Elvira Serra, Corriere della Sera 21/11/2009, 21 novembre 2009
I PRIGIONIERI DELL’AMORE IN UFFICIO
Premessa d’obbligo. Ogni riferimento a persone o fatti realmente esistiti è puramente casuale. Dunque, il tema è: innamorarsi sul luogo di lavoro. Quello stato di grazia o disgrazia, a seconda delle circostanze, che tocca in sorte a uomini e donne, senza distinzione di grado e stato civile, con buona pace dei codici di comportamento non scritti che scoraggiano i colpi di fulmine.
C’era una volta il capoufficio che perdeva la testa per l’impiegata carina o la segretaria che prima sposava il dirigente e poi gli faceva le piazzate in corridoio, con alto gradimento degli appassionati del gossip. C’è ancora, ma non fa (quasi) più notizia. La novità, invece, è che tutti, adesso, giovani, maturi, pari grado della stessa generazione, a furia di lavorare dieci ore al giorno gomito a gomito, di fare notte dietro a un progetto, di chiacchierare davanti alla macchinetta del caffè, arrivano senza scampo al fatidico giorno in cui sfiorarsi le mani con il mouse cela una dichiarazione d’intenti. Fabbriche, redazioni, ospedali, open space di multinazionali, sono diventati i luoghi di elezione dell’innamoramento, con conseguenze all’inizio meravigliose, poi inesorabilmente claustrofobiche.
In Svezia ha avuto una relazione in ufficio il 51% degli uomini e il 57% delle donne, in Norvegia il 56 e il 54, in Gran Bretagna il 62 e il 57 (da Cupido al lavoro. L’amore ai tempi della pausa pranzo , di Loïck Roche). In Germania uno su tre ha conosciuto il partner al lavoro. In Italia l’associazione «Donne e qualità della vita» della sessuologa Serenella Salomoni aveva calcolato che il 53% dei maschi e il 47% delle femmine si erano fatti coinvolgere in ufficio, a beneficio della produttività (il 77% dichiarò di aver raddoppiato la propria resa), con Milano città più «galeotta».
Forse usciamo poco e lavoriamo troppo, come ha scritto Lucy Kellaway sul Financial Times due settimane fa, stigmatizzando le unioni tra colleghi: «Una pessima idea dal punto di vista finanziario, sociale, pratico ed emotivo. Significa che passi troppe ore al lavoro. Finisci con il diventare terribilmente noioso, di parlare di cose d’ufficio a casa e di cose di casa in ufficio. Perdi pure quella simpatica opportunità rappresentata dallo ’sposo d’ufficio’, il collega con cui ti piace condividere pettegolezzi e battute».
Eppure casi celebri ben assortiti non mancano. Hillary e Bill Clinton o Obama e Michelle. Bill Gates e Melinda French o Rupert Murdoch e Wendy Deng. Da noi è esemplare il sodalizio affettivo e professionale tra Miuccia Prada e Patrizio Bertelli. Il fenomeno è ben più diffuso di quanto gli uffici del personale non siano disposti ad ammettere. Ne è prova anche il numero delle aziende familiari in Italia: l’82% del totale (fonte Bankitalia). Giaocchino Attanzio, direttore dell’Aidaf (associazione delle aziende familiari), ammette che sì, «innamorarsi è un fatto irrazionale, ma continuare a lavorare insieme è inopportuno. Nei patti di famiglia suggeriamo di tener fuori mogli o mariti: sono più i casi in cui la loro presenza si rivela uno svantaggio». Quale svantaggio, se non ci sono interessi economici? «Moltissimi», secondo Beatrice Bauer, docente di Comportamento organizzativo alla Bocconi: per lei, in caso di liaison meglio dimettersi o cambiare settore. «Portarsi a casa qualcuno con cui condividi la scrivania vuol dire occupare due tavoli contemporaneamente. Se entri in conflitto, è un problema». Ma la collega Maria Cristina Bombelli, docente della stessa disciplina alla Bicocca di Milano, si arrende: «L’area limbica è predominante in fatto di cuore, la parte corticale non conta un bel niente. Le grandi corporation non vedono con favore i legami tra colleghi, però allungando l’orario di lavoro ne agevolano le occasioni ». Alcune categorie sono quasi senza speranza, come hanno dimostrato fortunate serie tivù, da Scrubs a G rey’s Anatomy.
«In ospedale vita privata e professionale si mescolano. La sfera del noi si avvantaggia della condivisione professionale», spiega Nada Loffredi, insegnante di Psicologia alla Sapienza, esperta di sessuologia clinica. Dal suo punto di osservazione le coppie sbocciate al lavoro sono il 70%: di queste, il 65% è contento della propria scelta affettiva. Anche se lo psicoterapeuta Raffaele Morelli avverte: «Sono relazioni rischiose, non sai mai se entra in gioco la proiezione, se nel partner vedi ciò che è o il ruolo che ha. Tuttavia è sbagliato imporre regole. E, soprattutto, è molto più salutare innamorarsi che non farlo. Semmai, è importante mantenere la giusta distanza». Teorizzata da Schopenhauer un secolo e mezzo fa, quando su Parerga e Paralipomena scrisse dei porcospini, destinati a pungersi, «finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione» (Adelphi, pag. 884).