ISabella Bossi Fedrigotti, Il Corriere della Sera 18/11/2009, 18 novembre 2009
LA RICCA TEHERAN DI SPEZIE E BAZAR - Azar Nafisi, autrice del bel libro Leggere Lolita a Teheran , in pratica il suo diario di docente clandestina di Letteratura angloamericana in Iran, completa ora quell’assaggio di autobiografia con le oltre trecento pagine di Le cose che non avevo detto (traduzione di Ombretta Giumelli, Adelphi, pp
LA RICCA TEHERAN DI SPEZIE E BAZAR - Azar Nafisi, autrice del bel libro Leggere Lolita a Teheran , in pratica il suo diario di docente clandestina di Letteratura angloamericana in Iran, completa ora quell’assaggio di autobiografia con le oltre trecento pagine di Le cose che non avevo detto (traduzione di Ombretta Giumelli, Adelphi, pp. 342, e 19,50) che, oltre alla sua vicenda personale, narra anche quella della sua famiglia e del suo Paese. Figlia di un raffinato intellettuale, sindaco di Teheran ai tempi dello scià, poi caduto in disgrazia e imprigionato per quattro anni senza processo, e di una bellissima donna dal difficile carattere che fu parlamentare per qualche tempo, la scrittrice ripercorre quarant’anni di storia privata e pubblica, sempre strettamente connesse, al punto che l’inasprirsi del dissidio familiare sembra quasi avanzare di pari passo con l’incrudelirsi del regime islamico iraniano. Dopo essere stata definitivamente espulsa dall’università, Azar Nafisi si è trasferita negli Stati Uniti con la famiglia, dove aveva già soggiornato al tempo degli studi, ma come tutti gli esuli, anche volontari, incancellabili sono per lei gli anni di Teheran, gli anni buoni prima dell’arresto del padre e del precipitare degli avvenimenti, prima del cambio di colore della città, diventata grigia da variopinta che era, e non soltanto a causa dei vestiti delle donne, passati dai bei colori vivaci di prima, al grigio monocromo e al nero di dopo. la vivace città dei bazar che la scrittrice rimpiange, la città dei negozi e dei negozietti, dei bar e delle pasticcerie, dei sarti e delle gelaterie, dei giardini e delle strade piene di gente senza paura, senza velo e senza guardiani della rivoluzione, delle feste nelle case degli amici, delle quotidiane riunioni per il caffè nel salotto dei genitori, delle conversazioni, delle discussioni, della libertà o dell’illusione di libertà che si respirava un tempo, per troppo breve tempo. In effetti, sebbene raccontati con appassionata dovizia di particolari, i tempi buoni non sono stati molti, tanto da far pensare che la nostalgia indori in parte i ricordi. Succedeva, infatti, ogni giorno a Teheran, quel che, purtroppo, può succedere ancora oggi: amici che per le loro idee finivano in carcere o che sparivano nel nulla; la sua insegnante più inflessibile, femminista e combattiva parlamentare ai tempi dello scià, imprigionata, chiusa in un sacco e crivellata di colpi di pistola; parenti pur piissimi, ma non abbastanza arrendevoli, giustiziati per i motivi più inverosimili, per comunismo, spionaggio, apostasia... E, in casa, il malessere familiare. L’infelicità del padre che vorrebbe essere amato, la nevrosi della madre che vorrebbe essere stimata e sfoga sulla figlia le sue frustrazioni, costringendo Azar a scelte precipitate e sbagliate per sottrarsi alle aspre battaglie quotidiane; poi il divorzio dei genitori e il reciproco rancore coltivato a lungo. Scene che, rievocate nella distanza, a protagonisti ormai entrambi spariti, sfumano nel rimpianto e nella melanconia. Per parte sua, il lettore riesce a condividere nel profondo questi sentimenti, aiutato anche dalle foto di famiglia che corredano il libro, foto della mamma giovane, ardente e baldanzosa e poi foto di lei anziana e ormai sola in casa. Foto del papà, bello e fiero, sindaco in mezzo agli alti papaveri di regime, e poi, nonno pensionato e stanco con i nipotini in grembo. E fuori dalle foto, Azar, la figlia ormai lontana, in America, costretta a sentirli soltanto al telefono. Ovvio, perciò, che il libro si apra con una dedica riservata a loro – «In memoria dei miei genitori, Ahmad e Nezhar Nafisi» – che, si sa, ha il dono misterioso di saper consolare e riconciliare.