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 2009  novembre 17 Martedì calendario

Quei leoni ne mangiarono «solo» 35- Erano gli operai della ferrovia nello Tsavo Park in Kenya Il termine man-eater , man­giatore di uomini, oggi può sembrare inattuale, ma quan­te storie ancora sopravvivono di grandi carnivori che si spe­cializzarono nel predare esseri umani

Quei leoni ne mangiarono «solo» 35- Erano gli operai della ferrovia nello Tsavo Park in Kenya Il termine man-eater , man­giatore di uomini, oggi può sembrare inattuale, ma quan­te storie ancora sopravvivono di grandi carnivori che si spe­cializzarono nel predare esseri umani. Di una di queste, addi­rittura, rimasta una memoria concreta, ed è quella dei leoni di Tsavo, in Kenya. Perché queste belve antropofaghe vennero uccise, furono imbal­samate e infine esibite come curiosità nel Field Museum of Natural History di Chicago. E’ grazie ai loro resti che s’è fatta finalmente luce su un mistero altrimenti irrisolto. Vediamo di che si trattò. I leoni di Tsavo, probabilmente due fratelli, verso la fine del­l’Ottocento divennero notissi­mi perché portarono il terrore tra gli operai addetti alla co­struzione di una linea ferrovia­ria: nel giro di nove mesi quei leoni «assassini» avrebbero ucciso addirittura 135 esseri umani. O erano invece solo (si fa per dire) 28, come invece ci proviene da un’altra e ben dif­ferente fonte? Ecco, il mistero sta appunto in questa grande discordanza sul numero delle vittime. Di­scordanza che, comunque, ha una sua verosimile spiegazio­ne. La società responsabile dei lavori, l’Ugandan Railway Company, fu infatti costretta ad assoldare un famoso caccia­tore inglese, il colonnello John H. Patterson, che alla fi­ne riuscì nell’impresa – nel dicembre 1898 – di uccidere le due pericolosissime belve. E a questo punto fortemente si suppone che la grande di­scordanza sui numeri effettivi delle vittime derivi dal fatto che nel tempo siano andate consolidandosi due «verità» alternative: quella ufficiale del­la Società, propensa a mini­mizzare, e quella del cacciato­re, mirante all’esagerazione. Ed eccoci ora alla terza «ve­rità », quella della scienza, rac­contata e certificata in una re­centissima pubblicazione ap­parsa sui Proceedings of the National Academy of Sciences (Usa). Utilizzando i resti (colla­gene e peli) dei due leoni kil­ler, un’equipe di ricercatori co­ordinata da Justin D. Yeakel dell’Università della Califor­nia ha infatti potuto con cer­tezza stabilire, con una tecni­ca assai raffinata denominata stable-isotope analysis, che il numero complessivo degli uo­mini ingeriti dai due leoni era stato di 35 (cioè 7 in più di quelli denunciati dalla versio­ne ufficiale), di cui però la maggior parte venne divorata da uno solo dei due fratelli, mentre l’altro leone ne man­giò soltanto pochi, in realtà nutrendosi quasi esclusiva­mente di erbivori. Anche se per un leone un uomo dovrebbe essere una preda come un’altra, l’antropo­fagia rimane pur sempre un fe­nomeno raro. Ciò perché un predatore che preda esseri umani, solo apparentemente inermi, alla fin fine ne trae sempre un qualche tipo di pu­nizione. Fa meditare, a ogni modo, soffermarsi su quanto scrisse, pochi anni fa, un at­tento studioso del fenomeno, David Quammen, in «Alla ri­cerca del predatore alfa» (Adelphi 2005): «Grandi e ter­ribili belve carnivore hanno da sempre condiviso lo spazio con gli esseri umani. Erano parte del contesto ecologico nel quale si è evoluto Homo sapiens . Erano parte dell’am­biente psicologico nel quale è sorto il nostro senso di identi­tà come specie. Erano parte dei sistemi spirituali da noi in­ventati per far fronte alle alter­ne vicende dell’esistenza. I denti e gli artigli, la ferocia e la fame dei grandi predatori erano truci realtà che si pote­vano eludere ma non dimenti­care. Di tanto in tanto un mo­struoso carnivoro emergeva come una fatalità da una sel­va, a uccidere e a cibarsi del ca­davere. Era – come oggi gli incidenti d’auto – una sven­tura consueta, che ogni volta rinnovava il trauma e l’orrore. E comunicava un sicuro mes­saggio. Una delle prime forme dell’autoconsapevolezza uma­na fu la percezione di essere pura e semplice carne».