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 2009  novembre 17 Martedì calendario

Qui Rebibbia, con l’incubo della sezione Td- Carcere di Rebibbia, Roma. «Entri e passi alla Matricola

Qui Rebibbia, con l’incubo della sezione Td- Carcere di Rebibbia, Roma. «Entri e passi alla Matricola. Ti dichiari tossico. Stai lì, al G6, fin quando non si trova un posto per te. Al G6, un bagno per 26 detenuti». Parla Massimo, 46 anni, meccanico, una figlia, porto d’armi e spaccio: «Poi ti mandano al Td». Cos’è il Td? «Sezione tossicodipenden­ti. Piano terra, reparto G11. Non si cucina. Non si può andare ’in visita’ alle altre celle. Celle da tre. Un’ora d’aria, anziché quattro. Se fai l’aria, non fai la doccia. Vengono a darti metadone, sia per chi prendeva eroi­na, sia per chi prendeva cocaina. Assistenti nervosi, parte facile qualche schiaffo. Se sei coinvolto in una lite, finisci in ’cella li­scia’ ». Cella liscia? «Senza niente. Solo una tavola murata». E dopo il Td? «Se hai meno di 25 anni, vai al reparto ’Giovani adulti’, se no negli altri reparti». Giusto tenere as­sieme tutti i ragazzi? «Non so. Sono i più agitati, possono sovraeccitarsi tutti assie­me ». Massimo è uno dei quattro detenuti per droga che incontriamo nel salottino della comunità che li ospita, agli arresti domici­liari. Scontano qui la «pena alternativa». E provano a cambiare vita. Si presentano con nome e cognome, chiedono di non usare le loro generalità complete. Vittorio, 43 anni: «Facevo lo ’spesino’, quello che raccoglie i piccoli ordini, cella per cella. Nelle ’celle lisce’ del Td trovavo spesso occhi gonfi. Botte e suicidi tentati. Uno zingaro, due anni fa, è morto inalando gas del fornelletto. Un amico, Franco, s’è ge­lato i polmoni col gas. Se lo aspiri per sbal­larti, al posto della droga, puoi andare avan­ti, ma se ne prendi tanto, se ti entra nel naso il liquido, quello ti gela i polmoni, muori». Fulvio, 41 anni, sposato, rapina: «A Regi­na Coeli, secondo braccio, 150 posti, stava­mo in 200. La mattina passa l’infermiere per la visita. Uno può chiedere di fare un colloquio con lo psicologo...». Sergio, 43 an­ni, fabbro, spaccio, sguardo pieno di malin­conia: «Stavo a Rebibbia, per un anno ho fatto tante domande di vedere lo psicologo. Ci ho parlato una volta». Vittorio: «Il metadone lo danno dal ”97. Prima ti davano qualche goccia di Valium. Oppure c’era un bastone con scritto sopra ’Valium’. O ’Roipnol’». Fulvio: «A Regina Coeli, fra il 2007 e il 2008, ho visto cinque morti, nel secondo braccio». Massimo: «Agostino stava nella mia cella. Un giorno da troppo tempo era chiuso al bagno. Abbiamo sfondato: era ap­peso alle grate col lenzuolo, l’abbiamo tira­to giù, vivo per un pelo». Vittorio: «Fra il 2004 e il 2006 a Rebibbia ho visto 7 morti. Ho visto tanti tentare il sui­cidio. Romoletto si era attaccato con un as­sistente. S’era tagliato. Tanti si tagliano. Si aprono pure la pancia, tutte le viscere di fuori... Lo ricucivano, lui si agitava. Con l’as­sistente si sono toccati. Sono arrivati gli agenti che chiamavano ’la squadretta’, gli hanno dato un calcio in faccia, spaccato l’os­so dello zigomo, ha rischiato di perdere un occhio». Massimo: «I tossicodipendenti sono de­tenuti che fanno più problemi degli altri. Stanno sempre a chiamare: ’Appunta’, me porti in infermeria, appunta’ sto male, ap­punta’ ho fame...’». Vittorio: «Il guaio sono queste carceri enormi. A Orvieto eravamo novanta detenuti, tutto funzionava». Arriva Julius, nigeriano, 48 anni, ne di­mostra dieci di meno. Lui ora fa il cuoco in comunità, studia architettura. «Sono stato a Latina. Sono stato a Rebibbia. Detenzione e spaccio. Eroina e cocaina. Ero venuto in Italia per studiare, a Padova. All’inizio del 2006 mi arrestarono di nuovo, mi portaro­no a Secondigliano, Napoli. Ore e ore al re­parto Matricola, poi giù nel tunnel. C’erano un ispettore capo e 10 agenti. L’ispettore se­duto con i piedi sulla scrivania. ’Dove sei stato, prima?’ ha detto. ’A Rebibbia’ ho ri­sposto. ’Ah, quello è un hotel a 5 stelle, ve­drai!’. Mi hanno messo in un reparto di alta sicurezza. Niente metadone, astinenza sec­ca. Venticinque posti ed eravamo in 50. Niente educatori. Non arrivano e non parto­no lettere. Muori a poco a poco». Poi l’indul­to, gli arresti domiciliari in comunità, il la­voro in cucina. Ma questa non è una storia per tutti.