Corriere della sera 18/11/2009, 18 novembre 2009
IO IMPRENDITORE E I GRANDI GRUPPI CHE RITARDANO LE FATTURE
Caro Direttore, ho letto con attenzione l’editoriale del 10 novembre dal titolo «Le buone ragioni degli indipendenti».
Sono a capo di un’azienda di medie dimensioni (una quarantina di dipendenti) che opera nel settore del commercio siderurgico. Tra le tante osservazioni da lei trattate voglio solamente soffermarmi su un punto da lei accennato che mi sta a cuore e che merita di essere approfondito: la questione dei pagamenti. Dobbiamo renderci conto che questa è la primaria difficoltà in cui versa la stragrande maggioranza delle aziende del nostro Paese. un problema atavico che la crisi ha portato alla luce in tutta la sua drammaticità e, se vogliamo far tesoro di questo periodo, è ora che si trovi una soluzione. Non è solo il pubblico (anche se c’è da fare un distinguo tra Stato ed enti locali) che paga con ritardi insostenibili, ma sono anche i grandi gruppi privati (i nomi li sappiamo) che si comportano in egual misura, se non peggio.
Possono fare quello che vogliono perché non esiste una legislazione che glielo impedisce e quando lo Stato interviene sono i primi a trarne benefici. La stragrande maggioranza del Paese deve allora subire. Il protrarsi dei pagamenti logicamente si ripercuote sull’esposizione bancaria con il gonfiamento degli indebitamenti. La colpa delle banche è stata poi anche quella di contribuire a questa situazione: più i loro clienti erano indebitati più ci guadagnavano, e ora che le banche sono costrette a fare marcia indietro lasciano la clientela da sola a «pagare pegno». A questo punto l’unica strada per questi malaugurati imprenditori è quella di rivolgersi a loro volta ai propri fornitori per continuare l’agonia senza risolvere i loro problemi, ma aggravandoli per se stessi e girandoli ad altri e così via. Fino a quando? Non importa, perché a quel punto non è più un problema né di grossi gruppi, né di banche, ma sono ormai questioni che riguardano «il fondo della filiera» e si salvi chi può. Le chiedo allora direttore: è moralmente giusto che un’impresa fallisca perché non viene pagata? Non devono essere altri i parametri per venire giudicati dal mercato? Ci rendiamo conto che se riuscissimo a stabilire per legge che la dilazione massima di pagamento non debba superare i 60 giorni, l’indebitamento delle aziende diminuirebbe almeno per un terzo se non di più?
Queste leggi in altri Paesi europei esistono. Perché da noi non se ne parla minimamente? evidente che ad alcuni va bene così. Per non parlare poi del recupero crediti e delle leggi fallimentari.
L’assenza di regole porta il cliente moroso ad avere tutta la convenienza ad onorare nel più lungo tempo possibile il proprio debito. Citando un’esperienza vissuta come azienda sono incappato anni fa in un fallimento di un cliente nella vicina Austria. Ebbene, in sei mesi dalla dichiarazione del tribunale il fallimento si è chiuso. Fantascienza! D’altro canto la nostra azienda ha un credito Iva - e come ben sa non si può chiedere rimborso fino a quando la procedura fallimentare non sia chiusa - per fallimenti vecchi anche di dieci anni e oltre. Queste sono le priorità della giustizia: altro che lodo Alfano, processi brevi, prescrizioni, leggi ad personam e quant’altro. Sono migliaia le aziende che con la loro dinamicità, la loro voglia di fare, di rimettersi in gioco e soprattutto la forza di rimboccarsi le maniche hanno sostenuto il nostro Paese e vogliono che diventi finalmente grande e moderno. Il Paese dove vorremmo vivere, il Paese che sogniamo per i nostri figli, il Paese per il quale si sono battuti i nostri padri, il Paese che nonostante tutto amiamo. La crisi ci fa vivere in prima persona questo momento storico e probabilmente epocale. Spetta a ognuno di noi fare la nostra parte, senza nascondere la testa sotto la sabbia pensando che tutto ciò non ci riguarda.
Buon lavoro
Carlo Giacomello
(Udine)