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 2009  novembre 19 Giovedì calendario

IL DIGIUNO DI PIETRO E LA TENTAZIONE DELLE CARAMELLE

Chi c’è andato sa che nel quartier generale di Alba l’odore del cioccolato lo si respira appena entrati. Dolciastro, pervasivo per come impregna uomini e cose. Ma fondamentale perché sul cioccolato, oltre che sulla impenetrabile riservatezza, in tre generazioni i Ferrero (Pietro il fondatore, suo figlio Michele e la di lui progenie Pietro e Giovanni) hanno costruito un impero da oltre 6 miliardi di euro, capillare al punto che non si sa come ma i suoi prodotti raggiungono gli angoli più impervi del pianeta. Perché ci sono posti dove non si trova il pane o la carne, ma l’ovetto Kinder non manca mai. Con Rocher, Fiesta, Pocket Coffee, Mon Chéri, una delle prelibatezze della casa, per non dire della Nutella. Prodotti- evento e transgenerazionali, in grado di resistere all’usura del tempo, di diventare reiterata abitudine per i consumatori a colpi di sfrenata pubblicità (oltre 600 milioni di euro worldwide), di animare community di entusiasti adepti (vedi Nutellaville), alimentare cinefiliche perversioni e dotti studi sul fenomeno.
Raccontava qualche anno fa Pietro Ferrero in una delle sue rare interviste che la sua azienda è la più grande pasticceria del mondo per quantità prodotte. E parlando del cioccolatino Rocher, quello di Ambrogio e del languorino, snocciolava numeri strabilianti: 900 colpi al minuto, ovvero 900 pezzi che escono per un totale giornaliero di 26 milioni, un intero popolo impegnato a scartare e gustare. E la Nutella? 200 mila tonnellate all’anno, una colata continua che sommerge di dolcezza le ansie del mondo e che, Nanni Moretti docet, si mangia senza ritegno a cucchiaiate.
Se poi si entra in confidenza con gli schivi cuneesi, ci si può anche far raccontare qualche segreto. Per esempio che la formula della Nutella è stata sin qui gelosamente custodita e tramandata, e questo spiega perché nessuno abbia mai eguagliato su scala industriale un prodotto che ha subito più imitazioni della «Settimana enigmistica». Anche i cinesi che copiano tutto ci hanno provato, ma di uguale sono riusciti a fare solo il barattolo di vetro. Oppure ci si può far raccontare il rito dell’assaggio, pratica rudemente artigianale che contrasta con gli immaginati processi supertecnologici di un’azienda globale. Spiegava in proposito Pietro: «Il cioccolato si assaggia a digiuno. E tra un assaggio e l’altro ci si deve sempre sciacquare la bocca. Un team di assaggiatori interviene nelle diverse fasi del progetto. Oltre ai consumatori che fanno da campione ai nostri test. Ma in attesa di lanciare un prodotto sul mercato passano anche tre o quattro anni: prima lo si immagina, lo si produce in piccole quantità, lo si veste, lo si testa, poi si pensa al nome. Fondamentale il nome, specie al giorno d’oggi che moltissimi nomi sono oramai registrati».
I Ferrero sono per natura diffidenti. Per questo hanno costruito il loro impero tutto per linee interne. E per questo oggi si trovano un po’ spiazzati che le luci della ribalta li hanno inquadrati come possibili raider della contesa Cadbury. D’accordo, la mossa è indotta, quasi un istinto difensivo dopo che Kraft, cose buone dal mondo, sta provando a mangiarsi gli inglesi, ma per la prima volta nella loro storia la famiglia si trova a meditare un’iniziativa che va contro la sua natura. A Michele Ferrero (classe 1925) comprar la roba d’altri fa venire l’orticaria. Di fonte ai figli che premono per fare l’operazione dirlo riluttante è un eufemismo. Perché l’erba del concorrente raramente è più verde, e perché chi è abituato a pensare e testare i prodotti in casa ha paura di incappare in qualcosa che gli rovini l’intonsa reputazione.
Giovanni e Pietro, che molto spesso non sono mai dalla stessa parte, su Cadbury procedono d’intesa. E a loro dà manforte la madre Maria Franca, la cui opinione ha sempre contato nei momenti decisivi. Già due volte in passato la Ferrero aveva messo gli occhi su Cadbury, con i figli sul punto di convincere il padre salvo poi, sul filo di lana, recedere di fronte al suo veto.
Ma stavolta l’occasione è ghiotta perché, almeno così sembra dalle indiscrezioni che filtrano non si parla di cioccolato, ma di zuccheri, ovvero gomme, mentine e caramelle. Se la multinazionale della Nutella scenderà in campo contro la Kraft lo farà insieme agli americani della Hershey, quelli del Kit Kat. L’accordo è per dividersi equamente le spoglie degli inglesi: agli italiani gli zuccheri, che stanno sotto il cappello delle filiali Dandy e ex WarnerLambert, al gruppo della Pensylvania, che ne è già leader per il Nord America, la cioccolata. E gli esegeti della materia spiegano che si tratterebbe di un affarone, perché i Ferrero nel settore hanno un solo prodotto di successo, il TicTac, e d’un botto gliene arriverebbero altri (dalle gomme Trident alla caramelle Halls) che le aprirebbero i ricchi mercati d’oltreoceano e quelli altrettanto ricchi del Nord Europa. Ma prima della Kraft bisogna battere la diffidenza di Michele, impresa a tutt’oggi assai più ardua.