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 2009  novembre 18 Mercoledì calendario

La Fao: servono regole per fermare l´accaparramento nei Paesi poveri - Valevano appena 24 dollari, dice la leggenda, le perline e gli specchietti con cui nel 1626 gli olandesi pagarono l´"isola delle molte colline", Manhattan in lingua menape, agli indiani che l´avevano abitata fino allora

La Fao: servono regole per fermare l´accaparramento nei Paesi poveri - Valevano appena 24 dollari, dice la leggenda, le perline e gli specchietti con cui nel 1626 gli olandesi pagarono l´"isola delle molte colline", Manhattan in lingua menape, agli indiani che l´avevano abitata fino allora. Non molto è cambiato. Nel terzo millennio la terra dei Paesi poveri è pagata con le perline di prezzi ridicolmente bassi e gli specchietti di una tecnologia agricola moderna. Alla Fao lo chiamano Land grabbing, cioè predazione della terra, e hanno deciso di usare il vertice romano sulla fame per un allarme mondiale: servono regole, dice l´agenzia dell´Onu, o i Paesi più poveri rischiano un nuovo sfruttamento di forte sapore colonialista. Della stessa idea il ministro italiano dell´Agricoltura Luca Zaia. Gli acquirenti non sono i Paesi occidentali, ma le nazioni che dispongono di grandi quantità di liquidi: la Cina, la Corea del Sud e i produttori di petrolio, in particolare gli Emirati del Golfo. A vendere sono alcuni fra i più poveri: gli Stati dell´Africa subsahariana, Pakistan, Kazakhstan. «Nazioni a rischio fame, che si vedono strappare territorio produttivo», dice David Hallam, responsabile del settore Commercio e mercati della Fao, impegnato insieme ai tecnici della Banca Mondiale e di altre agenzie Onu, come l´Ifad e l´Unctad, a tracciare un primo quadro di riferimento normativo che fermi gli abusi più eclatanti. Secondo l´esperto, a far decollare le vendite è stata la crisi dei prezzi alimentari del 2007-2008: l´acquisto o più spesso l´affitto di terre coltivabili mette al sicuro i Paesi acquirenti da pericoli del genere. In altre parole, se la produzione agricola interna non è sufficiente, chi compra terreni all´estero è al riparo da misure come lo stop all´esportazione, che alcuni Paesi avevano imposto durante la crisi. L´accordo di affitto prevede appunto che i prodotti della terra non siano destinati al mercato internazionale, ma al consumo del Paese che paga, al di fuori del controllo governativo. Gli affitti sono da 50 a 99 anni, rinnovabili, con prezzi che partono dai 3 dollari a ettaro: un ricavo molto modesto, che mette in allarme le organizzazioni non governative, perché il fenomeno colpisce soprattutto i piccoli agricoltori e perché, dice ActionAid, «costringe intere popolazioni a migrazioni forzate». C´è anche chi vede un´opportunità: «In Kenya gli investimenti esteri sono diventati un esempio di cui hanno beneficiato i produttori locali. E ora le piantagioni di fiori e di fagioli gestite da piccoli proprietari sono al secondo posto come risorsa nazionale, dopo il turismo», dice Kevin Cleaver, presidente aggiunto del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo. Ma Sofia Monsalve, esperta dell´organizzazione per i diritti umani Fian International, non è d´accordo: «Anche in Kenya come altrove sono state cedute terre come il delta del fiume Tana, considerate vuote. Ma proprio dove non doveva esserci nessuno, abbiamo trovato sei diverse comunità. Erano pastori, si spostavano con il bestiame. Lo stesso è successo a ovest, nelle paludi Yala. Insomma, se i governi fanno accordi bilaterali e non sentono le comunità locali, vuol dire che stanno tradendo la loro stessa gente».