Paola Jadeluca, Affari&finanza 16/11/2009, 16 novembre 2009
IL MERCATO NON RICONOSCE L’ESPERIENZA E LA SAGGEZZA
Massimo Lolli, autore di libri di successo, è riuscito a trasformare in narrativa le problematiche del lavoro
Yarn Business Hr Director della Marzotto Group racconta le dinamiche di selezione e del reclutamento
Cinquanta anni e niente più lavoro. Puoi venire dall’industria di maggior fama e aver ricoperto il ruolo più strategico ma non è automatico che tu possa trovare una nuova occupazione, soprattutto adeguata. Perché?
«In primis perché sei senza lavoro, poi perché hai cinquant’anni. Il mercato del lavoro italiano è dualistico, è fatto di lavoratori stabili e lavoratori precari, pochi precari diventano stabili, con la recessione tanti stabili diventano precari. Nel mercato dualistico chi è dentro al lavoro ha più valore di chi ne è fuori. Ne consegue che si preferisce offrire un nuovo lavoro a chi ha un lavoro, piuttosto che offrirlo a chi lo ha perso. A ciò si aggiunge il vitalissimo pregiudizio contro i lavoratori cinquantenni. Il mercato non riconosce l’esperienza, le capacità relazionali e la saggezza del lavoratore maturo. La saggezza non è il nonno che parla al bambino, la saggezza è una capacità utile alla competitività di impresa. Il pregiudizio si alimenta della cultura giovanilistica imperante e di un paradigma manageriale, affermatosi negli anni novanta, che ha creato contrapposizione, in luogo di scambio, armonizzazione e sintesi, fra ricerca e tradizione, innovazione ed esperienza, creatività e routine, velocità e ponderatezza».
I sistemi di coaching, training, outplacement, qualche sembrano solo una perdita di tempo e risorse. Cosa non va e cosa potrebbe andare meglio?
«Sono contro la tesi che coaching, training, outplacement siano una fuffa, blabla, parole a perdere, retorica, o peggio manipolazione. Il punto è la qualità professionale degli operatori di queste metodiche, come in ogni mestiere ci sono i bravi e i meno bravi. La verità è che una delle poche e qualificate realtà di formazione degli adulti nel nostro paese è la formazione di impresa, che risponde ad una istanza di sviluppo delle risorse individuali per l’adattamento, la trasforrnazione, il governo di una realtà in continuo cambiamento. Certo la pressione sociale sulla auto determinazione nella riprogettazione del sé ha raggiunto livelli elevati, l’individuazione sembra non avere ulteriori bossibilità ma questo è un problema politico, culturale, sociale. Si fa strada la convinzione che si può essere davvero individui solo in relazione con gli altri».
Ha senso rimettersi a studiare?
«Ha senso studiare. Ha senso imparare l’inglese. Ha senso avere famigliarità con le tecnologie informatiche. Ha senso studiarie nelle università migliori, anche all’estero. Ha senso lasciare l’Italia se si ritiene che in patria le proprie capacità non siano riconosciute, purtroppo nel nostro paese la meritocrazia non di rado va a braccetto con l’affiliazione, l’Italia è una repubblica fondata sulle relazioni, c’è più riconoscimento del merito nella impresa privata e in politica nella elezione del Sindaco. Nelle imprese vi è una domanda di tecnici qualificati non laureati. Il successo nel riciclaggio professionale non dipende da quanto sei in alto o da quanto sei in basso, ma dipende dall’atteggiamento mentale. Se hai perso tutto e ti senti perso non ce la farai. Se hai perso tutto e senti che non hai perso niente ce la farai».
Quanti lavori ha cambiato? Ha dovuto fare tagli di personale?
«Mi sono sempre e solo occupato di risorse umane in azienda. In Rinascente ho imparato la cultura, in Xerox le metodiche, in Nokia le relazioni interculturali, in Ericsson la business partnership, in Marzotto il business restructuring. Come tutti i gestori di risorse umane ho incrementato e ridotto il personale, e come tutti, nei vent’anni trascorsi, ho attraversato l’espansione euforica e le crisi più nere di impresa».
Come sceglie il personale? Ha strategie precise per la gestione delle risorse interne.
«Nessuno sceglie nessuno. La selezione è una funzione di servizio tanto alla impresa che al candidato. Due persone, il candidato e il rappresentante di impresa, si mettono in gioco per verificare se esistono le condizioni per una collaborazione reciprocamente soddisfacente. E un sistema relazionale, non un verdetto. Alle risorse interne va offerta accessibilità, trasparenza, affidabilità, comunicazione, scambio. Occorre parlarsi con franchezza, riconoscere i meriti, dire apertamente le cose che non vanno, addestrarsi a formulare critiche costruttive che motivino alla azione. Creare climi collaborativi, e combattere l’ossequio. L’ossequio genera perdita di informazioni, la perdita di informazioni la perdita di competitività, la perdita di competitività la perdita del business».
Il problema delle multinazionali: i 25 suicidi in Francia tra i licenziati di France Telecom hanno riacceso i riflettori su un problema poco analizzato in questa fase di grande turbolenza economica: la globalizzazione ha cambiato il modello di sviluppo e la nuova difficoltà che si trovano davanti sia i sindacati che i manager locali è dover trattare con centri decisionali che si trovano a migliaia di chilometri di distanza e che cercano di imporre condizioni che rispondono a regole e logiche di fatto completamente estranee al mercato del lavoro italiano. Mi viene in mente il suo libro Io sono tua (Piemme ed.)
«E’ vero, come lei dice, che talora le multinazionali diramano direttive da noi inapplicabili, ma è parimenti vero che vi sono multinazionali onali rispettose della legislazione locale. Certo non è sempre facile spiegare ad uno straniero che cosa è un dirigente o perché una sentenza civile di primo grado può arrivare da noi in dieci anni, ma nella mia esperienza, alla fine, ci si riesce. Il vero problema nella impresa di oggi che è multietnica sono le relazioni fra persone di nazionalità diversa. E mi spiego con un aneddoto. Un bel giorno l’algid EXECUTIVE della Casamadre finlandese comunica all’amministratore delegato della neonata compagnia italiana che l’arredo della sede deve essere composto di scrivanie e mobiletti in legno chiaro finlandese "I Italia i mobili sono scuri e il legno pregiato - obietta l’amministratore maschio e italiano - occorre dare alla compagnia locale una immagine sintonica con il Paese".
Con tono assertivo la finnica executive replica che l’immagine della Società deve essere identica in tutte le compagnie di tutto il mondo e che l’arredo deve comporsi di scrivanie e mobiletti in legno chiaro finlandese. "Con quel legno in ltalia non si fanno neanche le cucce per i cani" sbotta il nostro eroe spazientito. La algida executive abbozza, la dà vinta all’italiano, fa passare un anno, e, quando è ben sicura che il mercato nostrano è ormai saldamente in mano ai finns, dà il ben servito all’italian, rottama l’arredo in legno scuro pregiato e trasforma gli eleganti uffici locali in una sorta di lkea minimalista ed ecosensibile. Non l’ha indispettita la controproposta del pregiato legno scuro, ma la prospettata "recalcitranza" di un cane italiano a infilarsi in una graziosa cuccia in legno chiaro finlandese. Il legno in cui vivete da noi non lo vogliono neanche i cani, questa è stata l’offesa che grida vendetta. La cultura italiana è individualista, relazionale, espressiva. Quella scandinava è collettivista, universalista, introspettiva. Quella che per una cultura è una brillante battuta ruvida e abrasiva per un altra è una intollerabile mancanza di rispetto».