Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  novembre 18 Mercoledì calendario

MA LA GRANDE AFRICA PUO’ SFAMARSI DA SOLA


Basterebbe l’Africa per sfamare il mon­do. Potrebbe sembrare una battuta ep­pure è quanto dimostrano due recenti studi entrambi condotti dalla Fao (l’organizza­zione dell’Onu per l’agricoltura) in collabora­zione il primo con l’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico) e il secondo con la Banca mondiale. Si tratta di studi interessanti perché, oltre a smentire le previsioni catastrofiche moltiplicatesi nei mesi scorsi, suggeriscono delle strade con­crete per uscire dalla spirale della fame dimo­strando al contempo che – se il problema della fame persiste – non si deve certamente alla scarsità di cibo. Curiosamente però que­sti rapporti sono passati praticamente inos­servati e anche la stessa Fao non sembra parti­colarmente interessata a metterli sotto la luce dei riflettori nel Vertice in corso.
Vediamo allora di cosa si tratta e iniziamo dal­lo studio più sorprendente, quello che la Fao ha condotto insieme alla Banca mondiale ed è stato pubblicato lo scorso giugno: «Awakening Africa’s Sleeping Giant» («Svegliare il gigante dormiente dell’Africa»), dedicato alle prospet­tive agricole della Savana della Guinea, un ter­ritorio vastissimo (600 milioni di ettari di cui 400 perfettamente idonei all’uso agricolo) che attraversa 25 Paesi africani dal Senegal al Su­dafrica. Secondo lo studio questa area potreb­be diventare una delle principali fonti mon­diali di produzione agricola se solo seguisse il individuato nel Nord-Est della Thailandia e nella regione brasiliana del Cerrado.
Attualmente, dice il rapporto, sol­tanto il 10% della Savana viene colti­vato, ma se si decidesse una trasfor­mazione che punti sulla piccola pro­prietà terriera lo sviluppo sarebbe molto rapido. Perché la Savana africa­na, che ha caratteristiche fisiche e di qualità dei terreni analoghe alla Thailandia e al Cerra­do, si trova in condizioni vantaggiose rispetto a queste due regioni quando hanno iniziato la trasformazione all’inizio degli anni ”80. La Thailandia in particolare, pur avendo proble­mi di irrigazione e di fertilità dei terreni, si è trasformata in un «paradiso» per i piccoli pro­prietari terrieri. Il segreto per questi due Paesi, dice il rapporto, è nell’azione dei governi che hanno creato le condizioni per lo sviluppo a­gricolo: «Politiche macroeconomiche favore­voli, infrastrutture adeguate, investimento nel capitale umano, amministrazione competen­te, stabilità politica». Il modello thailandese in particolare sembre­rebbe preferibile a quello brasiliano perché è centrato sui piccoli proprietari terrieri, mentre in Brasile c’è stata una notevole crescita di grandi aziende agricole guidate da ricchi a­gricoltori. In effetti, sostiene il rapporto, una produzione mecca­nizzata su larga scala può avere vantaggi soltanto in certe specifiche condizioni, che non si ravvisano in Africa. Al contrario, dice ancora lo studio, «l’esperienza della Thailandia e del Brasile dimostra che quando nello sviluppo si coinvolgono i piccoli pro­prietari st’anno da Fao e Ocse, è invece l’«Agricultural Outlook 2009-2018» ed è il rapporto di previ­sione dello sviluppo agricolo mondiale. Ebbe­ne, in questo rapporto troviamo scritto tra l’al­tro che «ci sono 1,6 miliardi di ettari di terreno coltivabile che potrebbero essere aggiunti agli 1,4 miliardi attualmente coltivati, e oltre la metà di questo terreno disponibile si trova in Africa e America Latina». Si tratta, specifica il rapporto, di terreni che vanno «dalla moderata alla alta idoneità a colture che necessitano di acqua». Non solo, questa cifra si riferisce alla disponibilità netta, cioè esclude quei terreni che pu­re sarebbero coltivabili ma che sono attualmente desti­nati ad altri usi (soprattutto forestali, ma anche urbani e per aree protette) che renderebbero troppo costosa – economicamente e socialmente – la loro conversione in terreni agricoli. Perché se dovessimo considerare anche questi terreni la disponibilità globale di terreno agricolo sale a 4,3 miliardi di ettari. Anche se può sorprende­re, Africa e America Latina – rispettivamente con 243 e 208 milioni di ettari – sono i conti­nenti dove c’è maggiore disponibilità di terreni «altamente idonei» alle colture prese in esame.