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 2009  novembre 20 Venerdì calendario

La sorpresa dell’ospite la si può sinte­tizzare così: la parola di gran lunga più pronunciata in due ore di assemblea dai cento professionisti e industriali presenti in sala è «Cina» e non «Irap»

La sorpresa dell’ospite la si può sinte­tizzare così: la parola di gran lunga più pronunciata in due ore di assemblea dai cento professionisti e industriali presenti in sala è «Cina» e non «Irap». A Como discutendo di crisi e professio­ni con il Gruppo dei Giovani - un orga­nismo che riunisce undici organizzazio­ni della generazione pro.pro., dagli in­dustriali ai commercialisti, dagli artigia­ni agli ingegneri, dagli architetti agli al­bergatori - si tocca con mano come la città lariana tema fortemente di diven­tare una seconda Prato. «C’era una vol­ta il tessile comasco» è il refrain di tanti interventi che segnalano una sorta di gi­ro di boa, con la vecchia e gloriosa spe­cializzazione dell’industria locale che non riesce più a tenere il passo dell’eco­nomia globale. «La Cina ci sta mangian­do » dicono in tanti ed è uno slogan a doppia chiave. I pro.pro. leggono i gior­nali e sanno che la governance del mon­do si sta indirizzando verso la formula G2 (Usa & Cina), ma vivono anche a Co­mo e vedono i laboratori tessili cinesi crescere come funghi. La somma delle due tendenze produce una fastidiosa sensazione di accerchiamento. Ci si domanda se tutto quello che sta avvenendo non poteva esser previsto ed è tutto sommato facile compilare un piccolo catalogo degli errori. Roberto Briccola, vicepresidente nazionale dei pellettieri, sostiene - ad esempio - che «la concertazione ha impoverito la no­stra industria». Il sindacato ha impedito che «discutessimo seriamente di pro­duttività e il risultato è che siamo più deboli davanti ai cinesi. Avremmo dovu­to fabbricare prodotti vincenti a prezzi ragionevoli, ma non siamo stati capa­ci ». Arianna Minoretti, una giovane in­gegnere, si alza per dire che «ci doveva­mo pensare prima, dovevamo tutelare il prodotto italiano, ora è tardi e il made in Italy rischia di abdicare». Ed è lo stes­so Briccola a dare alla platea una piccola notizia: anche lui andrà a produrre in Ci­na. «Spiegherò agli artigiani della Cna che lavorano per me perché lo faccio. Loro non sono più in grado di garantir­mi condizioni competitive». La platea ascolta e assorbe il colpo, magari non condivide ma capisce. Anche perché ol­tre ai cinesi c’è da fare i conti pure con i ticinesi. Sembra un calembour, eppure è la verità: un altro ingegnere e costrut­tore edile, Luca Guffanti, racconta come le autorità del Canton Ticino hanno lan­ciato il programma Copernico, incentivi e facilitazioni per chi investe sul loro ter­ritorio. E sarebbero tante le griffe italia­ne che hanno già abbracciato Coperni­co, «portano il marketing e la creatività di là» e tagliano il terziario in Italia. Come può reagire una città come Co­mo al rischio di rimanere senza la sua base industriale e non solo? «Sveglian­dosi » è la risposta che viene dalla pla­tea. Spiega Andrea Tagliabue, presiden­te del Gruppo dei Giovani e orga­nizzatore della serata: «Como è una bella addormentata che pun­ta solo sulle bellezze del paesag­gio. Varese e Lecco invece si muovono, rinnovano, le aziende cercano di salire di gamma e noi invece non sappiamo cosa fare da grandi». L’argomento è di quelli destinati ad ac­cendere qualsiasi platea. Si alza, infatti, subito dopo Federico Costa della Con­fartigianato: «Noi che facciamo rappre­sentanza delle imprese forse a questo punto dobbiamo fare un salto cultura­le. Metterci lo zaino in spalla e prender­ci la responsabilità di costruire il no­stro futuro». E’ chiaro a tutti che, sep­pur in controluce, si sta parlando di po­litica ma c’è un sottile pudore che porta tutti a non nominare leader, partiti e co­alizioni. A suo modo è una piccola e si­lenziosa secessione. Dario Di Vico