Luca Fornovo, La stampa 19/11/2009, 19 novembre 2009
LA GARA TRA I BIG INVESTIMENTI PER 60 MILIARDI
Con la gestione privata dell’acqua il legame politica-affari in Italia rischia di dare vita a relazioni pericolose. Relazioni come se ne sono già viste, da Acea ad Acque potabili siciliane dove società miste (pubblico-private) o del tutto private sono al centro di conflitti d’interesse e distorsioni del mercato, talora ravvisate anche dall’Antitrust. D’altronde quello dell’oro blu è il business del ventunesimo secolo: in Italia le 252 imprese idriche fatturano oltre 2,5 miliardi. Un giro d’affari che presto potrebbe raddoppiare o triplicare. Senza contare che nel prossimo trentennio sono previsti 60 miliardi di investimenti per tappare i tanti buchi di oltre 330 mila chilometri di reti colabrodo. E così si dà da bere non solo alle aziende dell’acqua, ma anche ai loro soci: utility specializzate nella gestione dei servizi idrici, imprese di progettazione e costruzioni. Un modello idrico integrato, che le lobby dell’oro blu hanno chiaro in testa e che qualcuna ha cercato di realizzare prima che parta la riforma. Ma non sempre con buoni frutti.
Il nodo siciliano
A due anni dall’avvio della gestione dell’acquedotto di Palermo, la situazione del gruppo privato Acque potabili siciliane (Aps) appare disastrosa. Lo dice la relazione al 30 settembre di Aps che parla di «squilibrio economico-finanziario» dovuto «principalmente ai maggiori costi determinati dallo stato di consistenza degli impianti presi in carico» che ha «prodotto perdite di giuridico rilievo». Al punto che è stata convocata un’assemblea straordinaria per prendere misure urgenti. Urgenti saranno anche i rimedi che dovranno proporre i finanziatori Dexia e Banca Intesa Infrastrutture e Sviluppo. E pensare che Aps si ispira proprio a quel modello integrato di cui si è detto: la quota di maggioranza, il 52%, è posseduta da Società acque potabili di Torino, controllata per il 30,86% da Iride (ex Amga di Genova e Aem di Torino), c’è poi un 9% in mano a Mediterranea delle acque e un altro 9% di Smat (Società metropolitana acquedotti di Torino).
Poi, tra gli altri soci di Aps figurano il costruttore pugliese Giovanni Putignano (12%), uno dei leader nella progettazione, costruzione di impianti idrici; Conscoop (7%), una grande cooperativa di costruzione emiliana e Ottavio Pisante con Galva (8,4%). Una compagine considerata anomala dall’Antitrust che ha parlato di snaturamento dell’oggetto della gara d’appalto per l’acquedotto di Palermo, il cui vero scopo sembra essere l’accaparramento dei lavori da parte dei soci (fino al 70% delle opere) prima ancora dell’affidamento del servizio.
La partita a Roma
Fatica a districarsi dalla ragnatela di conflitti d’interesse e poteri forti Acea, la più grande utility dell’acqua quotata in Borsa e attiva in Lazio, Toscana, Umbria e Campania. Da un po’ di mesi la gestione dell’ex municipalizzata capitolina appare in stallo a causa dei dissidi tra i soci, partiti dalle attività del gas. L’imprenditore-costruttore-editore Francesco Gaetano Caltagirone (7,9% di Acea), sembra aver trovato un solido alleato nel sindaco di Roma, Gianni Alemanno (51%) per fare da diga al colosso francese Gdf Suez (9,9%), un partner industriale scomodo col quale non c’è stata finora grande identità di vedute sulle strategie. Una coabitazione difficile come quella in Edison tra il socio francese Edf e la lombarda A2A.
Senz’altro Caltagirone, che col gruppo Vianini è da sempre molto attento al business dell’acqua, ha vinto la prima mano col cambio ai vertici di Acea. Un buon rapporto c’è col presidente Giancarlo Cremonesi, che in passato ha avuto incarichi di rilievo nell’Associazione Nazionale dei Costruttori Edili. E buone relazioni ci sarebbero con l’ad di Acea, Marco Staderini, ex consigliere Rai (area Udc). Ma la partita è lunga: Gdf-Suez ha spalle finanziarie robuste e vuole aumentare la sua quota per contare di più. Un’opportunità che potrebbe arrivare presto: entro il 2013 Roma, come i Comuni presenti in altre utility, dovrà scendere al 40% di Acea ed entro il 2015 al 30%. Chi comprerà quelle azioni? Caltagirone, Suez-Gdf o un terzo incomodo? Molto dipenderà da chi allora sarà sindaco.
La minaccia francese
C’è anche un terzo gigante francese con mire ambiziose. Veolia, che nata come divisione ambientale di Vivendi, è forse la realtà idrica estera più radicata in Italia. Ha una quota del 17% in Mediterranea delle acque, la società quotata in Borsa che oggi è controllata al 68,3% da Genova e Torino. Ai francesi non dispiacerà approfittare del decreto Ronchi per aumentare le loro quote. Ma forse dovranno fare i conti con Impregilo (5,1%). Il maggior gruppo di costruzioni potrebbe aver un forte interesse nel seguire da vicino gli appalti di reti idriche e acquedotti. Veolia è poi tra gli azionisti di Acqualatina, la società che ha aumentano le tariffe del 300% a Latina, e socio di Geal, concessionaria nel comune di Lucca. poi in Piemonte, Lazio, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Calabria e Sicilia. Un’onda lunga che con la privatizzazione sarà difficile da arginare.