Alessandro Barbero, La stampa 18/11/2009, 18 novembre 2009
L’ESODO FORZATO ACCELLERO’ IL DECLINO DELL’IMPERO
Anno fatidico come pochi altri, il 1492 fu segnato da due avvenimenti che annunciavano, ciascuno a suo modo, le contraddizioni della modernità. Uno lo conoscono tutti, ed è l’arrivo delle caravelle di Colombo in America, che diede inizio al genocidio degli indios e all’emigrazione europea nel Nuovo Mondo. L’altro fu la fine della reconquista in Spagna, con l’occupazione del regno arabo di Granada e l’espulsione immediata verso il Marocco di tutti i musulmani che non accettavano di convertirsi al cristianesimo. Per buona misura, il governo di Ferdinando e Isabella vi aggiunse l’espulsione dalla Spagna di tutti gli ebrei, scacciati anche dai possedimenti spagnoli e quindi, tra l’altro, dall’Italia meridionale.
La cacciata dei musulmani può essere apparsa ai governanti spagnoli di allora come un atto dovuto, che non ammetteva alternative. In nessun luogo della Cristianità, all’epoca, era pensabile che si consentisse a qualcuno di praticare liberamente l’Islam; e il fatto che in terra islamica i cristiani fossero tollerati, sia pure con frequenti vessazioni, non sembra aver mai suscitato in nessuno il dubbio che forse fossero più civili gli altri. La faccenda, però, non finì lì; perché molti dei musulmani che popolavano il regno di Granada, di fronte all’alternativa di abbandonare tutto ciò che possedevano e trasferirsi all’istante in un mondo sconosciuto, preferirono restare sul posto e accettare la conversione al cristianesimo imposta dai vincitori.
A partire da quel momento, l’esistenza di quelli che venivano chiamati ufficialmente i «cristiani nuovi» e spregiativamente i moriscos avvelenò la società spagnola, inoculandovi germi che le fecero molto male. La cacciata dei musulmani era stata il frutto d’una crociata e non una pulizia etnica, ma tra quelli che si definivano orgogliosamente «cristiani vecchi» il senso di superiorità rispetto ai convertiti recenti creò una sindrome razzista. L’ossessione della limpieza de sangre attraversò la società spagnola con gli stessi effetti negativi che il lascito della schiavitù ha prodotto nel Sud degli Stati Uniti, alimentando soprattutto fra i bianchi più poveri un feroce pregiudizio razziale. Il timore che in segreto gli antichi musulmani continuassero a praticare la religione dei padri aguzzò lo spirito di controllo e di denuncia, fece proliferare le delazioni e rafforzò il potere dell’Inquisizione e dei suoi famigli in una misura mai raggiunta in altri paesi cattolici.
L’insofferenza dei moriscos, discriminati e perseguitati, provocò sotto il regno di Filippo II un’insurrezione che insanguinò le montagne dell’Andalusia e costrinse il governo spagnolo a una guerra in piena regola. La repressione condotta dall’esercito fu altrettanto crudele e sanguinosa di quella che il duca d’Alba conduceva contro i protestanti delle Fiandre. Erano gli anni immediatamente precedenti la battaglia di Lepanto e a Istanbul la gente si augurava che la flotta del sultano facesse vela per la Spagna per aiutare i correligionari nella loro lotta; il governo ottomano ci pensò seriamente, prima di decidere che l’impresa presentava difficoltà logistiche insormontabili.
Nel 1571 i tercios spagnoli al comando del ventenne don Giovanni d’Austria, fratellastro del re, finirono di reprimere la rivolta costringendo i superstiti alla resa, e don Giovanni poté imbarcarsi verso Messina per prendere il comando della flotta cristiana. I moriscos catturati in guerra finirono incatenati al remo sulle galere della Lega Santa, mentre quelli che accettarono la resa vennero deportati in altre zone della Spagna. Subissato di richieste dagli ammiragli che non avevano mai abbastanza galeotti, il re Filippo valutò per un istante la possibilità di imbarcare con la forza i deportati, ora chiamati moriscos di pace; poi, in un soprassalto di dignità, decise che il re non avrebbe infranto la parola data. Ma la ferita aperta non riuscì a sanarsi; suo figlio Filippo III, nel 1609, decise l’espulsione definitiva dei moriscos verso il Nord Africa. L’esodo di centinaia di migliaia di lavoratori e commercianti da un paese già spopolato e in piena crisi economica accelerò il declino della Spagna e la fine del suo status di grande potenza.
Non c’è niente di strano che a Madrid si discuta oggi se chiedere scusa, giacché chiedere scuse ufficiali per le vergogne del passato, e magari anche esigerle, è un fenomeno del nostro tempo. E andrebbe tutto bene, se non fosse per l’impressione che solo a distanza di secoli le iniquità dei nostri predecessori ci appaiono davvero in tutta la loro gravità, mentre quelle commesse oggi si preferisce non vederle. Alle centinaia di migliaia di nuovi moriscos che oggi solcano il Mediterraneo in direzione opposta, spinti non dalle picche dei fanti e dai roghi dell’Inquisizione ma dalla povertà, per approdare sulle coste della Spagna o dell’Italia meridionale, oggi nessuno si sogna di chiedere scusa per il modo in cui vengono trattati: ci penseranno, se va bene, i governi del 2409.