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 2009  novembre 17 Martedì calendario

Un detenuto su quattro tossicodipendente- Oltre 15 mila i reclusi che hanno problemi di droga «Non devono stare in cella»

Un detenuto su quattro tossicodipendente- Oltre 15 mila i reclusi che hanno problemi di droga «Non devono stare in cella». Ma è crisi delle misure alternative C’è questo dato impressio­nante: nei 205 istituti peni­tenziari italiani, a metà 2009, il 25 per cento dei reclusi, uno su quattro, si è dichiarato tossicodipen­dente. C’è un piccolo calo, poiché nel 2007 erano il 27 per cento e nel 2008 il 33 per cento, uno su tre. Al Nord più del 60 per cento sono stranieri, al Sud in maggioranza italiani. Se aggiungia­mo gli arrestati per violazione della leg­ge sulla droga, cioè gli spacciatori non tossicodipendenti, si arriva a quest’al­tra cifra: circa il 60 per cento della po­polazione delle carceri italiane è den­tro per questioni legate alle droghe, dal­la marijuana all’eroina, alla cocaina, al­le pasticche, che l’ultima legge (Giova­nardi- Fini) non distingue più fra legge­re e pesanti. «Si possono prendere an­che tre-quattro anni per un grammo» dice Franco Corleone, garante dei dete­nuti del Comune di Firenze. Ma lasciamo in cella trafficanti e spacciatori. Sui tossicodipendenti, inve­ce, c’è un pensiero comune fra le asso­ciazioni che si occupano di carceri, par­te dei dirigenti del ministero della Giu­stizia, i principali sindacati degli agenti di custodia, le comunità di recupero: non dovrebbero stare in carcere, poi­ché sono allo stesso tempo vittime e au­tori dei reati che compiono, non sono in grado di autodeterminarsi, hanno bi­sogno di un aiuto per venirne fuori, non della violenza legata a un luogo di reclusione. Entrano di solito per piccoli e medi reati legati alla ricerca di droga, possono uscire criminali. E allora? «Il tossicodipendente – spiega Mas­simo Barra, fondatore della comunità di Villa Maraini a Roma, vicepresidente della Croce Rossa internazionale – de­ve essere trattato da persone che cono­scono la sua condizione. Qui a Roma, spesso i carabinieri ci chiamano quan­do fanno un arresto. Diamo consigli e facciamo terapia. Certe volte vediamo accadere scene da libro Cuore : i carabi­nieri tirano fuori le sigarette, fanno il caffè per tutti... Abbiamo prevenuto mi­gliaia di casi come quelli di Stefano Cucchi. Ma quella sera, il 15 ottobre, per Stefano Cucchi non ci chiamarono, non so perché. Una settimana dopo è morto e ora ci sono sei indagati fra agenti di custodia e medici». Per i tossicodipendenti arrestati tut­to comincia proprio nelle caserme o in questura. Dice Barra: «Nella caserma di San Basilio la cella è un loculo, come una tana per un animale. Ma anche nel­la nuova caserma dei Parioli, le celle so­no sottoterra, tavolaccio e cesso alla turca». Barra ricorda che scrisse al ministro dell’Interno Pisanu (governo Berlusco­ni, 2001-2006) per denunciare l’«inuti­le disumanità» di quelle celle. Non è ar­rivata nessuna risposta. Al Dap, direzione del ministero della Giustizia che amministra le carceri, ri­cordano che dal 2004 al 2007 funzionò un programma che si chiamava «Dap Prima». Al momento dell’arresto il tos­sicodipendente senza precedenti pena­li veniva «valutato» da un medico peni­tenziario, un educatore e uno psicolo­go e quindi avviato a una comunità te­rapeutica. Raramente gli arrestati tor­navano in carcere. E poi? Finiti i fondi europei che finanziavano il progetto, fi­nito tutto. risuonata questa frase nei giorni scorsi, in certe stanze del mini­stero: Stefano Cucchi avrebbe di sicuro usufruito di «Dap Prima», potrebbe es­sere ancora vivo... La verità è che tutte le misure alter­native al carcere sono in crisi. Parliamo di arresti domiciliari presso comunità, di sospensioni di pena per seguire pro­grammi terapeutici, di affidamenti in prova sempre nelle comunità. Dice Alessio Scandurra, dell’associazione Antigone: «Tre anni fa più di 23 mila persone usufruivano di misure alterna­tive, oggi sono circa un terzo. C’erano quasi 3.500 tossicodipendenti in affida­mento in prova nel 2002, 3.800 nel 2006, diventati 800 nel 2008 e 1.200 quest’anno. Teniamo conto che sono recidivi, cioè tornano a compiere reati, 68 detenuti su cento, ma sono solo 30 su cento se consideriamo i beneficiari di misure alternative». «Tra l’altro – dice Massimo Barra – sono stati sospesi i pagamenti. La co­munità di Villa Maraini non ottiene rimborsi dallo Stato da un anno inte­ro ». Effetto, anche, del trasferimento delle competenze sanitarie in carcere dalla Giustizia alla Sanità, avvenuto senza trasferimento dei fondi. Così, la realtà è brutale. «Il tossicodi­pendente è un detenuto più ’scomo­do’ degli altri – dice Franco Corleone ”. Subisce spesso una ’riduzione al­l’infantilizzazione’. Tollera ancor peg­gio di tutti il sovraffollamento di que­sti tempi (oltre 64 mila detenuti in isti­tuti che ne possono contenere 43 mi­­la), le venti ore chiuso in cella. Chiama gli agenti dieci volte al giorno. Chiede, chiede, soprattutto di andare dal medi­co... ». E la deputata radicale Rita Ber­nardini, che spende giornate in visita alle carceri: «Molti tossici cercano lo ’sballo’ con il gas dei fornelletti da campeggio utilizzati per preparare da mangiare. Una detenuta di 40 anni è morta recentemente a Lecce per aver inalato troppo gas. ’Era tossicodipen­dente’ ha spiegato il sottosegretario Ca­liendo ». Al carcere di Buoncammino, Cagliari – raccontano al ministero – c’erano molti suicidi. Poi sono arrivati gli psico­logi della Caritas, fanno almeno dieci colloqui al giorno, soprattutto con tos­sicodipendenti: da due anni, nessun suicidio. C’è la somministrazione del metado­ne, nelle carceri. Si fa un piano di sca­laggio (dosi via via sempre minori) o di mantenimento, nei primi giorni do­po l’arresto. Poi il personale del Sert più vicino (centro di assistenza per tos­sicodipendenti) o un Sert interno di­stribuiscono la sostanza. Il metadone è un sostitutivo dell’eroina, per chi di­pende da cocaina o da pasticche ecci­tanti, di solito c’è qualche calmante. In molte carceri entrano proprio le dro­ghe, questo accade in tutto il mondo. Dice Eugenio Sarno, segretario degli agenti di custodia Uil: «Entra Lsd nella colla per francobolli, eroina sciolta nei sughi... Ci sarebbero i cani della polizia penitenziaria per cercare droghe custo­dite in carcere. Sono trenta, quasi tutti anziani, prossimi alla pensione. E gli agenti addetti erano 60 quattro anni fa, oggi sono 35...». Sarno, però, vuole par­lare anche di certi istituti come Milano Bollate o Lauro in Irpinia, che sono molto avanzati per il trattamento dei tossicodipendenti: «Lì si fa da 15 anni scolarizzazione, alfabetizzazione infor­matica, si tenta davvero il recupero. Ma queste strutture non bastano». E conclude: «I tossicodipendenti devono essere curati, non ci dovrebbero stare in carcere».