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 2009  novembre 19 Giovedì calendario

LA FAMIGLIA DI ALBA ALLA SVOLTA RESTARE SOLI O CERCARE UN ALLEATO


TORINO - Questa volta la sorpresa nell´uovo Ferrero potrebbe essere davvero grossa. Non una tartallegra, non un ranoplà, mitici animaletti degli ovetti Kinder di inizio anni ´90. Qualcosa di assai meno prevedibile, un terremoto innanzitutto d´immagine, destinato a incrinare una delle poche granitiche certezze rimaste nella tormentata storia del capitalismo familiare italiano: la proverbiale riservatezza e unità della dinastia di Alba. Perché se il padre Michele entra in rotta di collisione con i figli Pietro e Giovanni, non è solo un fisiologico scontro generazionale. piuttosto la fine di un punto fermo: l´idea che, indifferenti alle tempeste del mondo, i Ferrero avrebbero mantenuto l´unità d´azione come gli autori del teatro classico.
Rimanere indipendenti o allearsi con il colosso americano Hershey per conquistare un´altra torta gustosa come Cadbury e sottrarla all´assalto della Kraft? Le indiscrezioni dicono che il dilemma sarebbe da due settimane al centro delle discussioni familiari tra Alba, Bruxelles e Cap Ferrat dove spesso si rifugiano i membri della dinastia. Ancora incerti sulla strategia da adottare nella guerra totale scoppiata tra gli scaffali dei supermercati: sottilette e maionese (Kraft) contro barrette Kit Kat (Hershey) e Nutella. Sul tavolo di casa Ferrero i pro e i contro: un´alleanza con Hershey per diventare più forti fondendosi con le caramelle di Halls (Cadbury) o la difesa dell´identità a rischio di perdere la guerra dello scaffale? Un dilemma, quello delle alleanze, che sembra caratterizzare l´inizio di secolo delle dinastie industriali piemontesi.
Per la famiglia di Alba la pasta gianduja, prima produzione del 1946 e antenata della Nutella, rappresenta quel che per gli Agnelli sarebbe stata negli stessi anni la 500: un prodotto a basso prezzo che trasforma in bene di largo consumo una merce fino ad allora di élite. Quando nasce la pasta costa 600 lire al chilo (il cioccolato ne vale 3.000). Prodotto a basso costo perché fatto con quel che si trova più facilmente nella Langa povera del secondo dopoguerra: le nocciole. L´avventura industriale di Pietro e del fratello minore Giovanni si poggia sul guscio duro di quei frutti: con il matrimonio tra nocciole piemontesi e cacao sudamericano nasce il cioccolato di massa. E nasce un equilibrio che nella seconda metà del Novecento pare una follia: rimanere un´azienda solidamente legata al suo territorio di riferimento e diventare al tempo stesso una delle principali multinazionali alimentari al mondo. Le due sedi di Alba e Bruxelles rappresentano anche simbolicamente quel compromesso.
La Ferrero porta per esteso il nome della famiglia proprietaria, non è una sigla. Eppure è una delle aziende più impersonali d´Italia. Conquista il mondo ma solo gli addetti ai lavori conoscono i nomi dei membri della famiglia e dei manager. Non ci sono individualismi: tutto viene fatto in nome della società, anzi della «ditta» come si dice ancora in qualche parte del Piemonte. Alba spende miliardi in sponsorizzazioni (a partire dai campioni dello sci con il Pocket coffee) ma è capace di rifiutare il permesso di inserire la Nutella tra le voci del vocabolario: « un marchio registrato», fu la spiegazione con cui venne garbatamente respinta la proposta del Devoto-Oli nel 1997.
Nella discussione familiare sul miglior modo per condurre la guerra alla Kraft, l´equilibrio glocal dei Ferrero potrebbe oggi entrare in crisi. O comunque essere emesso a dura prova. Cadbury è quotata e una fusione con Ferrero significherebbe rompere un tabù finora inviolabile ad Alba: il rifiuto sistematico di entrare nei listini di borsa per evitare di dipendere dagli umori bislacchi della finanza, quanto di più lontano si possa immaginare dalla mentalità langarola. Naturalmente dalla cittadina piemontese non giungeva ieri alcun commento alle voci sul presunto dissidio interno alla famiglia. Ma è certo che dalla discussione tra il patriarca ottantenne e i figli quasi cinquantenni nascerà la nuova identità di un gruppo che oggi occupa quasi 20 mila dipendenti nel mondo. Fondersi o rischiare, a lungo andare, di sciogliersi?