Giulia Zonca, La Stampa 20/11/2009, 20 novembre 2009
Ora almeno tocca a Caster Semenya decidere, ed è la prima volta che ha in mano il suo destino. Da quando ha vinto gli 800 metri ai Mondiali di Berlino è stata sequestrata, portata via direttamente dalla pista e nascosta mentre su di lei si agitavano dubbi, dibattiti e morbosità
Ora almeno tocca a Caster Semenya decidere, ed è la prima volta che ha in mano il suo destino. Da quando ha vinto gli 800 metri ai Mondiali di Berlino è stata sequestrata, portata via direttamente dalla pista e nascosta mentre su di lei si agitavano dubbi, dibattiti e morbosità. Non sappiamo l’esito delle analisi sulla sua sessualità e non li sapremo, restano le indiscrezioni (molto attendibili) che la definiscono un caso di «intersex», cioè una donna a cui mancano alcune caratteristiche femminili. Un’anomalia genetica non facilmente gestibile dal punto di vista delle leggi sportive. L’unica certezza è che l’atleta non era a conoscenza della sua condizione. Ieri la federazione internazionale ha chiarito che l’oro vinto è suo e non le verrà mai tolto, così come il premio in dollari. «Non ha barato quindi non ha colpe» e il regolamento è chiaro in proposito. La Federazione Internazionale offre anche una via di fuga: «Non saranno mai discussi pubblicamente i risultati dei test», ciò significa che se Semenya non si presentasse più a una gara internazionale nessuno avrebbe bisogno di parlare del caso. Per la prima volta c’è l’intenzione di rispettare la privacy, di darle il peso che merita e sta a Semenya scegliere se rimettere la sua esistenza al centro della curiosità. Ripresentarsi significherebbe avere il coraggio di chiedere un posto anche se non era previsto, se uno spazio per quelli come lei non è stato pensato e gli ultimi dati dicono che come lei nasce un bambino su 20 mila. Ripresentarsi significa pure accettare di essere vivisezionata un’altra volta. Quindi il caso più che archiviato è sospeso. Dopo le dimissioni del boss dell’atletica sudafricana Leonard Chuene, uscito di scena come il cattivo, chi comanda vuole evitare scontri. Non ci sono domande o richieste ufficiali, solo la soddisfazione che «la vicenda si sia chiusa» e nessuna ipotesi di futuro: «Deciderà Semenya». Una novità enorme dopo quattro mesi di delirio. Caster ha vinto la gara il 19 agosto e il 19 novembre sa che può tenersi la medaglia. E deve accontentarsi di questo. I test sono ancora in corso o meglio mancano degli approfondimenti perché nessuno è in grado di dire se Semenya potrebbe competere in una gara femminile o no, al momento potrebbe iscriversi dovunque lei creda. Eppure non basta. Ci sono dati che non tornano, ci sono molte domande, solo che la scienza è precisa fino a un certo punto. Non esistono casi simili a quello di Semenya, i precedenti nell’atletica sono numerosi però ognuno era a suo modo più chiaro: atleti che avevano subito operazioni o che avevano genitali maschili. Storie complicate con un esito ovvio: la squalifica. Qui i dati acquisiti sono meno e più confusi, quindi i dubbi rimangono. «Deciderà Semenya», finisce così, con un improvviso atto di libertà. Il problema è che ha un prezzo altissimo soprattutto per una ragazza di 18 anni allenata in solitaria. Fino a oggi non ha mai avuto un confronto diretto con la realtà. Sbattuta dentro una centrifuga, usata come manifesto, fatta uscire dalla porta secondaria al traguardo dell’Olympiastadion di Berlino. Non è mai stata messa davanti al problema reale, cioè al fatto che lei è una vittima, ma non può essere comunque considerata uguale alle altre. Semenya ha parlato una sola volta (e poi ha smentito): «Non ne posso più di essere guardata». Gli amici e i parenti giustamente la descrivono «sconvolta, stanca di avere a che fare con le domande della gente che non la conosce», ha anche saltato gli esami universitari di ottobre «perché non era in grado di concentrarsi». Solo i comunicati della federatletica sudafricana insistono a parlare di lei come di un’aliena che resta distante dal rumore che le gira intorno: «Io so chi sono, se gli altri non si accontentano di questo cosa posso fare?». Ecco, adesso solo lei può rispondere alla domanda. Ha aspettato, rintanata, e credeva di trovarsi davanti a un via libera o a un divieto, invece sta a un incrocio e potrebbe toccarle perfino una crociata. Lei può iscriversi ai prossimi 800 metri che il calendario mette in palio ma è difficile che le avversarie non sollevino perplessità, non chiedano garanzie o peggio protestino, si ritirino. Non c’è modo che un suo rientro passi inosservato, giusto o no che sia nel momento in cui deciderà di partecipare a una competizione ricomincerà tutto da capo. Saranno chiesti test e certificati e sarà impossibile tenerla al riparo, proteggerla. Può darsi che anche lei voglia una tregua, almeno un po’ di tempo senza scadenze, controlli e sguardi. In attesa che lo sport decida come comportarsi con chi non sa definire.