Giovanni Ruggiero, Avvenire 20/11/09, 20 novembre 2009
C’è un’Italia bis che vive fuori dai confini nazionali - ber Alles, pure noi. Gli italiani nel mondo sono 3
C’è un’Italia bis che vive fuori dai confini nazionali -
ber Alles, pure noi. Gli italiani nel mondo sono 3.915.767, ancora più di tutti gli stranieri residenti nel nostro Paese: come dire – è questa la morale del Rapporto della Fondazione Migrantes – non lamentiamoci più di tanto. La quarta edizione del Rapporto fa la conta degli italiani in tutti i cinque continenti e studia il fenomeno con scrupolo e attenzione non solo per ricordarci la nostra storia di emigrazione neppure tanto lontana, e che non si è mai interrotta, ma «anche per abituarci a convivere fruttuosamente con gli stranieri che si sono insediati in Italia».
Siamo insomma dappertutto, in tutto il mondo: il 55,8 per cento nei Paesi europei, il 38,8 per cento in America, il 3,2 in Oceania, l’1,3 per cento in Africa e lo 0,8 per cento in Asia. Sono questi gli italiani emigrati, senza considerare gli italiani di seconda o terza generazione, vale a dire i figli o i nipoti di nostri connazionali che hanno acquisito la cittadinanza del posto o che conservano la doppia cittadinanza. La gran parte degli attuali emigrati (oltre il 54 per cento) è di origine meridionale, il 30,1 per cento proviene dalle regioni settentrionali ed il 15 da quelle centrali.
Questi immigrati partiti dopo il secondo conflitto mondiale non erano ben visti. Negli Usa americanizzarono il loro cognome elidendo ad esempio la consonante finale proprio per nascondere la loro origine. Erano definiti, nella migliore delle ipotesi, come Wop ( Without passport) ed erano sicuramente considerati rissosi, ladri, mendicanti, festaioli: in definitiva gente da evitare, etichettata con ’spaghetti e mandolini’. Ci sono voluti anni di sacrificio, ed oggi l’immagine è cambiata: l’italianità, anzi, è ritenuta un forte fattore di appeal. Il perché è semplice: gli italiani hanno contribuito a modificare e a far crescere il Paese che li ha accolti, nelle piccole e nelle grandi cose. Il Cile, ad esempio, è stato colonizzato dagli italiani che fondarono nel 1905 una città, Capitan Pastene, ’importando’ 800 lavoratori dal Modenese che iniziarono la coltivazione su grande scala.
In Cile, gli italiani con quelli di seconda e terza generazione, sono oggi 45 mila. E pochi sanno – per restare in quello che all’inizio era soltanto uno svago – che il Boca junior a Buenos Aires fu fondato da un gruppo di genovesi e che un altro gruppo di compatrioti volendo giocare contro di loro pensarono bene di metter su il River Plate. C’entra anche un salesiano che negli stessi anni portandosi dall’Italia anche un pallone, fondò la squadra San Lorenzo de Almagra. Era don Lorenzo Massa.
Il Rapporto prende in considerazione tre regioni di provenienza (Liguria, Piemonte e Sardegna). Dall’Isola c’è stata dagli anni ”50 agli anni ”70 una vera e propria emorragia: sono partiti 400 mila sardi, un terzo della popolazione isolana. Dove sono andati, gli italiani hanno portato la cultura della terra di provenienza: i contadini delle Langhe e del Monferrato hanno fatto sì che i vini argentini conquistassero il mercato ad imitazione dei loro grignolini e barbareschi.
E hanno portato l’italiano. Oggi il 50,5 per cento degli emigrati non ha dimenticato la nostra lingua e il 58,2 per cento nemmeno il loro dialetto. Hanno poi fatto nascere nuove lingue, risultato della fusione di italiano, dialetto e lingua locale. In Brasile, i veneti hanno creato il talian , considerato oggi patrimonio storico dello Stato di Rio Grande do Sul; a Buenos Aires, invece, si sente parlare il cocoliche : il risultato di spagnolo e vari dialetti italiani messi insieme.
Negli ultimi anni è lievitato il numero degli italiani all’estero grazie agli studenti. Una immigrazione temporanea, legata agli studi, che però fa registrare forti presenze i Germania (la maggior parte), Austria, Gran Bretagna seguite poi da Francia e Svizzera. Nel 2007 gli studenti universitari italiani iscritti in atenei stranieri erano 41.354.
La Chiesa è attenta a questo fenomeno e fa attenzione in particolare alle situazioni in cui emigrazione non corrisponde a fortuna. Ci sono anche sacche di disagio e di povertà specie in quei Paesi in cui (come in America Latina) eventi socio economici hanno avuto effetti devastanti sulla comunità immigrata. Un altro impegno della Chiesa consiste nel condurre la religiosità popolare verso una fede più profonda. Tutto questo purificando le scorie di superstizione che gli italiani portavano con loro per affrontare anche un lungo e difficile viaggio. I ferri di cavallo messi nelle valigie non si contano. La Chiesa, invece, auspica un inserimento degli emigrati anche nella comunità locale di tutti i credenti.