Raffaella Silipo e Bruno Ventavoli, la Repubblica 19/11/2009, 19 novembre 2009
L’ITALIA E’ UN PAESE CHE DIVORA I SUOI FIGLI
Amo l’Italia ma mi rende triste. Perché è un paese in cui i padri divorano i figli, si prendono tutto senza lasciar nulla e i giovani devono andarsene per avere un’opportunità». Francis Ford Coppola è un esperto di tragedie familiari: racconta del contrastato rapporto tra padri padroni e figli soggiogati e ribelli fin dai tempi del «Padrino» e di nuovo nel suo ultimo «Tetro», visto ieri al Torino Film Festival, con protagonista un direttore d’orchestra tirannico e i suoi ragazzi che faticano a trovare un proprio spazio vitale.
Lei è severo verso il nostro Paese, eppure è di origine italiana.
«Io mi sento italiano al cento per cento. Ho quattro nonni italiani. Ma questo non mi impedisce di vedere i difetti: non è il popolo più onesto del mondo, ammettiamolo».
Nessun pregio?
«Naturalmente sì: gli italiani hanno portato la cultura ovunque. Persino a New Orleans. La chiamano ”The big Easy”, dicono che l’abbiano inventata i francesi ma non è vero, sono stati gli italiani. Eppure l’Italia mi rattrista».
Perché?
«Non offre opportunità ai giovani. In giro per il mondo, persino in Messico o Guatemala, trovi ragazzi italiani che cercano occasioni di lavoro. Per avere un futuro ci vogliono buoni genitori alle spalle. I padri italiani, invece, sono come quelli dei miei film, vogliono tutto per se stessi, i soldi, le ragazze, il centro dell’attenzione. Sono addirittura capaci di rubare la fidanzata ai figli, come in ”Tetro”».
Anche nel cinema è così?
«Certo. L’Italia ha avuto trenta tra i più grandi registi al mondo, giganti come Fellini, Rossellini, Visconti, Pasolini, Nanni Loy... e adesso chi c’è? Eccoli, i padri che muoiono e si portano via tutto. Senza allevare eredi».
Lei un’erede l’ha cresciuta, sua figlia Sofia. Allora non si sente un «padre italiano»?
«Io sono un padre italiano e americano. Ho tramandato la tradizione e nello stesso tempo ho lasciato spazio ai miei figli, li ho incoraggiati».
Come si viveva a casa vostra?
«A pane e cinema, parlavamo sempre di film, li guardavamo, la nostra casa era come uno studio. Portavo i bambini a scuola ogni mattina e poi andavo sul set, per loro era come se io mi recassi in ufficio. Il cinema è sempre stato una seconda natura per noi».
Il primo film che ha fatto vedere a sua figlia?
«Il ladro di Baghdad».
Lei è anche nonno.
«Ho un sacco di nipotini, li adoro, mi piace passare il tempo con loro, fargli vedere film e trasmettere il senso della famiglia».
Il clan Coppola si riunisce spesso?
«Purtroppo no, perché abitiamo lontani. Io vorrei far pranzo insieme ogni domenica. Ci vediamo per Thanksgiving: cuciniamo insieme, è una grande festa, guardiamo film e beviamo vino».
Il suo amore per il vino è leggendario.
«Fa parte della mia tradizione fin da quando ero bambino. Nonno Agostino aveva sempre una bottiglia in tavola. A quei tempi in America l’alcool era illegale, ma le famiglie potevano farsi in casa qualche decina di litri all’anno. Si facevano mandare i grappoli dalla Napa Valley in California e se lo fabbricavano in cantina a New York. Io sentivo quelle storie di adulti e bambini che scendevano a pestare i grappoli, e mi sembrava tutto molto divertente».
Come è passato dai ricordi orali di famiglia all’azienda vinicola?
«Con i bambini e mia moglie un giorno siamo andati nella Napa Valley e abbiamo visto una fattoria meravigliosa. E’ stata una folgorazione. Ho visto molti altri posti, mai nessuno così bello. Anni dopo, quando ho saputo che la stavano vendendo, l’ho comprata. I miei figli sono cresciuti lì».
E il business com’è iniziato?
«La gente veniva a comprare la nostra uva, a un certo punto ho pensato: ”Perché non facciamo direttamente il vino?” Mia moglie era scettica ”cosa ci capisci tu di vino?” Niente. Il mio vino nasce dal puro entusiasmo». Ma l’America non è mai stata un paese di bevitori.
«Un tempo era così, preferivano birra e whisky. Ma la cultura del vino si è diffusa a ritmi vertiginosi, ogni anno raddoppiano i consumi. Oggi il mercato americano è il più importante nel mondo. Se non vendi vini in America non sei nessuno».
Ha mai pestato il vino con i piedi?
«Io produco 18milioni di bottiglie... però una volta all’anno lo faccio con gli amici, durante una grande festa, per divertimento. Beviamo e ci sembra di essere nel regno di Bacco».
Qual è il suo vino preferito
«Ne faccio di due categorie, una di alta qualità da 150 dollari la bottiglia e una più popolare da 20. Per i vini pregiati ho dovuto anche trovare un nome, se si fosse chiamato ”Rosso della California” chi avrebbe sborsato tutti quei dollari per comprarlo? Ho pensato a Rubicone, come il fiume di Cesare. Adoro la civiltà romana e il mio vino ha un bellissimo color rubino (ruby in inglese)».
Ricorda il suo primo bicchiere?
«Sì, l’ho bevuto con mio nonno, ero bambino. Eravamo capaci di fare cose terribili, mescolare vino con Lemonsoda o ginger ale»
Meglio fare film o vino?
«Il vino è meglio berlo. Mentre il cinema è la cosa che ho sempre amato. Ma mi diverto a fare qualsiasi cosa nella vita, aprirei anche una catena di alberghi nella giungla se trovassi il posto giusto. Nella vita per avere successo è meglio dire più sì che no».
I suoi vini preferiti?
«Quello che vorrei avere qui in tavola? Ci sono ottimi vini spagnoli, francesi, italiani, anche in Romania, in Bulgaria, in Grecia... I migliori però sono quelli argentini, anche se sono poco conosciuti. Ce ne sono di molto pregiati, ma al ristorante pochi si fidano a ordinarli».
Lei ha vissuto un anno in Argentina per girare «Tetro».
«Sì, mi è piaciuta moltissimo. Gli italiani sono i più imbroglioni al mondo, ma i secondi sono gli argentini, che comunque sono italiani».
Le piacerebbe comprare terre in Italia?
«Io ho settant’anni o giù di lì: ce ne vogliono tanti per avviare un’azienda vinicola e non so quanti me ne restano. Comunque, se dovessi scegliere, andrei in Basilicata o in Puglia, dove ci sono vini magnifici come il Negramaro».
Cosa pensa dell’America oggi?
«E’ il centro del mondo. Ci sono tanti grandi paesi emergenti, come Cina, India, Brasile, ma l’America resta il mercato maggiore. Il punto di riferimento. Ed è l’unica nazione composta da gente che viene da ogni parte del pianeta».
E del nuovo presidente che ne pensa?
«Barack Obama è un grande. E’ molto intelligente, colto, vede lontano: viene dal nulla, non aveva poteri forti dietro di lui, è riuscito a arrivare in cima solo con le sue forze e questo può succedere solo in America. Vuole un mondo diverso, di pace. In tutti i suoi discorsi gli ho sentito dire solo una stupidaggine».
Quale?
«Preferisce la carne ben cotta, invece è meglio al sangue».
I critici sostengono che non abbia ancora fatto molto, al di là delle parole.
«E’ riuscito a cambiare in tre mesi l’atteggiamento del mondo nei confronti dell’America: siamo tornati a essere un Paese ragionevole con cui si può discutere. Le sembra poco? Oggi persino i cinesi dicono: ”Amiamo l’America”».
Obama ha anche intrapreso una battaglia per la riforma del sistema sanitario, lo stesso che lei metteva sotto accusa nel suo film «L’uomo della pioggia».
«Sono sicuro che verrà a capo anche di questo».
In questo scenario mondiale l’Europa sembra sempre meno importante.
«L’America ama l’Europa, ha fatto moltissimo per voi basti pensare a dopo la seconda guerra mondiale. Ma l’Europa è un po’ come l’Italia, troppo attaccata al passato».
E’ vero che vuole lavorare con attori italiani?
«Hanno fatto dei nomi, ma sono tutte fesserie».
Oggi a Torino ha incontrato Roberto Benigni.
«Sì, è un amico da tanto tempo. Sono anche andato a cena da lui, sua moglie Nicoletta Braschi è un’ottima cuoca».
Nei rifugi dei mafiosi italiani spesso trovano dvd del suo «Padrino». Che ne pensa?
«Non mi interessa la mafia reale. Per me era solo un pretesto per raccontare storie».
Ha visto «Gomorra»?
«Sì, è terribile. Molto ben recitato, ma non mi è piaciuto. E’ spaventoso vedere Napoli rappresentata con tanto realismo. Quei delinquenti non sono più esseri umani».
Sono migliorati i suoi rapporti con Hollywood?
«Penso che là siano anche orgogliosi di me, ma Hollywood non esiste. Producono solo quelli che chiamano film commerciali. Sono angosciati per la crisi, la pirateria, le nuove tecnologie. Non riescono a vedere un futuro e questo li innervosisce».
Farebbe un film sulla crisi economica?
«Non lo so, a me interessano le storie personali, come quella che ho raccontato in ”Tetro”. E adesso che l’ho finito, mi sento abbastanza pacificato. Non ho più una carriera da regista, sono un pensionato che invece di giocare a golf ogni tanto gira un film».