Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  novembre 17 Martedì calendario

I BUONI ITALIANI


Il giubbotto catarifrangente consola più della stola del prete, rassicura più della bandoliera dell´appuntato, convince più del volantino del militante. Lo dicono i sondaggi: gli italiani hanno più fiducia nei volontari che nei carabinieri, due volte di più che nella Chiesa, e perfino (ma questo non stupisce nessuno) sei volte di più che nei partiti. L´altruista organizzato è l´unica figura sociale che abbia conservato, nella lenta erosione di credibilità che ha colpito tutti i ruoli della commedia umana, un capitale altissimo di reputazione. Forse perché, dopo la fine della leva obbligatoria, è l´unica esperienza di lavoro gratuito che accomuni migliaia di persone di estrazione sociale, cultura, provenienza diverse. Un italiano su dieci fa almeno una volta all´anno qualcosa, gratis, per qualcuno che non è un suo amico o un suo familiare.
Lo chiamano «capitale sociale», e la definizione è appropriata. Il gruzzolo disponibile è alto, sorprendentemente alto. Un milione e centomila i volontari in servizio permanente effettivo, cioè con impegni formali e turni da rispettare in gruppi strutturati. Altri quattro milioni quelli che almeno una volta all´anno offrono qualche ora del proprio tempo a un´associazione per un gazebo in piazza, una cena di sottoscrizione, l´accompagnamento di un malato.
Fa quasi un italiano adulto su dieci: il 9,2 per cento, secondo le stime dell´Eurispes. Ma una rilevazione Ocse-Gallup spara ancora più alto: 21,1 per cento, oltre dieci milioni di italiani. Non è una contraddizione, dipende da cosa si intende per lavoro volontario: mettendoci dentro qualsiasi dono del proprio tempo, anche non organizzato, anche spontaneo e a cortissimo raggio (un aiutino in parrocchia, il turno organizzato tra genitori per portare a casa da scuola il figlio di una madre che lavora...) è molto verosimile che un italiano su cinque dedichi un po´ della propria vita agli altri, senza nulla in cambio se non la soddisfazione di essere utile.
«Un immenso giacimento di generosità» lo definisce Riccardo Bonacina, direttore di Vita, la rivista del volontariato sociale, «sopravvissuto alla crisi del mutualismo novecentesco di tradizione operaia, socialista o cattolica». Un esercito di samaritani che dà servizi a sette milioni di persone, metà delle quali ammalate o disabili, arrivando là dove nessun welfare è mai arrivato neanche in tempi di vacche grasse. Perfino l´espressione "giacimento" è inappropriata perché, a differenza di quelli di petrolio, il pozzo dell´altruismo non sembra esaurirsi neppure in circostanze sfavorevoli. «Il dono di sé ha sconfitto la crisi» medita Massimo Novarino all´ufficio studi del Forum Terzo Settore mentre sfoglia le tabelle, «tutto lasciava pensare che la precarizzazione del lavoro e la destrutturazione dei tempi di vita avrebbero tolto spazio alla gratuità, e invece...». Invece quello che i sociologi americani chiamano warm glow, l´autogratificazione disinteressata, continua a funzionare sfidando l´utilitarismo, l´individualismo, la logica del dare-avere. «Il volontariato è in contraddizione con lo spirito del tempo, ma esiste», commenta Andrea Olivero, presidente delle Acli e del Forum Terzo Settore, «penso voglia dire che il pensiero unico non è poi così unico».
«Ma è anche un giacimento molto sfruttato, qualche volta abusato, usato dalla politica come riserva di futuri dirigenti, spesso stressato da pressioni e usi impropri», avverte Bonacina. Dietro lo splendore dei numeri e della reputazione spunta infatti qualche ruga preoccupante: l´età media si alza (un volontario su cinque ha più di sessant´anni), la maggioranza è concentrata al nord e nei piccoli centri (mentre il bisogno sta al sud e nelle metropoli) e soprattutto lo stock non cresce nel tempo, il numero di impegnati è stabile, per non dire stagnante, da un decennio. Il declino della militanza politica non si è tradotta, come ci si poteva attendere, in un trasferimento delle buone volontà verso l´impegno sociale: semmai è successo che, tutta all´interno del volontariato, c´è stata una trasfusione sensibile di forze dalle associazioni «politiche» (pacifiste, ambientaliste, globaliste) a quelle assistenziali ed emergenziali, che può anche nascondere una perdita dell´orizzonte civile e un rifugio nel puro servizio alla persona. Ma «i volontari non sono le crocerossine del mondo, non applicano amorevoli cerotti alla storia», avverte ancora Olivero, «ogni singolo atto di solidarietà perde il suo senso se non punta alla rimozione delle cause delle sofferenze che cura».
Non è in un clima di puro autocompiacimento insomma che il 4 e 5 dicembre si riunirà a Roma la prima vera assemblea generale del volontariato italiano organizzata dalle maggiori reti dell´associazionismo (Forum Terzo Settore, Consulta del volontariato, Cosvol e Csvnet), c´è la consapevolezza di vivere in momento di transizione e di rischio. Da un lato, la sorpresa della generosità, la resistenza imprevedibile, in tempi di crisi, della cultura del dono. Tutti i parametri lo confermano: le donazioni in denaro alle associazioni coinvolgono ormai un italiano su due (uno su tre regolarmente, con versamenti medi annui di 180 euro a testa), i donatori di organi aumentano costantemente di numero da cinque anni, i donatori di sangue sono cresciuti in un solo anno del 6,4%, il sostegno a distanza è quadruplicato in un decennio, il 66% degli enti no-profit ha consolidato o aumentato la propria raccolta fondi nell´annus horribilis 2008, e quasi otto milioni di contribuenti su 13 scelgono di destinare il 5 per mille alle organizzazioni del volontariato.
«L´Italia è un paese di volonterosi», sintetizza Fausto Casini della Consulta del volontariato, nonché presidente della rete delle Pubbliche assistenze, una vera potenza della buona volontà con le sue 850 strutture e i suoi centomila sostenitori attivi, «ma un volonteroso non è ancora un volontario. Il piacere di donare è iscritto nella natura dell´uomo, ma può appagarsi con atti individuali, può risolversi in un puro amore per se stessi e per la propria bontà. Il salto c´è solo se aiutare gli altri gratuitamente diventa anche costruire un´altra socialità». quello che da anni predica Stefano Zamagni, economista teorico dell´«essere-bene»: «Se ci interessa solo fare per gli altri, basta la filantropia. Per costruire un´etica del bene, il volontario deve fare con gli altri». Distinzione sottile ma fondamentale. Altrimenti la parola perde di significato, come rischia di accaderle nel rumore mediatico corrente, dove vengono definiti con la stessa parola, "volontari", i vigilantes delle ronde (che Adriano Sofri ha definito «parodia del volontariato») e perfino i militari in missione in Iraq.
Trasformare i volonterosi in volontari è la sfida, «e non sempre siamo all´altezza», fa autocritica Emma Cavallaro della rete Convol che riunisce quattordici grandi associazioni, «i volontari continuano a venire, ma abbiamo la sensazione che stiano cambiando». Il rischio è che altri peschino più a fondo nel "giacimento". La statalizzazione della generosità è dietro l´angolo. Negli Usa, dove la crisi ha imprevedibilmente prodotto un´impennata della disponibilità verso il lavoro sociale, Obama ha lanciato il Serve America Act che arruola volontari in una struttura gestita a livello federale. In Italia, bisogna dire, il Servizio civile nazionale si sta riducendo a una sorta di burocratizzata "prestazione socialmente utile", una specie di parcheggio per ragazzi in attesa di qualche forma di impiego retribuito (o che proprio in quel modo pensano di trovarlo). Ma la nazionalizzazione delle buone volontà avviene per altre vie, emotivamente più potenti: sono le periodiche emergenze nazionali ad avere ormai affermato uno schema in cui la Protezione civile funziona da stato maggiore di un esercito nella cui «logica quasi paramilitare», denuncia Bonacina, «ciascuna associazione di volontari esegue ordini definiti dall´alto e molto pratici che, come è successo all´Aquila, non prevedono la ricostruzione comunitaria»; cioè, appunto, il "fare-per" senza il "fare-con".
Volontari arruolati sotto la potente spinta dell´emergenza, ma poi spesi nella prosaica quotidianità. I volonterosi fanno gola a bilanci pubblici con l´acqua alla gola. Piccole "protezioni civili" di iniziativa comunale, associazioni locali di servizio stimolate dagli assessori, magari con qualche elargizione, cascano a pennello per tappare i buchi di uno stato sociale groviera. lo stravolgimento del principio di sussidiarietà: che dovrebbe essere "quello che puoi fare tu, volontariato, smetto di farlo io, Stato", e invece diventa "io comunque non lo faccio più, se davvero ci tieni fallo tu". Se i samaritani non stanno attenti, non saranno loro a cambiare la società, ma sarà la società a cambiare loro.