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 2009  novembre 17 Martedì calendario

La terra, un nuovo affare da 100 miliardi di dollari- La terra nel portfolio. Milioni di ettari di terre agricole, in paesi come Etiopia, Madagascar, Sudan, Eritrea, Cambogia, Mali, Filippine, stanno finendo segretamente nelle mani di investitori (hedge funds, private equity groups, banche di investimenti e simili)

La terra, un nuovo affare da 100 miliardi di dollari- La terra nel portfolio. Milioni di ettari di terre agricole, in paesi come Etiopia, Madagascar, Sudan, Eritrea, Cambogia, Mali, Filippine, stanno finendo segretamente nelle mani di investitori (hedge funds, private equity groups, banche di investimenti e simili). il global land grab, l’accaparramento - chiamiamolo furto - globale delle terre coltivabili, lo scandalo più nuovo ai danni della sovranità e della sicurezza alimentare. Lo hanno denunciato ieri in un’azione davanti alla Fao il movimento contadino internazionale La Via Campesina (148 organizzazioni aderenti in 69 paesi) e l’organizzazione non governativa Grain. La corsa è cominciata nel 2008 da parte di stati con disponibilità finanziarie (paesi del Golfo, Cina) e con terre limitate, alla ricerca di sicurezza alimentare oltrefrontiera, con la complicità dei governi locali attratti dalla possibilità di ricevere investimenti. Ma presto, spiegano Grain e Via Campesina, verso il luglio 2008 mentre cresceva la crisi finanziaria, sono arrivati gli speculatori puri: e certo, ci sono affari lucrosi in agricoltura, perché la popolazione mondiale cresce, i prezzi agroalimentari sono destinati a rimanere elevati, e le terre si possono avere per poco. Già 40 milioni di ettari - 20 dei quali in Africa - hanno cambiato mano o sono in procinto di farlo. Un affare, finora, da 100 miliardi di dollari. Privati in collusione con i governi locali. Tenendo fuori da ogni gioco le comunità e i coltivatori (quel miliardo e 400 milioni di piccoli produttori che nutrono il mondo), ecco il paradigma dell’accaparramento, secondo i movimenti: «Espandere e consolidare le filiere alimentari per l’export su larga scala». La scusa è la creazione di lavoro, e il trasferimento tecnologico. Ma che succederà in caso di penurie alimentari nei paesi «comprati»? Si permetterà ai loro governi di limitare le esportazioni, anche quelle dalle fattorie degli investitori stranieri? Ovviamente c’è bisogno di investimenti, dicono i contadini e le associazioni per la sovranità alimentare, ma di investimenti «nella sovranità alimentare, in milioni di mercati locali e per quattro miliardi di persone abitanti nelle campagne del mondo, non in megafattorie controllate da pochi ultralatifondisti». E intorno ai contadini e al miliardo di affamati (due categorie spesso coincidenti) ragiona il Forum della società civile, parallelo al Vertice mondiale sull’alimentazione, che si sta svolgendo a Roma presso la Città dell’Altreconomia. Con lo slogan «People’s Sovereignity Now!», centinaia di partecipanti dai cinque continenti, riuniti in gruppi di lavoro e in tre caucus (donne, popolazioni indigene, giovani) fino a oggi discutono su questa domanda: «Quali sistemi agricoli e alimentari possono nutrire la popolazione mondiale senza farla ammalare, permettendo ai contadini di rimanere sulle loro terre anziché ammassarsi negli slum urbani, e alle comunità di andare avanti e vivere meglio?». Oggi il Forum adotterà - e presenterà al Summit ufficiale - una dichiarazione finale di denuncia e proposte, e anche un piano di lavoro sulla governance globale - perché i protagonisti del cibo, società civile e produttori chiedono di avere voce in capitolo.