Gabriele Romagnoli, la Repubblica 18/11/2009, 18 novembre 2009
IL DOTTOR HOUSE UNA DONNA E HA SCRITTO UN LIBRO
Prendete la signora Tamara Reardon: 44 anni, madre di 4 figli, sanissima fino al giorno in cui si svegliò con una febbre improvvisa e un forte dolore in gola. Si alzò e tutto il corpo le doleva, non si reggeva in piedi. Tornata a letto, alternava ondate di calore e di gelo. Poi cominciò a farle male la mandibola: impossibile mangiare. Il dottore che la visitò diagnosticò: tonsillite. Le prescrisse un antibiotico. La febbre passò. In compenso affiorò un bozzo nel collo. Tornò dal medico. La gola era perfettamente normale, salvo che per una serie di puntini bianchi. Linfonodi infiammati? Altre medicine, steroidi, e tutto andò a posto. Senonchè, presa l´ultima dose, riecco la febbre, riecco il bozzo, riecco la paralisi della mandibola. Corse dall´otorinolaringoiatra. Lo specialista sospettò un ascesso, ma quando fece scendere la telecamerina in gola non ne trovò, in compenso notò un grumo nella giugulare. Non seppe che conclusioni trarre. Poi la sera incontrò un vecchio amico, specialista in malattie infettive, e gli raccontò il mistero. Quello ripetè i sintomi: tonsillite, febbre, bozzo al collo, mandibola bloccata, grumo alla giugulare. Disse: «Ha la sindrome di Lemierre». Individuata dal medico francese con quel nome nel ´36, era mortale prima della scoperta della penicillina. Dopo il 1970 non se ne era più avuta notizia. Poi era riapparsa qua e là, e se trattata con antibiotici non abbastanza forti, poteva ancora uccidere. Lo specialista visitò Tamara e la fece ricoverare: l´infezione era arrivata ai polmoni e le restava ancora poco per combatterla e sperare di sopravvivere. Lo fece per due mesi, alla fine con successo.
Sembra la trama di un episodio del dottor House e quasi lo è. Il caso è uno dei tanti raccontati dalla dottoressa Lisa Sanders nel suo libro "Ogni paziente racconta la sua storia" (Einaudi, pp 280, 16,5 euro). Sanders, che da anni tiene una rubrica di "gialli diagnostici" sul New York Times Magazine è in effetti stata chiamata come consulente della serie televisiva. Ma il suo testo va oltre il dottor House, perché non ha un protagonista quasi invincibile. Ci racconta, invece, di un categoria che si batte e spesso perde: quella dei medici. Il problema è che quando perdono loro, per i pazienti è una disfatta senza rivincita. Se l´investigatore non risolve il caso il colpevole resta impunito, ma la vittima non risorgerebbe comunque, se non lo risolve il medico la vittima muore. E l´esito è spesso evitabile. Bastava sapere chi era Lemierre e quale sindrome aveva scoperto. Ma bastava, a volte, anche molto meno. Sanders sostiene una curiosa, devastante teoria: i medici hanno smesso di usare i sensi. Non ascoltano, non guardano, non toccano. "Ogni paziente racconta la sua storia" significa che bisognerebbe ascoltarlo quando parla, quando descrive i sintomi, narra la propria vita, rivela chi è, da dove viene e, probabilmente, che cos´è e da dove viene il male che lo affligge. Il medico invece ha smesso di fare domande, prescrive analisi e aspetta di leggere illuminanti esiti. Nel pudico mondo che si è creato ha smesso anche di toccare il paziente, le visite con palpazioni sono ormai scomparse, eppure restano capaci di decisive rivelazioni. Non sembrerà paradossale che l´autrice incontri a questo punto un medico quasi infallibile: è cieco, ma si affida al tatto. Guardare il malato tuttavia resta importante, invece di tenere gli occhi al monitor che lo scruta per conto del dottore. Fidarsi di sé, anche e perfino dei propri logici pregiudizi. Non solo è vero che il cancro al seno colpisce le donne e non è sessista considerarlo, ma è anche provato che le malattie della prostata colpiscono prevalentemente i neri e quasi mai gli orientali, non sia razzista ammetterlo. La medicina è andata avanti ma, suggerisce Sanders, il medico deve portarsi dietro il bagaglio del passato. O tanto vale curarsi con l´impersonale visita di Google.
Quello sul motore di ricerca Internet è il capitolo più spassoso e terribile del libro. E´ vero che tutti noi appena abbiamo un sintomo ormai lo googliamo per sapere che cosa nasconde, ma è anche vero che ti capita il medico fa lo stesso in tua presenza (posso portarne testimonianza). Sanders racconta di una giovane donna, Maria Rogers, affetta da inspiegabili nausee. Alla seconda occasione in cui, entrata nella sua stanza per visitarla, la dottoressa che la curava la trovò intenta a farsi la doccia, le chiese spiegazioni e quella rispose che le docce la facevano stare meglio. Il medico googlò "nausee che passano con le docce", come potrebbe fare chiunque abbia un computer. Tutti i documenti che ricevette in risposta contenevano il riferimento a: iperemesi da abuso di cannabis. Tornò da Maria e le chiese se fumasse spesso marijuana. Risposta: sì, ma che c´entra? La paziente non volle mai credere alla correlazione tra il fumo e le sue nausee, ma questo restava un suo problema, il mistero era risolto con un clic. Eppure, meglio non fidarsi troppo. Un test ha provato che Google (non creato per diventare un medico portatile) azzecca il 58% dei casi. E i medici veri, direte voi? Fanno di meglio? Non ci sono, fortunatamente per loro, statistiche al riguardo. Esistessero, pare le migliorerebbero ascoltando, guardando, toccando e telefonando a un amico. Per la cronaca, il medico (svedese) che affrontò il mio malanno andando su Google trovò tre possibilità. Prescrisse le cure per la prima e nulla accadde. Con la seconda fece centro. Quando gli chiesi dove portasse la terza via rispose: "Non lo vuoi sapere". Infatti: a tutti noi pazienti basta che azzecchino, come possono, la domanda di riserva.