normalità, c’era un magi­strato riformatore e garantista che cercava di capire perché ragazzi e ragazze poco più che ventenni avessero scelto di vivere in quel modo la propria vita. Questo avrebbe visto se, per un attimo, avesse abbandona­to la propria folle ideologia. Purtroppo, co­sì non è stato e oggi, mentre Sergio Segio può uscire con la seconda edizione del li­bro «Miccia corta», Guido Galli esiste solo perché ha 17 mesi, ed è mio figlio.