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 2009  novembre 19 Giovedì calendario

Mentre in Sicilia e nel Meridione i Carabinieri erano impegnati nella grande offensiva contro il brigantaggio, la questione romana non compiva apprezzabili passi avanti: i francesi continuavano ad opporsi a una soluzione del problema che, di fatto, impediva il completamento del grande disegno patriottico dell’unità nazionale

Mentre in Sicilia e nel Meridione i Carabinieri erano impegnati nella grande offensiva contro il brigantaggio, la questione romana non compiva apprezzabili passi avanti: i francesi continuavano ad opporsi a una soluzione del problema che, di fatto, impediva il completamento del grande disegno patriottico dell’unità nazionale. All’Italia mancava la sua vera capitale, Roma. Garibaldi partecipò alla guerra franco-prussiana e si coprì di gloria a Digione (olio di Sebastiano De Albertis, Museo del Risorgimento).Il governo italiano e la corte dei Savoia si attenevano scrupolosamente agli impegni presi con Parigi. In più, quando nel 1869 Vittorio Emanuele Il cadde gravemente ammalato, non esitò a mettersi la coscienza a posto sposando la Rosina, sua amante ufficiale, e subissò il papa Pio IX di telegrammi invocandone la benedizione. Sempre in quell’anno il re, che spesso svolgeva una politica estera parallela a quella governativa, stava manovrando per un’alleanza ancora più stretta con Napoleone III. Ma il potere dell’imperatore volgeva ormai al termine. Le sorti del secondo impero si stavano giocando fra Madrid e Berlino. Era infatti accaduto che nel 1868 una rivoluzione in Spagna aveva cacciato la regina Isabella Il ed istituito una debole repubblica, fortemente esposta alla disintegrazione sotto le spinte separatiste. Realisticamente il capo del governo spagnolo, generale Juan Prim, si era messo alla ricerca di un re, ma senza troppa fortuna. Tutte le case regnanti europee erano coscienti delle difficoltà che una nuova dinastia avrebbe incontrato in Spagna. Alla fine venne designato il principe Leopoldo di Hohenzollern-Sigmaringen, che si dimostrò molto esitante, tanto da rifiutare per ben due volte la corona. Un rifiuto suggeritogli dallo stesso re di Prussia, Guglielmo I di Hohenzollern. Però l’astuto Otto von Bismarck intravvide in quel candidato la possibilità di sbarazzarsi dell’ultimo ostacolo per affermare la potenza tedesca sul continente. Lanciandosi senza troppi scrupoli in un’audace operazione di diplomazia segreta, mandò i suoi emissari a lavorare ai fianchi l’indeciso Leopoldo che nel giugno 1870 annunciò di accettare la corona spagnola. Il vero bersaglio di Bismarck non era mettere sotto controllo la marginale Spagna, quanto ferire l’orgoglio dei francesi. Il teatro dell’operazione della guerra franco-prussiana (cartina dell’Enciclopedia RIzzoli-Larousse). L’Armata francese si sfaldò a Sedan.Su Parigi aleggiava di nuovo lo spettro della tenaglia strategica in cui la Francia era stata stretta nel Cinquecento dagli Asburgo, con i loro domini in Europa Centrale e nella penisola iberica. Napoleone III, già frustrato da Bismarck nelle sue ambizioni su Belgio, Lussemburgo e Palatinato, ordinò al suo plenipotenziario Benedetti di fare i passi opportuni. E ottenne il risultato nel quale sperava, facendo ritirare la candidatura di Leopoldo al trono spagnolo. Ma Napoleone III pretendeva anche una dichiarazione che impegnasse la Prussia a non compiere nuovi tentativi del genere in futuro. Guglielmo I oppose un netto rifiuto, avendo oltretutto già appreso la notizia del ritiro di Leopoldo. Che cosa è il genio? Colpo d’occhio, improvvisazione e rapidità di esecuzione. Bismarck venne a sapere dei colloqui, li riassunse in un telegramma dal quale sembrava che l’ambasciatore francese fosse stato messo bruscamente alla porta dal re prussiano e lasciò filtrare il testo ai giornalisti. La stampa francese montò un tale chiasso su quel bidone, passato alla storia come il telegramma di Ems, che il governo perse la testa. La folla gridava "A Berlin! A Berlin!" e per le strade l’armata francese sfilò compatta. CAPOLINEA ROMA. La prima ripercussione in Italia si vide nell’agosto 1870: le tuniche rosso-blu dei francesi si reimbarcarono a Civitavecchia dirette in patria. Si accese a Firenze una sorda battaglia politica tra la fazione di corte filofrancese che voleva scendere in guerra contro la Prussia e quella patriottica che più sensatamente si proponeva di approfittare del vuoto francese. Partì soltanto Garibaldi, in un gesto di eroismo in difesa dei suoi ex nemici, coprendosi di gloria nella battaglia di Digione. Gli altri si limitarono ad assistere esterrefatti al crollo della macchina bellica napoleonica. La fanteria francese era tutta professionista o a ferma lunga, l’artiglieria era di gran livello, la cavalleria di antiche tradizioni, armi e munizioni non mancavano, mentre i prussiani si basavano su un esercito di leva con una breve ferma di due anni (allora la leva ordinaria era di quattro anni). Invece, oltre a dotazioni non meno moderne in armi e materiali, la forza dell’esercito dall’elmo chiodato stava nel cervello del suo comandante Helmut von Moltke, nel superbo lavoro di squadra del suo stato maggiore e nella qualità di un corpo ufficiali ben addestrato. Diversamente da Napoleone I, accentratore di genio, Moltke era uomo di grande cultura umanistica e tecnica, un interdisciplinare ante litteram, capace di gestire organizzazioni complesse e di delegare parecchio ai suoi subordinati. Mentre ancora i francesi si stavano concentrando alla rinfusa, i prussiani avevano già completato la mobilitazione ed erano arrivati ordinatamente alle teste ferroviarie di frontiera. La sanguinosa partita si chiuse con la sonante vittoria prussiana di Sedan e con la proclamazione dell’impero tedesco a Versailles (18 gennaio 1871). Un’umiliazione che stimolerà per anni il desiderio di rivincita francese. Sedan fu anche l’inoppugnabile argomento per approfittare della favolosa occasione di prendere Roma.