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 2009  novembre 17 Martedì calendario

A COPENAGHEN NON SUONER LA SVEGLIA

Vorreste sapere che cosa accadrà con il cambiamento del clima? Se il mondo si metterà d’accordo al summit di Copenhagen trovando un sistema per regolare le emissioni di gas serra che stanno surriscaldando il pianeta? Non sono un esperto di climatologia, ma ho elaborato un modello utilizzato dalla Cia e che ha dato risultati positivi nel 95% dei casi. Posso anticiparvi con certezza: con ogni probabilità no. Per affrontare concretamente la possibilità di controllare le emissioni di gas serra, specialmente di diossido di carbonio, iniziamo dai dati che riflettono i punti di vista dei grandi attori della scena internazionale in relazione al riscaldamento globale. Mi riferisco a governi e gruppi di interesse che hanno grosse poste in gioco. Con ogni verosimiglianza, qualsiasi accordo si possa raggiungere dovrà in primis essere concordato da questi pochi che hanno molto da rimetterci o da guadagnarci. Tra essi vi sono la Ue, gli Stati Uniti, la Cina e India. Ne fanno parte anche altre economie relativamente importanti, quali Brasile, Giappone, Russia, Canada e Australia. Per buona misura, ho anche aggiunto alla mia rappresentazione le organizzazioni ambientaliste non governative, perché a Bali ebbero una presenza significativa, e le multinazionali. Per ogni parte che avesse delle poste in gioco, ho calcolato l’influenza potenziale nei negoziati volti a raggiungere un accordo che sostituisca il Protocollo di Kyoto, la loro posizione nei confronti dei controlli obbligatori sulle emissioni, la loro importanza, e la flessibilità, ovvero in che misura ognuno di loro si sente impegnato a dover trovare un accordo oppure sotto le pressioni politiche preferisce attenersi alle decisioni che ha preso da solo.
Ho assegnato dei valori da 0 a 100 alle posizioni di questi attori che hanno una posta in gioco: la posizione 50 equivale a continuare a mantenere gli obiettivi in fatto di emissioni di gas serra fissati dal Protocollo di Kyoto del 1997. Questi standard impongono un contenimento rispetto ai livelli di emissione del 1990. Valori più alti riflettono standard più rigidi. Per esempio, 60 è un valore che corrisponde a un irrigidimento del 10 per cento degli standard relativi fissati nel 1990, mentre 100 è un valore che corrisponde a un aumento del 50% delle riduzioni obbligatorie delle emissioni di gas serra rispetto al 1990. Nello stesso modo, valori inferiori a 50 riflettono un indebolimento dei parametri fissati dall’accordo di Kyoto. Se la vostra posizione è inferiore a 50, come accade nel caso di Cina e India, per esempio, ciò significa che non siete in linea neppure con i target per le emissioni fissati nel 1997.
Poiché sono molti gli eventi che possono accadere nei prossimi 125 anni presi in considerazione nella mia simulazione, ho arricchito il mio modello con shock
random relativi per esempio all’importanza data da ogni Paese alla questione e all’interesse di ogni attore avente una precisa posta in gioco ai fini di un consenso o di un irrigidimento sulle proprie posizioni. Modificando a caso il 30% dei valori relativi all’importanza e del 30% i valori della flessibilità in ogni tornata contrattuale, possiamo osservare una gamma di futuri prevedibili per sapere se le simulazioni sul riscaldamento globale evidenziano trend più o meno forti. Ciò ci può aiutare a comprendere quanto fiduciosi possiamo essere nella rigidezza o nella debolezza delle normative future sulle emissioni di gas serra.
In sostanza emergono due possibilità.La prima è che l’enfasi dei prossimi 20- 30 anni conferma standard molto più rigidi di quelli approvati a Kyoto nel 1997. Lo sappiamo perché il valore previsto da qui al 2025 è superiore a 50. E questa è la versione più "verde" e ottimistica della situazione. La seconda evidenzia che il sostegno a più rigide normative si riduce e cala di continuo a mano a mano che ci si avvicina al 2050. Quando arriviamo al 2050, infatti, lo standard obbligatorio in vigore è ben al di sotto di quello fissato a Kyoto. Nel 2070 è inferiore a 30, valore che rappresenta un significativo indebolimento degli standard. Nel 2100 è prossimo a 20-25. E in definitiva non vi è alcun semaforo verde per le normative approvate finora.
Al contrario, vi sono decine di scenari nei quali lo standard scende prossimo allo zero, indicando così un abbandono degli sforzi volti a regolare le emissioni di gas serra. In genere in questi scenari, compare un mix di aumenti dell’importanza data da Brasile, India e Cia mentre l’importanza di gruppi che hanno a cuore i controlli negli Stati Uniti (in buona parte liberal democratici) e nella Ue cala ben al di sotto delle loro posizioni iniziali. In pratica questi ultimi paiono perdere gradualmente interesse nel regolamentare le emissioni di gas serra. Questo calo è quanto mai vistoso durante le recessioni economiche globali, quindi è essenziale e basilare seguire i trend economici globali, in quanto essi possono influire sulla nostra scelta degli scenari ai quali dovremmo prestare maggiore attenzione. Se la Ue e gli Stati Uniti non si impegneranno a cambiare, sarà molto più facile per le economie in via di sviluppo più importanti avere la meglio.
Quanto detto finora potrebbe deprimervi alquanto, ma forse non dovrebbe. Per quanto mi riguarda, io sono ottimista sul futuro, malgrado- ebbene sì, "malgrado"- accordi come quelli siglatia Bali e a Kyoto, o quello che si dovrà firmare a Copenhagen. Questi accordi saranno dimenticati in un batter di ciglia. Difficilmente potranno avere un impatto effettivo sul riscaldamento globale. Potrebbero addirittura arrecare un male peggiore, procrastinando nel tempo cambiamenti importanti. Il problema è che gli accordi come quelli di Bali o di Kyoto coinvolgono quasi ogni Paese del mondo.
Per far sì, invece, che tutti i popoli firmino un accordo universale senza imbrogli, tale accordo non deve esigere da loro una modifica di comportamento rispetto a quello che hanno al momento. Si tratta di una corsa verso il basso, verso il minimo comun denominatore. Accordi più impegnativi eliminano la possibilità di potenziali adesioni oppure incoraggiano a mentire. I requisiti del Protocollo di Kyoto hanno allontanato gli Stati Uniti, garantendo l’insuccesso del trattato.
Vi è una naturale divisione tra i Paesi ricchi la cui prosperità non dipende poi molto dal riscaldamento del nostro pianeta e Paesi poveri che davvero non hanno (ancora) alternative abbordabili ai combustibili fossili e alle emissioni di anidride carbonica. Questi ultimi hanno un incentivo a fare qualsiasi cosa sia in loro potere fare per migliorare la qualità della vita della gente che governano.
I ricchi hanno un incentivo a incoraggiare i poveri in rapida ascesa a essere più rispettosi dell’ambiente, ma i poveri in rapida ascesa hanno pochi incentivi a dare retta ai loro consigli finché resteranno poveri. Come il governo indiano ama far notare, certo, l’India sta crescendo rapidamente dal punto di vista del reddito e delle emissioni di diossido di carbonio, ma queste ultime non sono ancora nemmeno lontanamente paragonabili alle emissioni che Paesi come gli Stati Uniti hanno rilasciato nell’atmosfera nel corso dei secoli nei quali sono loro stessi passati dalla povertà alla ricchezza.
Le cose cambieranno radicalmente quando i poveri in rapida ascesa supereranno i ricchi. India, Cina, Brasile e Messico allora chiederanno a gran voce di fare qualcosa per il cambiamento del clima, perché ciò tutelerà la loro posizione di vantaggio futura, mentre la popolazione relativamente povera che ci sarà tra uno, due o trecento anni rispetto ad adesso opporrà a sua volta resistenza alle politiche che possono compromettere i loro tentativi di scalare la piramide per arrivare in cima. I ricchi arriveranno addirittura al punto di combattere delle guerre per evitare che i poveri in ascesa possano diventare così ricchi da risultare deleteri per il vecchio ordine politico (e i poveri in ascesa vinceranno quelle guerre, a proposito).
Insomma: in che modo possiamo risolvere il riscaldamento globale e rendere il pianeta tra 500 anni attraente per i nostri discendenti? In sintesi la mia risposta è la seguente: le nuove tecnologie risolveranno il problema per noi. Esiste un equilibrio per il quale un sufficiente riscaldamento globale - una quantità leggermente più alta di quella che già abbiamo, probabilmente da quia 50-100 anni - creerà un sufficiente irraggiamento solare ulteriore nelle località fredde, una sufficiente precipitazione ulteriore nelle località secche, una sufficiente ventosità ulteriore dove non vi è vento e, cosa ancora più importante, sufficienti incentivi ulteriori per l’umanità per adottare pannelli solari, idroelettricità, mulini a vento e tecnologie non ancora conosciute che saranno valide ed economiche al punto giusto da poter sostituire i combustibili fossili. Il riscaldamento globale è già stato sufficiente a innescare ogni genere di ricerca interessante attualmente in corso, ma oggi tali obiettivi richiedono più sacrifici di quanto la maggior parte delle persone sia disposta ad accollarsi. Domani tutto ciò potrebbe non valere più e a quel punto dubito che sarà troppo tardi. Spingendo il nostro sguardoa 500 anni da adesso, probabilmente avremo escogitato il che modo dirigerci con successo verso altri pianeti distanti dove potremo ricominciare tutto daccapo, riscaldando il nostro sistema solare, la nostra galassia e ancora oltre con il massimo abbandono. Tenetelo bene a mente: noi cerchiamo il meglio.