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 2009  novembre 17 Martedì calendario

LA CASSIERA E IL MOBBING INVENTATO


«Ho chiesto per un’ora e mezzo il cambio alla cassa. Ma non mi hanno permesso di raggiungere i ser­vizi. Così ho subìto una delle peggiori umiliazioni: bagnar­mi davanti a tutti, come acca­de a un neonato».
Era il 2 febbraio dell’anno scorso quando una cassiera dell’Esselunga, in servizio a Milano, denunciò il grave ca­so di mobbing. Seguito da un episodio inquietante poche settimane dopo, il 28 febbra­io: botte in uno spogliatoio del super. I vertici di Filcams Cgil e Uiltucs Uil lanciarono le loro invettive contro la catena della grande distribuzione. Ie­ri il tribunale della città del Duomo ha dato il suo respon­so sulla vicenda: caso archivia­to. Nessuna responsabilità per direttore, vicedirettore, ca­pocassiere e addetto alla sor­veglianza del punto vendita.
Il decreto del giudice per le indagini preliminari, Maria Grazia Domanico, accoglie la richiesta di archiviazione già presentata dal pm, Piero Basi­lone. Secondo il decreto non si può parlare di mobbing. «Le problematiche che la vitti­ma ha evidenziato appaiono legate ai disturbi psichici e al suo stato di sofferenza psico­logica », recita il dispositivo.
Il giudice dice che la cassie­ra ha sì chiesto per un’ora e mezza di essere sostituita per andare in bagno. Ma alla man­cata concessione di un cam­bio non può essere ricondot­to nessun reato. Nella riche­sta di archiviazione il pm par­la di «totale mancanza di atti­vità o volontà persecutoria».
Per quanto riguarda le lesio­ni subite nello spogliatoio (trauma cranico facciale, di­storsione cervicale, ecchimo­si alle gambe e contusione al braccio destro) «l’autore del fatto non è stato identificato e pertanto va accolta la richie­sta di archiviazione». Il giudi­ce, come del resto il pubblico ministero, parlano anche di «perplessità circa la dinamica dei fatti così come ricostruiti dalla vittima, dubbi che ven­gono rafforzati non solo dal quadro patologico di sofferen­za psichica della cassiera, ma anche dalle stesse dichiarazio­ni contraddittorie rese nel­l’immediatezza dei fatti». Raggiunta al telefono, la si­gnora coinvolta nella vicenda non ha voluto parlare. «E co­me stupirsene? Per la collega questo anno e mezzo è stato tremendo», dice Betti Curato­la, una delegata sindacale del punto vendita. «Non dorme. La sua situazione familiare ri­sente di tutto questo (la signo­ra ha un compagno e due fi­gli, ndr ). Da parte mia non posso che ribadire quanto ho visto: la gonna bagnata, le contusioni». La Uil, sindacato che ha patrocinato il ricorso, non nega l’esistenza di un quadro psicologico delicato. «Ma certe cose possono succe­dere anche a chi è in difficoltà per motivi propri», insiste Ro­berto Pennati della Uiltucs.