Rossella Burattino, il Corriere della Sera 21/11/2009, 21 novembre 2009
BELLEZZA ECO-COMPATIBILE. LA VIA VERDE DELLE CREME
Il nostro credo ecologista? Possiamo esprimerlo anche attraverso le creme o il maquillage . Così, sempre più persone, soprattutto le donne, sono attente a scegliere prodotti di bellezza eco-bio-compatibili. Ma come si riconoscono? Intanto leggendo le etichette. Molte riportano i contrassegni Ecocert, Cosmo Bio, Bdih, Bioforum, Soil Association e Icea-Aiab (il marchio dell’associazione italiana agricoltura biologica). Certificano, in maniera diversa, l’assenza di materie prime non vegetali considerate a rischio, come gli Ogm e i conservanti di sintesi, garantiscono la presenza di ingredienti non manipolati con raggi gamma, non testati sugli animali e provenienti da campi non trattati con pesticidi. Il problema, però, sta nella reale concentrazione dei principi attivi. Parecchi si definiscono naturali ma le loro formule contengono elementi chimici a cui sono aggiunti solo piccole percentuali di estratti botanici.
Il trucco è guardare la lista: se ai primi posti ci sono tanti componenti in latino, significa che il prodotto contiene molti ingredienti di origine naturale, riportati secondo quantità decrescenti. «Il consumatore non è facilitato – spiega Antonella Antonini, docente di Chimica e tecnica cosmetica all’università di Ferrara ”, i nomi delle sostanze non sono in italiano e mancano le percentuali. Bisogna affidarsi all’ente che li certifica. Dal 2010 a mettere chiarezza ce ne sarà uno solo, il Cosmos, valido per tutti i Paesi europei che stabilirà e indicherà le quantità degli elementi naturali ». Un’altra regola è provare il cosmetico prima di acquistarlo: spesso i prodotti «verdi» sono meno piacevoli al tatto degli altri perché privi delle sostanze chimiche a cui siamo abituati, come il silicone e il peg («l’effetto seta»). E la scadenza? importante guardare il Pao ( Period after opening ), il simbolo che ritrae una scatola con il tappo aperto, indica il numero dei mesi di conservazione ottimale del prodotto dopo l’apertura. Di solito va dai tre ai sei mesi, contro i dodici dei tradizionali perché i conservanti naturali hanno vita più breve ma si riconoscono con facilità: sono l’acido salicilico, ascorbico, benzoico, l’alcol benzilico e l’acetato sodico, tutti approvati dalla certificazione biologica.
Quanto è diffuso il fenomeno eco-bio? Secondo l’Unipro (associazione italiana delle imprese cosmetiche) il 65 per cento dei clienti sceglie marchi che si impegnano nella sostenibilità e riducono al minimo il loro packaging . Anche le aziende cosmetiche si allineano a questa nuova sensibilità e si adoperano per attribuire ai propri articoli l’irresistibile green appeal: «Durante il processo di lavorazione abbiamo ridotto il consumo d’acqua del 6,9 per cento – racconta Jean-Paul Agon, direttore generale del Gruppo L’Oréal – e diminuito l’emissione dei gas a effetto serra del 6,6 per cento. Utilizziamo i pannelli solari e solo cartone ricavato da alberi provenienti da foreste controllate. Riusciamo, inoltre, a riciclare il 95 per cento dei rifiuti prodotti e dal 1989 non effettuiamo più test sugli animali».
Ma il termine «animale» appartiene già al passato: «Dal 2004 – rivela Annalaura Stammati, fondatrice dell’Ipam, la piattaforma italiana per i Metodi alternativi – sono vietati i test ’in vivo’ sui prodotti finiti e, dallo scorso marzo, pure quelli sui singoli ingredienti. Con tre eccezioni: le prove di tossicità riproduttiva, cronica e metabolica. Tre esami fortemente invasivi per i quali il divieto scatterà nel 2013».
Certo, la cosmesi è eco già da un po’, ma oggi non si parla solo di preparati fito o new age , bensì di chimica rispettosa dell’ambiente e biotecnologie così potenti da manipolare composti naturali scindendoli in molecole e mescolarli a veicoli innovativi che li rendono efficaci e stabili. «La regola – aggiunge Antonini – è ricavare il massimo dai principi attivi senza sprechi. L’acido ialuronico, ad esempio, ora si ottiene per biofermentazione e non più dalla cresta del gallo. E la novità più sorprendente è data dall’uso delle cellule staminali vegetali. Sono state studiate quelle della mela svizzera Uttwiller Spatlauber, in grado di mantenersi fresca per lunghi periodi e stanno analizzando quelle della stella alpina, della verbena e della vite».
Strano ma vero: le toilette delle signore possono contenere in versione biotech anche vegetali rari come le foglie di syzyum jambos (di fatto la mela rosa), le alghe del Sahara, il baobab africano ricco di acidi grassi polinsaturi, la boswellia serrata asiatica (un antinfiammatorio) o l’andiroba brasiliano, un albero da cui si ricava un’alta percentuale di sostanze attive sui fibroblasti della pelle. La biotecnologia non conosce limiti.