P. Tom., Corriere della sera 17/11/2009, 17 novembre 2009
Keil, il giudice caduto in disgrazia per aver attaccato il doping- MILANO – Ha cercato di fermare l’ingranaggio con le mani nude e si è fatto male
Keil, il giudice caduto in disgrazia per aver attaccato il doping- MILANO – Ha cercato di fermare l’ingranaggio con le mani nude e si è fatto male. Patrick Keil è il duro finito in mille pezzi, il giudice che nel 1998 scoperchiò il pentolone del doping al Tour de France, senza sapere che si sarebbe bruciato. Dall’affare Festina in poi il magistrato francese ha ricevuto minacce, pressioni, tentativi di intimidazione che lo hanno destabilizzato, a dir poco: è stato abbandonato dalla moglie, si è rifugiato nell’alcol ed è finito in carcere con l’accusa di tentata corruzione, dopo essere stato raggirato da un truffatore. «Dal tribunale alla prigione » è il titolo del libro che lo ha aiutato, come una terapia, a risollevarsi, con un obiettivo minimo: rivedere dopo più di un anno i suoi tre figli. «Ho vissuto una discesa all’inferno: il carcere, i centri d’accoglienza, a volte persino la fame. Tutto è cominciato quando ho toccato la gallina dalle uova d’oro del Tour de France. Quando ho esteso le mie indagini dai massaggiatori delle squadre a personaggi come Richard Virenque il presidente del tribunale mi ha convocato per mettermi i bastoni tra le ruote. Ho ricevuto decine di telefonate anonime e lettere di minacce». La Francia del luglio 1998 non era solo quella del caso Festina e della vittoria in giallo di Marco Pantani: era anche il Paese campione del mondo di calcio per la prima volta nella sua storia: «Certe testimonianze – sottolinea Keil – dimostravano che i fornitori di prodotti dopanti ai ciclisti fornivano allo stesso tempo dei calciatori. Senza contare che alcuni nomi di medici chiacchierati erano gli stessi per calcio e ciclismo. Ma parlarne e indagare allora era impossibile». Anche se può sembrare l’attacco di un disperato che ha perso tutto, quello del giudice con il fisico da scalatore (157 centimetri per 47 chili), è soprattutto il racconto di un fallimento generale, oltre che personale: gli scandali del 2006, 2007 e 2008 e le parole di tanti protagonisti, più o meno pentiti, hanno dimostrato che il Tour non ha mai imparato nulla dal caso Festina: «Avrei potuto accusare Jean Marie Leblanc (lo storico direttore della corsa) per complicità e reticenza: non poteva di certo ignorare che almeno una parte dei corridori si dopava. Se l’avessi fatto però avrei ammazzato il Tour e ho cercato di essere ”’ragionevole’’: oggi mi dico che avrei dovuto andare fino in fondo».